“Capitalismoedemocrazia”
è luogo “virtuale” per riflettere sullo stato delle cose. È luogo di
condivisione di idee e di quant’altro abbia a che fare con la grande “crisi”
che attanaglia il mondo occidentale e che trova, nella crescita esponenziale
delle iniquità sociali, il lato più evidente del declino di quello che va
configurandosi come il “capitalismo finanziario” di rapina del
secolo ventunesimo. Un capitalismo senza etica e portatore di una visione della
società dei sempre più “diversi”. Ha scritto Giacomo Papi
in “I finanzieri” (2011) pubblicato
sul supplemento “D” del quotidiano “la Repubblica”, che di seguito trascrivo in
parte: “L'economia assomigliava a un principio trascendente e intangibile, a
un dio irraggiungibile e indifferente. Colpa e merito e scelta - l'etica,
dunque - non contavano nulla. La rassegnazione è finita”. Concordo con
le geniali intuizioni dell’opinionista; mi lascia perplesso la Sua assicurazione
che i “vessati” dell’iniquo sistema del “capitalismo finanziario” abbiano detto
la parola “fine”. Non certo l’hanno detta i “rivoltosi” del sabato al
pomeriggio nell’intermezzo di riprendere le loro consuete abitudini. Non ci
sono stati e non ci sono tuttora, in queste ridenti contrade, occupanti alla “Zuccotti
park”. Alla sera, un tramezzino, una “apericena” e tutti a nanna: (…). Nella globalizzazione il capitalismo coincide con il mondo.
Nel 2001 a
Genova i black bloc spaccavano i bancomat, la polizia le teste. Si discuteva di
No logo di Naomi Klein, dell'Impero e delle moltitudini di Toni Negri. Termini
astratti, generici, generali. Il nemico era inumano, ma non era umano. Non
c'erano colpevoli. Gli individui potevano disinteressarsi delle conseguenze
delle loro azioni. Vinceva l'idea che i sistemi economici agiscono al di sopra
dei singoli, come agenti atmosferici, come leggi di natura. Ricchezza e povertà
parevano distribuirsi in base a regole imperscrutabili. L'economia assomigliava
a un principio trascendente e intangibile, a un dio irraggiungibile e
indifferente. Colpa e merito e scelta - l'etica, dunque - non contavano nulla.
La rassegnazione è finita. Per la prima volta dopo decenni, il meccanismo non
solleva più i singoli dalla responsabilità delle proprie scelte, non li esime
dalla colpa. Non impedisce più di indicare luoghi e persone che su questo
sistema, per quanto ingiusto, hanno prosperato e si sono arricchiti. I
colpevoli non sono più politici (o terroristi) che iniziano con la B: Bush, Bin
Laden, Blair, Berlusconi. Ma gente normale, finanzieri, banchieri, evasori
fiscali. Persone che hanno funzionato come ingranaggi di una macchina che ha
smesso da tempo di distribuire i suoi dividendi in maniera accettabile. Sono
tornati i cattivi. Crescono rabbia e violenza. Un mattino di questi ho
incontrato uno che va in chiesa, fa volontariato e lavora in banca. Era vestito
da matrimonio. - Ti sposi? -, gli ho chiesto. - No, è arrivato un direttore
nuovo. È un nazista. Ho il colloquio alle cinque e sono terrorizzato come se
avessi di nuovo tredici anni. Negli anni Settanta quelli così li gambizzavano -.
La certezza che i cattivi esistano è da sempre la precondizione di ogni
rivoluzione. Ma anche della violenza. Scrisse Gafyn Llawgoch, l'anarchico gallese,
nel 1926: - L'uomo nuovo arriverà quando la rabbia per l'ingiustizia e la
condanna di chi per convenienza, pigrizia, mancanza di coraggio, comodità l'ha
alimentata non scalfirà la consapevolezza che si tratta pur sempre di sistemi
umani, di cui nessuno potrà mai dirsi del tutto innocente -. Quindi. Ci
ricordano, le care antiche letture, come le ciclicità delle crisi commerciali e
le contromisure da sempre adottate in tali circostanze siano state intraviste e
profetizzate dal “Moro” di Treviri in quel Suo libello venuto alla luce alla
metà quasi del secolo decimonono. Nulla di nuovo sotto questo cielo immobile.
Se non dell’impotenza dei governi, oggigiorno, a “governare” sistemi economico-finanziari
resisi indipendenti ed affrancati da qualsivoglia responsabilità sociale che
preparano “crisi più generali e terribili e diminuendo i mezzi per prevenirle.”
Riporto di quelle profezie rinvenute al capitolo primo che ha per titolo “Borghesi
e proletari”. Sembra che il pensiero del “Moro” di Treviri stia
tornando di moda. La cosa consola. Ma è tutto da vedere. (…). Basta ricordare le crisi
commerciali che, con il loro ciclico ritorno, minacciano sempre di più
l’esistenza della società borghese. Ogni crisi distrugge regolarmente non solo
una massa di merci già prodotte, ma anche una gran parte delle stesse forze
produttive. L’epidemia della sovrapproduzione; un’epidemia che in tutte le
altre epoche della storia sarebbe parsa un paradosso si abbatte sulla società:
che all’improvviso si trova ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; si
direbbe che una carestia, una guerra di sterminio l’abbiano privata di tutti i
mezzi di sussistenza; mentre l’industria ed il commercio sembrano annichiliti.
E tutto questo, perché? Perché la società ha troppa civiltà, troppi mezzi di
sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive a sua
disposizione non favoriscono più lo sviluppo dei rapporti di proprietà
borghesi; anzi, esse sono diventate troppo potenti per quei rapporti, che si
tramutano in intralci; e quando le forze produttive sociali superano questi
intralci, gettano l’intera società nel disordine, mettendo in pericolo
l’esistenza della proprietà borghese. Il sistema borghese è diventato troppo
stretto per contenere le ricchezze create nel suo seno. Come può la borghesia
superare la crisi? Da un lato, mediante la distruzione forzata di una massa di
forze produttive; dall’altro lato, mediante la conquista di nuovi mercati e lo
sfruttamento più perfezionato di quelli esistenti: cioè preparando delle crisi
più generali e terribili e diminuendo i mezzi per prevenirle. Le armi
utilizzate dalla borghesia per abbattere il feudalesimo si rivoltano contro di
essa. (…).
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