Tratto da “Le
censure nascondono cattive intenzioni (o sguardi): vedi la diatriba sulla
minigonna a scuola (che sia un invito di tipo erotico definisce chi lo pensa...
anche se a mio avviso resta scomoda. E in generale, semplificare troppo non si
può” di Concita De Gregorio
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 3 di ottobre
2020: Un giorno, era la fine dell’estate dopo la maturità, il giornale per
cui scrivevo cronache dai movimenti studenteschi mi mandò a seguire un convegno
di tre giorni sul pensiero di Sartre. Probabilmente il redattore delle pagine culturali
era in ferie, o non si fece trovare considerato il gravoso onere, ma a quei
tempi non avevo pensieri così sordidi: ero solo molto felice che mi avessero
dato un incarico tanto importante. Non era mai successo che mi chiedessero di
“fare la giornalista”, cioè di andare a seguire un fatto fuori da scuola, nel
mondo grande. Restai seduta in platea per tutti e tre i pomeriggi e riempii di
appunti un intero quaderno formato protocollo. Il giornale voleva venti righe. Me
lo comunicarono l’ultimo giorno: venti righe, le mettiamo oggi. Fai una
sintesi. La relatrice principale era Rossana Rossanda. Durante una pausa caffè
mi avvicinai a lei. Le mostrai il mio grande quaderno fitto di appunti e le
dissi qualcosa come: «Ho seguito tutto, ma devo scrivere solo poche righe. Può
aiutarmi?». Lei mi guardò un momento, il tempo sufficiente perché anche io
potessi vedermi coi suoi occhi e indovinare i suoi pensieri, poi mi disse:
«Purtroppo no». Per anni ho pensato a questo episodio come a un rito di
iniziazione ai limiti del bullismo. Mi sono sentita vittima di una donna
sprezzante, ingenerosa. Nel tempo, quando in molte occasioni ci siamo
reincontrate, non gliene ho mai fatto parola: mi dispiaceva per lei. Oggi,
vicina all’età che Rossanda aveva allora, mi capita spesso di dire «Purtroppo
no», sebbene più raramente di quanto vorrei. Provo a farlo con gentilezza,
perché ricordo bene la mia mortificazione di quel giorno. Ma purtroppo no. Non
posso sintetizzare in venti secondi, un audiomessaggio, le ragioni della crisi
della sinistra italiana e mondiale. Non è davvero possibile - non posso -
riferire con una battuta a effetto la rotta del denaro che la Lega ha sottratto
e nascosto, secondo indagini complesse e ancora in corso. Non posso fare un
tweet sulle minigonne a scuola perché la minigonna nasce come simbolo di
libertà, e lo resta naturalmente (qui ci vorrebbe il tempo per parlare di Mary
Quant). Che sia un invito di tipo erotico definisce chi lo pensa (qui si
potrebbe definire oscena la mentalità, non la minigonna). Dentro ogni censore
c’è una ressa di cattive intenzioni, non sempre messe in riga con successo nel
segreto delle private vite. E certo: si va a scuola anche per dibattere di
questo, ma se c’è matematica e filosofia sarebbe ottimo concentrarsi sulle
funzioni e su Spinoza. Comunque la minigonna è scomoda, resta il segno della
sedia sulle gambe, si sposta, pretende continua attenzione da parte di chi la
porta, una fuga di attenzione sottile e permanente. I pantaloni di felpa
favoriscono la comprensione di un testo? Può darsi, non so. Ci vorrebbe una
discussione di tre giorni, di cui almeno un intervento dedicato alla dirigente
scolastica che a Francavilla Fontana ha imposto le gonne alle bambine con
l’argomento che «il corpo femminile pretende profondo rispetto», e che
«attraverso la gonna si apprende il concetto della dignità»: tremendo sdegno
delle famiglie, ovvio, ma anche interesse per certi testacoda del pensiero.
Dove attecchisce l’arcaismo; cosa siano la modernità, la liberta, l’educazione.
Un pensiero per Rossana Rossanda, tardiva gratitudine.
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