Ma l'attenzione all'ambiente non esclude la battaglia contro le diseguaglianze, al contrario. Come dimostrano i ragazzi del Friday for future. "Certo! Ma a me pare che Sassoon tenda a sottovalutare le diseguaglianze, considerandole fisiologiche".
Non direi questo. Sassoon parte da una considerazione più generale difficilmente contestabile: il capitalismo trae le la sua legittimazione dal fatto che i bisnipoti dei proletari inglesi della rivoluzione industriale stanno molto meglio dei loro avi. "Dal punto di vista dei consumi è una riflessione fondata. Ma perfino i lavoratori della prima industrializzazione - le cui descrizioni ci facevano rabbrividire - stavano meglio degli schiavi. Questo però non è un indicatore del livello di civiltà. Insieme agli elementi economici ci sono questioni che riguardano il senso della vita e della comunità: il processo di spoliazione dell'attuale capitalismo fa impressione. E le crescenti diseguaglianze sono la cifra prevalente di questo sistema: come se fossero lenti di ingrandimento sulla natura specifica del nuovo capitalismo".
Da sinistra si riconosce l'errore di non aver saputo aggiornare una strumentazione culturale antiquata, incapace di leggere il nuovo. "Ma una rielaborazione in cosa dovrebbe consistere? Nella sostituzione della lotta di classe con l'ecologismo? A me parrebbe una resa, e una catastrofe".
Lei cosa propone? Continua a definirsi anticapitalista. "Se per superamento del capitalismo si intende una riedizione del socialismo novecentesco - l'idea di una rivoluzione provvista di un disegno sociale prestabilito e compiuto - credo che questa alternativa non sia proponibile. Quella del XX secolo è una storia finita, anche se ne sono figlio. E rivendico le grandi conquiste del movimento operaio, oggi travolte da un'insopportabile damnatio memoriae".
E allora a cosa guarda? "Il motore principale della critica al capitalismo contemporaneo va oggi cercato nelle tante rivolte che scuotono centinaia di paesi nel mondo. Dovunque la politica è morta e la società si risveglia nella ribellione. Dalla Francia alla Spagna, dall'Algeria all'attuale movimento nero in America. Queste rivolte hanno una caratteristica comune: sono impreviste, non programmate. E non hanno leader. Mi sembra che qui debba essere cercata la fiammella della costruzione di un futuro diverso".
Ma lei propugna l'abolizione del capitalismo, che è una soluzione bocciata dalla storia. "Mettiamola così. Io non so più se sono per il totale sovvertimento del sistema capitalistico. Sono però convito che l'attuale assetto globale finanziario sia incompatibile con la democrazia. Non arrivo a dire come Žižek che il Covid-19 è il virus del capitalismo, ma sicuramente va visto come un virus nel capitalismo. La pandemia ci ha sbattuto in faccia tutti i problemi collettivi e istituzionali e le ferite e sociali e ambientali prodotte da questo sistema".
Pensa che il capitalismo possa cambiare? "Sta già cambiando: è una formidabile bestia vitale che ha capito che non può procedere con i vecchi strumenti del neoliberismo o dell'austerity. Basti vedere il modo fulmineo con cui ha impresso il cambiamento alle politiche economiche in Europa. Per evitare il rischio drammatico della recessione, c'è stata una chiamata alle armi rivolta all'intervento pubblico, prima bandito. Ma nel contempo le imprese chiedono allo Stato di avere più mano libera sulla forza lavoro: la sua mutazione è già in corso e parla di solitudine e disconoscimento dei diritti. E chiedono maggiore influenza sul governo complessivo della società. La politica è ormai ridotta a pura amministrazione".
Fu Marx ad avvistare la capacità del capitalismo di assumere forme diverse. Qualcuno malignamente sostiene che l'autore del Capitale sia stato compreso più da finanzieri e imprenditori che dai loro oppositori, irrigiditi dai dogmi ideologici. "Qualunque imprenditore intelligente capisce che Marx è imprescindibile. Dovrebbe saperlo anche chi si muove sul versante critico. Un'eredità straordinaria".
Il gigante Google gli dedica novantatré milioni di link. "Quando il capitalismo diventa un problema, è obbligatorio tornare a chi per primo e più organicamente ne abbia avvertito le contraddizioni. Naturalmente tocca a studiosi più raffinati di me aggiornare quell'armamentario che resta necessario".
Che cosa lo rende ancora vivo? "L'idea della rivoluzione come categoria più alta raggiunta dalla politica. L'idea che si possa trascendere l'ordine delle cose esistente. Osservo come oggi sono ridotti i governi democratici europei: sembrano caricature. Gli attuali riformismi non sono paragonabili ad esperienze politiche del passato, come il centrosinistra di Pietro Nenni, che all'epoca - pensi! - mi sembrava un cedimento...".
A proposito di questo, non ha rimpianti? Non pensa che se la sua radicalità avesse ceduto il passo a un onesto riformismo oggi avremmo un paese migliore? "I riformismi hanno avuto spazio quando nel corpo sociale era presente una tendenza rivoluzionaria: altrimenti sarebbero stati impotenti. Lo Statuto dei Lavoratori, la riforma più potente che abbiamo avuto in Italia, è il frutto d'una stagione radicale. Poi mi viene in mente una battuta di Vittorio Foa, che però è troppo cinica per essere riferita".
Cosa diceva? "In Italia tra riformisti e rivoluzionari non c'è alcuna differenza. I rivoluzionari non fanno la rivoluzione. E i riformisti non fanno le riforme".
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