Tratto da “Poltrone,
Twitter & C. Carletto ora gioca al capriccio Capitale” di Pino Corrias,
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi domenica 25 di ottobre: Svegliandosi
nel caro letto sempre dopo l’onesto villan, il fabbro e la sonante officina, il
giovin signore Carlo Calenda chiamò le cucine per il caffè, si concesse un
minutino alla doccia, accese twitter, guardò l’ora, ed era solo mezzogiorno. Che
fare? Vendere Ferrari negli Emirati arabi l’aveva già fatto. Visitato il mondo,
l’aveva visitato con delegazioni d’alto rango. Persino in Confindustria aveva
navigato per quattro lunghi anni all’ombra di Luca Cordero di Montezemolo (“che
non è un transatlantico” come scrisse un giorno il dispettoso Fortebraccio). E
per una manciata di stagioni era pure stato al governo della Repubblica, un
mordi e fuggi a velocità psicotropa con Letta junior, Renzi figlio, Gentiloni
senior. E ora? Brillò intorno all’ora indolente dell’aperitivo la nuova idea: e
candidarsi a sindaco di Roma, perché no? Così andò il giorno in cui Carletto –
per noia e per ennesimo capriccio – si fabbricò in terrazza il nuovo giocattolo
della candidatura Capitale. È vero, sino al giorno prima aveva detto cento
volte il contrario, “Io sindaco di Roma? Neanche morto, sarei un cialtrone!”.
Ma che importa? Tutti in politica disdicono tutto, nessuno scaglia mai la prima
pietra, e poi ci si ritrova fraternamente a cena. Lui cucina benissimo. E visto
che in corsa per il Campidoglio l’allegra sinistra Dem schiera “i soliti sette
nani”, capaci al massimo di un uovo sodo, lui sarebbe diventato Biancaneve in
proprio. In quanto al programma ne aveva uno già pronto, con cuciture rifinite
a mano: “Dare rappresentanza al pragmatismo”. E poi? “Decoro urbano, rilancio
delle periferie”. E addirittura: “Praticare il buon governo”. A differenza di
tutti gli altri che, a suo modo di vedere, promettono il contrario. Fatto il
programma, restano le alleanze risolte in una frase: “Il Pd si accontenti”. L’irrequietezza
barba/senza barba. Calenda nasce nella nostalgia onomastica del quartiere
africano, anno 1973, che è buona borghesia romana orfana d’impero, ma di urbane
maniere a differenza degli arricchiti dei Parioli. Gli scorre il sangue blu
della nonna, una Grifeo di Partanna che è nobiltà siciliana, la spensieratezza
del padre Fabio, economista non del tutto avveduto, visto che si è fatto
fregare il gruzzolo dal celebre truffatore detto il Madoff dei Parioli, e
l’estro creativo di sua madre, Cristina Comencini, figlia del grande regista
Luigi e regista in proprio. Un mix che lo rende irrequieto anche nella
cangiante estetica: magro, grasso, con barba, senza barba, con cravatta, in Lacoste,
ma anche in costume da bagno con l’ombelico all’aria e il cigno sullo sfondo.
Il temperamento temerario lo mette in mostra presto, a 16 anni, quando fa il
guaio con la segretaria del patrigno, diventa padre affettuoso, smette di
frequentare il liceo Mamiani per dedicarsi ai pannolini e a qualche
recriminazione di famiglia, all’epoca ancora di estrema sinistra, libertaria,
ma a tutto c’è un limite. A risarcimento della nuova vita, si mette in spalla
quella vecchia, diplomandosi da privatista per poi iscriversi a Giurisprudenza,
fino alla laurea. Per il futuro della bimba, battezzata Tay, vende
assicurazioni. Almeno fino al giorno in cui lo adotta professionalmente Luca
Cordero che gli fa girare mezzo mondo con il listino delle Ferrari in tasca. È
un buon venditore. Addirittura un mastino nelle trattative. Al punto che lo
chiama Murdoch, l’imperatore di Sky Mondo, per vendere diritti televisivi in
Europa. Ma sentendosi destinato ad alte imprese, si stufa presto. Torna accanto
al suo mentore, LCDM, diventato nel frattempo presidente di Confindustria (sì,
è successo anche questo nell’anno 2004 dell’era berlusconiana), addetto ai suoi
discorsi, tra una trattativa e l’altra, ma anche ai suoi pensieri che saranno
l’argenteria del think tank di Italia Futura. Quando Silvio B manda
definitivamente in malora l’Italia e compare il loden salvifico di Mario Monti,
Carlo ha una nuova agnizione: finalmente la competenza del grand commis
bocconiano invece delle chiacchiere frou-frou della futura Italia. Entra in Scelta
civica che è un po’ il Circolo della caccia della politica, in compagnia di
Ilaria Borletti Buitoni, Stefania Giannini e altri riccastri. Avventura
purtroppo rimasta incompresa. Appena trombato alle elezioni, dichiara:
“All’origine del nostro fallimento è la troppa retorica sulla superiorità della
società civile”. Per questo si ributta in quella politica, stavolta
accomodandosi nel partito democratico che gentilmente lo riaccoglie quando
dice: “Ho sempre votato Pd”. Tra seggi e stipendi alza polvere di talk. Va tre
volte al governo in tre governi, sottosegretario allo Sviluppo economico,
almeno fino alle dimissioni della titolare, il ministro Federica Guidi, di cui
resta memorabile solo la telefonata intercettata col fidanzato faccendiere:
“Non puoi trattarmi come una sguattera del Guatemala”. È l’anno 2016. Si occupa
di più o meno 150 crisi industriali, dalla ex Ilva a Alitalia, alza polvere e
parole. Specialmente nei talk televisivi e sui social che dopo l’equitazione
sono diventati il suo sport preferito. Rimasto senza incarichi negli ultimi due
governi, si è fatto eleggere in Europa dai Dem. E appena eletto, con seggio e
stipendio, li ha mollati per fondare il suo nuovissimo partito Azione. Ringraziamenti
alla società politica? Nessuno. “Renzi e Zingaretti sono riformisti
rammolliti”. A Di Maio “non affiderei un bar”. Conte “è un avvocato di
provincia capitato lì per caso”. Gli italiani sono “inconsapevoli”, anzi
“ignoranti”. E “la mia soluzione ardimentosa è far loro dei corsi sulla
complessità”. Probabile che avendo perso ogni principio di realtà, Calenda si
vada disponendo all’astio permanente. I Dem forse stavolta l’hanno capita:
“Carlo è incompatibile con tutti quelli che non sono lui”, dixit Goffredo
Bettini, il guru. E il dettaglio che Giuliano Ferrara, Emma Bonino, Piero
Fassino gli augurino ogni fortuna da incoronare in Campidoglio, è il sigillo
della sua prossima sconfitta. La accoglierà con un sospiro di compatimento per
Roma di nuovo orfana e i romani che si sveglieranno all’alba, proprio mentre
lui andrà a coricarsi.
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