"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 30 ottobre 2020

Cronachebarbare. 75 «Il prossimo aveva incominciato a morire prima, quando l’economia si scorpora dalla società».

Tratto da “Come siamo diventati disumani” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri 29 di ottobre: Dove ci siamo smarriti, prima che il virus ci trovasse rivelando la nostra fragilità nascosta dietro la potenza del progresso, della scienza e della conoscenza? Eravamo ancora liberi, autonomi, quando abbiamo reagito alla grande metamorfosi del mondo intorno a noi attraverso la paura e l’esclusione, senza accorgerci che stavamo trasformando anche la nostra natura nel risentimento e nel rancore, producendo una nuova antropologia, una nuova lingua, una nuova politica. Come se la violenza nascosta nella crisi economica più lunga del secolo e lo spossessamento della globalizzazione avessero fatto saltare non solo le nostre strutture di mediazione politico-culturali, ma anche la coscienza dell’interdetto morale, il senso del limite, il sentimento della responsabilità, liberando un nuovo senso comune che genera gli egoismi più radicali mentre ha già prodotto un contesto che li legittima, spesso li approva, certamente li giustifica. Ciò che non permettevamo a noi stessi di pensare, nel privato, è diventato discorso pubblico quotidiano, dunque introiettato come normale, senza più argini culturali, sul terreno incustodito di una società avvelenata giorno dopo giorno dalla sua stessa sconosciuta ferocia. (…). …la bolla d’odio si è addirittura estesa, insediandosi nella Rete, dove non c’è un paesaggio disperato a far da sfondo e non c’è nemmeno un corpo, un volto da prendere a bersaglio: qui l’odio muove nel vuoto, è senza oggetto, incarna «il potere impersonale del disumano». Accanto, una regressione avviata da anni sta distruggendo tutto ciò che custodivamo nella sfera protetta dell’umano. Il virus è l’ultimo attore, per l’ultimo atto: attacca l’intera struttura di valori e di norme che ha retto la vita associata, azzerando le conquiste del nostro umanesimo, sostituendo le regole dell’immunitas a quelle della communitas. L’umano e il disumano hanno sempre convissuto nella storia dell’uomo. Ma ci sono luoghi e momenti in cui quel rapporto si squilibra. Oggi, (…), siamo in questo passaggio, una terra di nessuno dove un sistema di valori sbiadisce senza che un nuovo codice di principi sia pronto per sostituirlo. Il concetto di Humanitas nasce prima di Cristo, nella Roma repubblicana, traducendo la Philantropia greca, il rispetto e l’attenzione dell’uomo nell’uomo, che si combinava con l’educazione, perché solo l’uomo colto era davvero consapevole dell’universalità della natura umana. Anche per Cristianesimo, Rinascimento e Illuminismo la coscienza dell’umano era il risultato di ogni vera acculturazione. Ma questa certezza si è infranta sul cancello di Auschwitz, quando scopriamo che si può leggere Goethe la sera, o suonare Bach, e il mattino dopo andare al lavoro nel campo di sterminio. Irrompe il disumano, programmato non contro, ma dentro la razionalità e la cultura dell’Europa, e riduce l’uomo a nulla per l’altro uomo. L’eccezionalità di Auschwitz tuttavia non ci immunizza. Anzi, l’inumano è diventato oggi la trama imparata a memoria e continuamente riproposta della nostra attualità, con la morte in massa dei migranti in mare vista prima con pena, poi con assuefazione, quindi fastidio e infine con odio: in un’inversione morale che rovescia i crimini contro l’umanità nel nuovissimo crimine di umanità, trasformando per la prima volta l’Humanitas in fuorilegge. Ma quante volte nel Novecento, (…), abbiamo visto una moltitudine di uomini inciviliti impegnati a coltivare la propria crudeltà?È la peste nera della «morte del prossimo» che ci ritroviamo davanti oggi, «senza nemmeno più il frastuono del delirio ideologico, anzi come normalità opposta all’eccezione». Questa estraneità egoistica inizia nel 1987 con la «fine della società» decretata da Margaret Thatcher? O forse con la fine del lavoro come forma di status. O magari con l’onnipotenza tecnica del web che rende assente il prossimo mentre rende fittiziamente vicino il lontano, smaterializzando i corpi, scambiando gli stimoli per le emozioni, sostituendo le icone alle persone. L’espressione dell’identità altrui diventa nel mondo virtuale pura rappresentazione, sia che il soggetto si accoppi su YouPorn sia che muoia sgozzato da un tagliagole di Daesh. Certo, alla fine arrivano i populisti «a liberare l’ombra che giaceva sul fondo dell’immaginario collettivo: ma il prossimo aveva incominciato a morire prima, quando l’economia si scorpora dalla società, si rende autonoma dal reticolo dei rapporti sociali e si necrotizza».Poi viene il virus, e come il lampo di un flash che illumina, ci rivela quel che siamo diventati, mettendo a nudo una condizione umana e sociale che si credeva sana. Ecco che dentro la pandemia finisce l’istinto inumano che avevamo conosciuto, adesso teorizza l’immunità di gregge (morirannoi più fragili ma ne usciremo più forti, con una spesa minore), in una replica stupefacente dell’eterno dilemma: o la borsa o la vita. Il marchio del disumano segna la riduzione dell’unicità di ogni vita umana nell’anonimato della specie: dove si potrà selezionare tra vite giovani da salvare e vite anziane, o malate, da lasciar andare, o mettere in coda. (…). C’è qualcosa di mostruosamente razionale (…), dove la legge morale della Polis si arresta di fronte alla legge naturale del Bios: e c’è il procedere della nuova, moderna disumanità. Ma è in questo tempo malato che nasce il post-umano. Dalla Genesi fino ad oggi, infatti, l’uomo era qualcosa di unico, un caso di eccezionalismo permanente e di discendenza biblica nel suo essere razionale, dotato di intelletto, capace di conoscere, dunque cosciente che la sua dignità sta nel pensiero, nella possibilità - per lui solo - di conversare con Dio. Ma adesso questa certezza nell’unicità assoluta dello specifico umano viene meno. L’uomo ha imparato a fabbricare un uomo artificiale (geneticamente o tecnologicamente), dunque mentre diventa lui stesso “creatore” perde la propria eccezionalità esclusiva. Il post-umano è incominciato, e subito si autonomizza, perché oggi operano «manufatti che progettano altri manufatti», guidano le nostre auto, fanno diagnosi mediche, insegnano a scuola, sono pronti ad amministrare le regole della giustizia, regolano già il traffico. E a Hong Kong una società ha nominato un algoritmo di nome Vital nel suo Consiglio di amministrazione, come sesto membro, con diritto di veto su decisioni che non rispondono alla logica d’impresa. Si scopre che «l’uomo è antiquato», da quando non possiede più l’esclusiva del pensiero. È vero che resta una differenza tra essere intelligenti ed essere umani. La macchina più evoluta, (…), saprà innamorarsi? Provare compassione, o rancore? Riuscirà a meravigliarsi? Ma il vero dubbio è un altro: quella macchina ragiona davvero, o esegue soltanto? Conosce la semantica oltre alla sintassi? Oppure combina espressioni significanti senza conoscerne il significato, perché parla ma non pensa, mima soltanto il pensiero? Finché si arriva alla soglia della svolta, anticipata da Papa Francesco nella Laudato si’: «Questa sorella Terra protesta per il male che le provochiamo, siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla». Partendo da qui può nascere un post-umanesimo che vada oltre i confini dell’uomo, ne riconosca i limiti e la connessione con le altre specie viventi, l’habitat e le generazioni future, cercando la dignità prima che l’utilità. Sul confine estremo dell’umano, dove siamo giunti, l’ultimo uomo può così adesso riformulare l’”ergo sum”, se il “cogito” è finalmente capace di andare oltre lui stesso.

1 commento:

  1. "Il primo passo nell'evoluzione dell'etica è un senso di solidarietà con gli altri esseri umani".(Albert Schweitzer). "Chi aiuta gli altri aiuta se stesso".(Lucio Anneo Seneca)."La solidarietà è l'unico investimento che non fallisce mai". (Henry David Thoreau)."Il peggior peccato verso i nostri simili è l'indifferenza. Questa è l'essenza della disumanità".(Georg Bernard Shaw). "La terra è la mia patria e l'umanità la mia famiglia".(Gibran Khalil). Grazie, Aldo, per questo post così realistico e denso di chiare esortazioni a riflettere sulle cause dei gravi problemi,legati al difficile momento che stiamo vivendo.Buona continuazione. Agnese A.

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