A lato. "Rocamadour" - Francia - (2019). Acquarello di Anna Fiore.
Mi implorò: - Non schiacciarmi -. E sì che l’avrei potuto schiacciare
facilmente; poggiato e bene in vista sullo sgabello stava quell’arnese, oggi di
plastica, pensato e fabbricato per schiacciare le mosche. Ed è pur vero che
nella calura della giornata non l’avevo ancora utilizzato; avevo scansato le
mosche con gesti indolenti, di un’indolenza dovuta all’eccessiva calura della
mattinata. È pur vero che per un po’ di refrigerio mi ero riparato sotto una specie
di pergolato ove a malapena fluiva il lento, per quanto meno caldo, alito della
giornata; ma pur sempre pativo, al pari di tutti gli altri esseri viventi,
l’inclemenza torrida della stagione. – Non schiacciarmi - tornò a dirmi, e la
sua implorazione si perdeva nell’alto frinire della stagione. Io non riuscivo a
capacitarmi alla vista di quell’animaletto che, posatosi sullo sgabello che
utilizzavo a mo’ di tavolinetto, mi si rivolgeva con parola umana. Mi veniva di
rassicurarlo, ché mai e poi mai lo avrei schiacciato a mo’ di una mosca
qualsiasi. Ma non era una mosca affatto; era un grilletto, piccolo, di quelli
che si vedevano saltare per i prati tutt’attorno. Lo sbalordimento mio fu in
verità enorme: come fare a credere che quell’animaletto potesse proferire umana
parola? Ma le cose stavano proprio così. Ma ancor più sbalorditiva appariva la
sua preoccupazione; ché avesse riconosciuto la finalità propria dell’arnese che
mi ero premurato di portare con me e che non avevo utilizzato? Preoccupazione
veramente sorprendente, più di quanto mi avesse sorpreso la sua vocina che si
levava netta dalle pagine aperte del libro che stavo leggendo con interesse e
sulle cui pagine si era posato con leggerezza senza che io me ne accorgessi.
Dovetti necessariamente stropicciarmi gli occhi dopo aver rimosso gli occhiali
che inforcavo. E per prendere tempo, e per meditare come se nulla fosse, mi
detti alla pulizia delle lenti; nel frattempo mi ponevo ancora una volta la
questione, ovvero come fosse possibile che un grillo potesse comunicare con
linguaggio umano. Non trovavo conforto nell’operazione di accurata pulizia
delle lenti nella quale mi ero votato, né tanto meno mi pareva giusto rompere
per qualsivoglia motivo quell’incantamento che all’improvviso si era creato. Il
grillo intanto se ne stava comodo comodo sulle pagine del mio libro, quasi a
volersi godere anche esso la frescura del pergolato. Mi sforzavo di ricordare
tutti i grilli della letteratura, o dei film di animazione, ed in verità l’unico
grillo che mi attraversasse prontamente la mente fu il grillo saggio della
magnifica storia di Pinocchio. Che fosse anche il presente grillo un grillo
saggio? Solo che quel povero grillo della storia di Pinocchio, se non ricordavo
male, il burattino tentò pure di schiacciarlo. Era necessario comunque che io
riprendessi in mano la situazione intricata e singolare che si era venuta a
creare. E tutto d’un fiato ebbi a dirgli: - Ma tu, sei veramente un grillo?
– E per tutta risposta ebbe a dirmi: -
Perché, ne dubiti forse? -. Era effettivamente un grillo, un grillo parlante
d’altra parte.
L’incantamento era rotto e sortiva allora una curiosità ed una
volontà di accertarmi che tutto fosse reale e non una imprevista conseguenza dovuta
all’afrore assoluto in cui da giorni eravamo tutti immersi. Del resto, a voler
credere in coloro che sperano nella reincarnazione e che di tale convincimento
ne fanno una questione di fede, nello straordinario mio caso poteva benissimo
trattarsi di una reincarnazione. Trovavo in quest’idea la soluzione allo
sbigottimento nel quale l’accaduto mi aveva letteralmente sprofondato. - Ecco –
gli dissi - stavo giustappunto leggendo -. – Bene, anzi benissimo. Anch’io sono
stato un lettore vorace, sai? Anzi, mi definivo un libridinoso. Conosci la parola?
– In verità la parola mi sorprese tanto e lo sbigottimento tendeva oramai a
raggiungere livelli preoccupanti. Non sapevo cosa rispondergli, ma soprattutto
mi auguravo che non leggesse nei miei pensieri. Com’era possibile che un grillo
parlasse e avesse letto in vita sua? Che si definisse addirittura un … mi era
del tutto sfuggita l’inconsueta parolina. Mi toccò allora giocare a rilanciare
l’argomento. E dissi: - Non mi pare di conoscere la parola con la quale ti sei
definito -. – Libridinoso. Sai, è stato un dotto del mio tempo che l’ha coniata
ed io me ne sono quasi innamorato. Sono stato un grande lettore, ma per essere
un libridinoso bisogna amare i libri anche nella loro fisicità, per quel che
essi ti trasmettono anche solo a toccarli, ad annusarli, nel loro odore di
carta ed inchiostro, per la voglia davvero sproporzionata di possederli -. E
poi aggiunse: - Conoscerai un certo Francesco Petrarca. Ebbene, sai cosa ebbe a
dire a proposito dei libri? E lo disse scrivendone ad un suo caro amico, un
certo Giovanni Anchiseo. Dunque in quel tempo così gli scrisse: “Non riesco a saziarmi di libri, e sì che
ne posseggo un numero probabilmente superiore al necessario; ma succede anche
coi libri come con le altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una
maggiore avidità di possederne. Anzi coi libri si verifica un fatto
singolarissimo: l’oro, l’argento, i gioielli, la ricca veste, il palazzo di
marmo, il bel podere, i dipinti, il destriero dall’elegante bardatura, e le
altre cose del genere, recano con sé un godimento inerte e superficiale; i
libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci
consigliano e si legano a noi con una sorta di famigliarità attiva e penetrante”.
Ne convieni che uno così debba necessariamente definirsi un libridinoso? Ecco, anch’io
prima sono stato un libridinoso -. – Prima quando? – osai domandargli. Il gioco
era avviato ed ora avvertivo d’essere in una situazione nuova, di vantaggio. O
così almeno mi pareva e ci speravo. – Prima -, mi rispose, - prima, quando ero
un essere umano come te -. Trasecolai a queste sue ultime parole. È pur vero come
la sua consapevolezza di poter essere schiacciato con il mio attrezzo
schiacciamosche lasciasse intuire l’inverosimile, ma ora, per sua diretta
ammissione, mi trovavo di punto in bianco con un reincarnato. Pazzesco! Dovetti
comunque fare buon viso al gioco spregiudicato che si era avviato. – Quindi,
fammi capire, prima tu sei stato un essere umano, vero? – Forse la mia ultima
uscita aveva tradito un certo mio sbigottimento ed imbarazzo; del resto mi
trovavo nella condizione innaturale di dialogare con un grilletto. E lui di
rimando: - A te sembrerà strano ma sono stato pur io un umano. E non per
vantarmi, ma un vero umano, ché tanti lo sono solo per un fatto biologico, mi
intendi? – E come se non lo intendevo; mi spiazzava proprio con quel suo
parlare che tanto si avvicinava al mio. – Sono stato un umano, ti dicevo, e di
quelli che si sono impegnati in qualcosa di veramente straordinario, sai? – La consapevolezza
di poter finire i suoi giorni schiacciato sulle pagine di un libro aperto mi
confermava delle sue ultime affermazioni. Ma la mia curiosità, che tale era
divenuto lo sbigottimento mio iniziale, era al massimo possibile per un umano.
Prendevo tempo e giusto per realizzare a pieno la situazione in cui mi ero
venuto a trovare. E quindi non gli rimandai subito la mia curiosità di
conoscere quale genere di attività avesse svolto prima. Fantasticai non poco,
pensando a cosa quell’esserino avesse potuto, nel suo prima da umano, essere
stato. Ma per quanto cercassi di elaborare soluzioni al problema che mi aveva
sollecitato ed imposto, non riuscivo in nessun modo a trovare una soddisfacente
soluzione. Quale attività avrebbe svolto nel suo prima da umano? – Non riesci
ad immaginare cosa io sia stato prima, vero? Ti voglio sollevare dalle spine.
Sai, sono stato un insegnante – disse e tacque. La qualcosa mi lasciò senza
fiato. Un insegnante, come me, solo un insegnante! La cosa nuova mi creava un
imbarazzo enorme; avrebbe in verità dovuto facilitarmi il tutto, ed invece mi
trovavo come stretto in un angolo, a mo’ di un pugile suonato. Era stato un
insegnante. Ora, a pensarci bene, e considerato come si era appalesato sulle
pagine del mio libro aperto, era proprio quella l’attività che da umano non
poteva non avere svolto. Se solo ci avessi pensato un tantino in più! Peraltro,
aveva definito la sua attività del prima da umano come straordinaria; come non
pensare subito all’essere stato un insegnante, un insegnante come me! E riprese
a dire: - Nel mio prima da umano tenevo in massimo conto un caro diario della
mia attività di insegnante, convinto come ero allora che le idee attorno all’arte
dell’educare siano preminenti rispetto ai fatti della cronaca che, in tante
occasioni, risultano essere anche il risultato di una educazione incompleta o
addirittura sbagliata -. E qui tornò in silenzio. Grande fu il mio
sbalordimento allorché trasse fuori, con malcelata lentezza, come di chi si
aspettasse un mio sobbalzare sulla sdraio, sobbalzare che sarebbe stato del
tutto comprensibile, un minuscolo oggetto che sino allora era sfuggito alla mia
attenzione, un piccolo oggetto dalle dimensioni soddisfacenti alla sua
condizione di grilletto parlante. Capii che voleva assolutamente sbalordirmi. –
Ecco, è il mio caro diario di allora – disse questa volta con una non celata
soddisfazione. - Del resto – continuò - la caducità della cronaca della vita
degli uomini è sotto gli occhi di tutti, dura lo spazio di un mattino, per poi
essere messa da parte e dimenticata dai più, al contrario della lettura e degli
approfondimenti degli insegnamenti dei grandi e veri maestri che durano nel
tempo e senza limiti geografici, insegnamenti che io, negli anni, ho riportato amorevolmente
in questo mio diario di insegnante. È stato per l’appunto il mio vangelo, con
tutto il rispetto per il vangelo di quell’altro grande morto su di una croce -.
Ero stupefatto poiché si mise a sfogliare quel suo minuscolo diario, come se
andasse di nuovo a cercare e rintracciare la saggezza di un tempo. Ma ancora
più stupefacente fu allorquando tirò fuori, da non so dove, gli occhiali che
inforcò con destrezza. E riprese il suo parlare: - Se non ti annoia più di
tanto, visto che mi hai usato la cortesia di non schiacciarmi e sembri
interessato alle cose del mio prima da umano, sarebbe allora, ecco, come seguendo
un ideale alfabeto per un educatore, interessante dare inizio ad un viaggio nei
pensieri dei miei maestri di un tempo,
maestri dell’ educare, leggendoti ora, come dire, una spiga d’oro, anzi la prima
spiga d’oro raccolta dai pensieri di un
maestro la cui scoperta allora dovetti
alla cortesia di una cara amica, che affidò alla mia lettura il prezioso libretto
di un pensatore indiano nato nel 1895 e morto nel 1986, J. Krishnamurti -. E si fermò. La cosa
che trovavo veramente sorprendente era la sua sicurezza nel considerare come
sarebbe stato interessante, anche per me, il contenuto del suo diario. Che
avesse percepito, indovinato, la mia attività di insegnante? Non volli affatto
rompere l’incantamento che si era creato, con un grillo che, inforcati gli
occhiali, mi veniva leggendo il contenuto del suo diario di quando, da umano,
si interessava della nobile arte dell’educare. E mi feci il proponimento di non
interromperlo - Dico che fu allora per me una lettura letteralmente folgorante
– riprese a dire -. Il libro della cara amica, pensa pubblicato nei primi anni
del ventesimo secolo aveva un titolo straordinario, o così mi sembrò allora e
lo ritengo ancor oggi, “Ai piedi del maestro”, e lo trovai di una straordinaria
attualità, sebbene fossero passati lustri e lustri dalla sua pubblicazione. I
suoi contenuti, le riflessioni profonde e la loro universalità che non
conoscono confini di tempo e di spazio geografico, ne fecero allora una lettura
importante ed indispensabile per me che agognavo a divenire più che un
insegnante, un educatore -. Ero ammaliato letteralmente dalle sue parole. E non
ebbi più freni e gli dissi: - Anch’io sono un insegnante, ed anch’io aspiro ad
essere per i miei ragazzi soprattutto un maestro di vita – e tacqui. – Sapevo
bene e tutto, non occorreva che tu me lo rivelassi. Quando non si è più umani,
dopo, si acquisiscono facoltà che agli umani sono negate, per fortuna. Se le
avessero certe facoltà, il loro sentirsi di un grado superiore di onnipotenza
li spingerebbe ad intraprendere nefandezze maggiori di quelle che, da umani
normali, compiono spesso deliberatamente. Sapevo del tuo essere un insegnante,
ma anche del tuo desiderio di essere qualcosa di più che un insegnante, di
elevarti in una sfera che ti portasse ad essere maestro. La lettura dei libri dei grandi educatori mi
ha tanto aiutato nella mia faticosa attività, poiché da essi le sensibilità che
ne traspaiono, le osservazioni sulla natura della educazione, i consigli che vengono
elargiti, aprono la mente di un educatore verso quegli altri orizzonti più
grandi che consentono di realizzare quel meraviglioso passaggio del proprio
essere insegnante al divenire un maestro. Ti leggo un passo, brevissimo, da
quel meraviglioso libro: “A meno che
l’insegnante non abbia fiducia nel proprio potere di conseguire la sua meta,
non sarà in grado d’ispirare una simile fiducia nei suoi allievi, e la fiducia
in sé stessi è un attributo indispensabile per la buona riuscita in tutti i dipartimenti
dell’attività umana”. - E si fermò, e si tolse i suoi occhialini e li
poggiò sulle pagine aperte del mio libro. Ero strabiliato. Possibile concepire,
pensare una simile avventura? E tornavo a pensare alla citazione che mi aveva
appena letto: cosa pensarne? Presi coraggio e gli dissi: - Ecco, penso di poter
dire che quella tua citazione, mi permetterai di darti del tu, fissa in forma precisa
una delle dimensioni proprie dell’educatore, ovvero la convinzione profonda,
che deve essere propria di un educatore, di riuscire a conseguire una
qualsivoglia meta prefissata nella propria attività. Da una tale dimensione
propria dell’educatore ne deriva sempre la crescita della sua immagine, ed agli
occhi degli allievi diverrà allora un dispensatore di fiducia e di intraprendenza
-. Lo osservavo mentre mettevo assieme quelle osservazioni e mi accorsi di un
leggero e lento dondolio del suo capo e delle sue antenne. Che fossero segni di
assenso al mio improvvisato dire? E fui preso come da un coraggio nuovo,
inaspettato, e continuai a dirgli: - È necessario ed indispensabile allora
andare a scoprire in sé stessi o quanto meno provare a sviluppare, in quanto
educatori, questa dimensione dell’essere tali. Devo dirti però, in assoluta
sincerità, che nella vita mia scolastica quotidiana e nella esperienza che ne
sto facendo di insegnante, purtroppo, una demotivazione di fondo o di comodo, non
riesco a distinguere appieno, soprattutto rispetto al nuovo che avanza e che
scombina un fare cristallizzato nei decenni e nella pratica
quotidiana di tanti miei colleghi di lavoro, questa mia esperienza mi presenta
educatori sfiduciati che non credono nel proprio operare e che posti di fronte
alle innovazioni o alla necessità di derogare dai canoni attuati, sogliono
esprimere le più ingiustificate riserve ed i tentennamenti propri di chi teme
non essere all’altezza delle nuove situazioni, inopinatamente ed
inopportunamente intervenute, a sentir loro, ed a scompaginare un ordine
ritenuto perfetto ed immutabile, dimenticando una regola aurea propria
dell’educazione, ovvero la perfettibilità e la mutevolezza continua del
rapporto del maestro con il discepolo -. E tacqui, sorpreso di me stesso e del
mio ardire, consapevole però di essermi imbarcato su di un vascello salpato per
una straordinaria avventura. E tutto grazie ad un grillo posatosi sulle pagine
aperte di un mio libro nella canicola, che più canicola non la si potrebbe
pensare. Il meriggio volgeva al termine. Non che la calura avesse ceduto il
passo ad un più benefico alito, ma almeno il sole calante faceva quasi sperare
in un crepuscolo più accettabile. Lui, il grillo intendo, con studiata lentezza
ripose i suoi occhiali, il suo preziosissimo diario e con aria quasi stanca mi
disse: - Ora ci lasciamo, ma contaci che ci ritroveremo presto, molto presto -.
E fece un balzo, e sparì nella poca erba che resisteva alla tremenda calura. Fu
solo sul finire della torrida giornata, allorquando il sole scompare tuffandosi
nell’azzurro del mare, che realizzai una straordinaria scoperta: avevo beatamente
sognato, sotto un verde pergolato in una giornata di caldo caldissimo. Di quel
sogno, rincasando, non feci cenno ad alcuno e continuai a ripensare a quel
grillo saggio che si era posato, nel sogno, sulle pagine aperte del mio libro.
Ché si fosse realmente posato a mia insaputa, mentre beatamente sonnecchiavo?
Non lo saprò mai.
Racconto breve di Aldo Ettore
Quagliozzi (2007)
Carissimo Aldo, straordinario questo tuo racconto breve, così delicato, ma intenso... Eccezionale soprattutto per la capacità di suscitare emozioni e risvegliare ricordi. Grazie per averlo condiviso e principalmente perché la sua lettura, veramente affascinante, mi ha consentito di cogliere diversi significati profondi, tutti per me molto preziosi.Buona domenica. Agnese A.
RispondiEliminaGrazie! È stato bellissimo rileggere questo meraviglioso racconto breve...
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