“Mes” sì o “Mes” no? E Voi, da quale
parte state? Ha ben ragione a definire lo sproloquiare sull’argomento il
Commissario Europeo Gentiloni come un “duello italo-italiano”, ovvero
di quel non-senso del quale si pregia autorevolmente la cosiddetta “politica”
del bel Paese. E Voi certamente vi sarete trovati come quel “re
travicello” della celeberrima favola di Fedro che l’avrebbe sentita da
un discorso di Esopo. A memoria storico-politica l’ultimo a sentirsi in quello
stato di inoperosità e di insufficienza è stato l’onorevole Enrico Letta poco
prima che quell’uomo venuto da Rignano sull’Arno gli facesse lo sgambetto. Ebbe
a dire che “chiederò mercoledì la fiducia alla Camera e al Senato ma non per
governare tre giorni ma per andare avanti con il programma. Non farò il Re
Travicello”. Sappiamo bene come gli andò a finire. La condizione del
cittadino-elettore è proprio quella del “re travicello” per una sottaciuta
scelta della “casta” della (mala)politica, scelta scientemente coltivata e brillantemente
perseguita. “Mes” sì o “Mes” no? Ne ha scritto Barbara
Spinelli in “Le trappole UE per i cugini del Sud”, pubblicato su «il Fatto
Quotidiano» di ieri 22 di ottobre 2020: Dice Gentiloni, Commissario europeo per gli
affari economici, che la discussione sui prestiti del Meccanismo europeo di
stabilità (Mes) “è un duello italo-italiano, dal quale cerco di stare lontano”.
Farebbe invece bene ad avvicinarsi un po’ perché il duello, se proprio vogliamo
scegliere questa fuorviante definizione, non è affatto italo-italiano ma
inter-europeo. Lo spiega correttamente Enrico Letta su «El País»: perché il Sud
Europa cessi di diffidare del Mes occorre che il Meccanismo muti radicalmente.
Deve cambiare il nome che porta, le condizioni che impone, e sostituire con la
solidarietà comunitaria il dominio intergovernativo che esercita. Quel che è
accaduto nei giorni scorsi è infatti molto significativo, e vede coinvolti
nella ridiscussione del Mes ben tre Paesi del Fronte Sud: Italia, Spagna e
Portogallo. Un giorno potrebbe aggiungersi Parigi, se il Fronte si rafforzerà. In
altre parole, stiamo assistendo a una nuova tappa nel negoziato tra Ue e Paesi
membri sui fondi di ricostruzione. Non bisogna dimenticare che l’Unione ha una
costituzione complicatissima, perché ibrida: in parte è federale (ha una moneta
unica) in parte è fatta di Stati che custodiscono meticolosamente le proprie
sovranità, agendo da soli o – da qualche tempo – in gruppi separati. Dopo
l’accordo di luglio sul Recovery Fund hanno fatto sentire la propria voce due
fronti distinti: i Frugali (Austria, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia) e il
gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia). I primi
restano ostili agli aiuti a fondo perduto, pur avendoli approvati a luglio. I
secondi chiedono che non vi siano, nell’uso dei fondi Ue, condizioni legate al
rispetto dello Stato di diritto. Adesso esce allo scoperto il Fronte
mediterraneo, cioè i Paesi più colpiti dal Covid. Sono gli stessi che nel primo
decennio del secolo hanno maggiormente sofferto l’austerità, costretti a
tagliare spese sanitarie e Welfare con forbici spietate. Nel Fronte
ritroveremmo sicuramente la Grecia, se ancora governasse la sinistra: la
nazione fu devastata dai cosiddetti “aiuti” dell’Ue e del Fondo monetario. Gentiloni
deve dunque essersi accorto, se non dorme, di quel che sta succedendo in Sud
Europa. Domenica, il premier spagnolo Pedro Sánchez, in sintonia con Roma e
Lisbona, fa sapere a «El País» che del Fondo di Ricostruzione prenderà per ora
solo gli aiuti a fondo perduto, escludendo in un primo tempo i prestiti
(prenderà 72,700 miliardi invece di 140). La quota prestiti non è respinta ma
semplicemente posposta, “visto che la Commissione europea permette che le
richieste di prestiti siano presentate entro il luglio 2023: ricorreremo ai
prestiti, se ne avremo bisogno, per il bilancio 2024-2026”. I motivi che
inducono Sánchez alla prudenza (non al duello) sono identici a quelli indicati
nella stessa domenica da Conte: il problema centrale, nel caso Recovery Fund
come per il Mes, sono le condizionalità che un giorno saranno comunque imposte
a fronte di debiti eccessivi. Vero è che le condizioni capestro legate ai
prestiti Mes (i parametri del Fiscal Compact) sono state sospese a causa del
Covid, ma sospeso non significa abolito né rivisto. Sánchez teme l’ora in cui
le condizioni saranno reintrodotte, per il Mes come per il Recovery Fund, e che
lo siano “troppo presto”. Se non fa nemmeno accenno al Mes è perché in Spagna,
Portogallo, Irlanda, Grecia il ricordo della troika resta traumatico (la Grecia
doveva “ricevere una lezione” ed essere crushed – schiantata – dissero i leader
europei al ministro del Tesoro Usa Geithner nel febbraio 2010). A questo si
riferisce probabilmente Conte, quando sostiene che “i prestiti Mes, dovendo
essere restituiti, andranno a incrementare il debito pubblico”, comportando per
forza “aumenti delle tasse e tagli” al welfare. Anche il secondo motivo che
spinge Sánchez a diffidare dei prestiti è simile a quello segnalato da Conte: i
prestiti (Mes o Recovery Fund) presentano vantaggi contenuti in termini di
interessi. Grazie agli acquisti della Banca Centrale europea, l’Italia può oggi
emettere Btp decennali pagando tassi che sono al minimo storico. È quanto dice
Sánchez: gli interessi sul debito pagati dai singoli Paesi sono discesi a tal
punto che i prestiti dell’Unione europea non comportano vantaggi di rilievo. In
altre parole, sia Spagna che Italia e Portogallo temono l’accumularsi del
debito, anche se i fondi Mes hanno come unica condizione d’accesso la loro
destinazione alla sanità. Definendo “demagogica” l’idea che i prestiti
aumentino il debito, Italia Viva mente sapendo di mentire: è come se proclamasse
che è demagogico sostenere che l’acqua è bagnata. Quanto a Zingaretti,
sorprende il silenzio sui ragionamenti dei compagni socialisti in Spagna e
Portogallo. L’ultimo argomento usato da Conte è non meno cruciale, e condiviso
in particolare da Paesi come Spagna e Portogallo che hanno subìto la troika. Il
primo Paese che chiederà prestiti al Mes riceverà una sorta di stigma e verrà
visto come insolvente, inaffidabile (lo puoi punire, “schiantare”). Non
conviene dare quest’impressione proprio ora che gli interessi sulle emissioni
di Btp sono così bassi. Nelle stesse ore in cui si sono fatti sentire Conte e
Sánchez, il premier portoghese António Costa ha espresso dubbi del tutto
analoghi: la sua assoluta preferenza va agli aiuti a fondo perduto. Ai prestiti
ricorrerà in un secondo momento “solo se strettamente necessario”. Tutto questo
conferma il delicato compito di Conte: trovare un accordo in Italia tra i
partiti di governo, neutralizzando con argomenti forti le reticenze di Pd e
Italia Viva, e lavorare al contempo a un’intesa nell’Ue, utilizzando al massimo
le più che giustificate preoccupazioni dei Paesi che hanno vissuto prima la
randellata dei piani di austerità, poi quella del Covid. Non sottovalutiamo le
acrobazie che deve compiere Conte, nella duplice veste di presidente del
Consiglio italiano e di co-governante nel non meno litigioso Consiglio europeo.
Non sottovalutiamo nemmeno l’incapacità dell’Unione di riconoscere i disastri
di cui si è resa responsabile dopo la crisi del 2008. Qualche giorno fa, Vitor
Gaspar, dirigente portoghese del Fondo monetario ed ex ministro delle Finanze,
ha messo in guardia contro il ripetersi compulsivo di quei disastri, sostenendo
sul «Financial Times» che i Paesi industrializzati “possono indebitarsi
liberamente senza dover assoggettarsi a nuovi piani di austerità all’indomani
della pandemia”. Manca per ora nell’Unione qualsiasi impegno in questo senso. Ed
ecco a Voi, “travicelli” della (mala)politica, la favola di Fedro per come
sembra l’abbia sentita raccontare da Esopo: C’era una volta uno stagno pieno
di rane che facevano quel che volevano: saltavano di qua e di là, oziavano e
gracidavano dalla mattina alla sera. Un giorno, decisero di chiedere a Zeus un
sovrano che insegnasse loro a vivere rispettando le regole e la disciplina.
Zeus, divertito da questa richiesta, gettò nello stagno un travicello di legno.
Il travicello cadde in acqua con un gran tonfo: le rane, spaventate, si
rintanarono nel fango sul fondo dello stagno e per un po’ non uscirono. Poi,
vedendo che il travicello di legno galleggiava immobile sulla superficie dello
stagno, andarono a vederlo più da vicino. Cominciarono a toccarlo, poi a
saltarci sopra: il travicello non si muoveva e non diceva una parola. Presto,
le rane tornarono alla vita sregolata e allegra di prima, ignorando il loro re.
Dopo qualche tempo, le rane tornarono da Zeus e gli chiesero un nuovo re: “il
re che ci hai mandato è una nullità; noi vogliamo un sovrano che ci faccia
rispettare le sue regole”. A questo punto, Zeus gettò nello stagno un serpente,
che cominciò a divorare tutte le rane che trovava. Per la paura, le rane
smisero di gracidare e cominciarono a vivere nascoste tra le canne o nel fango.
Le rane superstiti tornarono sull’Olimpo, supplicando Zeus di riprendersi quel
serpente malvagio. Ma il capo degli dei disse loro: “Vi avevo mandato un buon
re e voi l’avete rifiutato. Adesso, tenetevi quello malvagio”.
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