Ha scritto Michele Serra in “La coperta infinita” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” dell’altro
ieri 10 di febbraio: È un momento che, diciamo così per amor di
Patria, ognuno fa finta di credere che il governo Draghi sia una coperta così
lunga e così larga da poter coprire lo Stivale dai piedi ai capelli, da destra
a sinistra, dal ricco al povero, dall'ateo al baciapile, dal manager impaziente
all'assistito cronico. Fa quasi tenerezza, in questo senso, il Salvini che dopo
le quattro chiacchiere con Draghi si dichiara soddisfatto del non-aumento delle
tasse, come se far pagare quelle presenti già non fosse, per l'elettorato del
Salvini, una durissima prova, e quasi un'offesa. E come se non ci avesse
intronato per un paio d'anni, sempre il Salvini, con la famosa flat tax, che è
praticamente il contrario esatto di quel capitalismo sociale che Draghi
sembrerebbe avere in animo. Diciamo che non ci si annoia. E tantomeno ci
annoieremo nei prossimi mesi, quando Draghi sarà costretto a far presente al
suo vasto esercito che il generale è lui, e spetta dunque a lui decidere le
mosse della battaglia. Al primo bastimento carico carico di migranti che
arriverà sulle nostre coste, per esempio, sarà molto interessante capire quanto
a lungo il Salvini riuscirà a cucirsi le labbra e farsi incatenare alla
scrivania, ammesso ne abbia una, prima di sbottare e andare personalmente a
ribaltare la nave nemica. Anche perché, detto tra noi, nel frattempo Meloni
farà di tutto per rubargli l'elettorato sotto il naso. Può un Giorgetti
recuperare al centro quello che un Salvini perderà a destra? È uno dei quesiti
dei prossimi mesi. Gli altri trentanove quesiti riguardano il Pd, ma sono
troppi e mancano sia lo spazio sia il coraggio per affrontarli... Sta
tutta in questi giochetti la infima pochezza della politica “all’amatriciana”, che
a buon ragione non può che essere definita “tout-court” una politica “imbelle”.
Tratto da “Quelli che… Mario frustaci
ancora” di Tomaso Montanari, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi
venerdì 12 di febbraio 2021: (…). Si può mettere in dubbio lo status
messianico del presidente del Consiglio incaricato, ricordando che la sua
intera carriera e il suo operato pendono dalla parte di chi ha reso il nostro
mondo ciò che è (e cioè mostruosamente ingiusto, e diseguale), e non dalla
parte di chi ha provato a migliorarlo? Si può auspicare, infine, che qualcuno,
in Parlamento, abbia sufficiente autonomia politica e morale per “disobbedire
al presidente Mattarella” (magari per non governare coi fascisti), questa
inimmaginabile condotta da reprobi? In pochi giorni, l’articolo 1 della
Costituzione è stato riscritto così: “L’Italia è una Repubblica paternalista,
fondata sui migliori”. E uso ‘paternalismo’ in senso proprio: nascendo quella
parola per definire una “politica… caratterizzata da una bonaria e sollecita
attenzione verso i bisogni dei sudditi, escludendoli però completamente dal
controllo delle attività dello Stato e da una qualsiasi forma di partecipazione
alla gestione della cosa pubblica” (così il Grande dizionario della lingua
italiana). Il nuovo mantra dell’antipolitica ha assunto toni monarchici,
autoritari, repressivi. ‘È finita la ricreazione! È entrato il preside: ora
sono tutti muti, a capo chino’; ‘finalmente sono stati commissariati, quegli
incapaci del Parlamento!’; ‘ha parlato il Presidente, nella sua saggezza, ora
non vola una mosca’; ‘il Presidente sarebbe ‘infastidito’ dalle condizioni
poste dai partiti’. E via dicendo. Il fasto del Palazzo del Quirinale ha
eclissato le aule sorde e grigie del Parlamento esercitando, ancora una volta,
la sua malìa autocratica: i fantasmi di papi e re hanno ripreso la scena, rimettendo
al proprio posto il popolo bue, e i suoi bovini rappresentanti. Imponendo il
nome di Draghi senza sottoporlo a consultazioni preventive (l’Eletto ne sarebbe
uscito svilito); annunciando che un “alto profilo” spazzava finalmente via i
populisti trogloditi; teorizzando un governo “che non debba identificarsi con
alcuna formula politica”, il Presidente ha inferto una mazzata micidiale al
Parlamento: che vede divorato, sul colle più alto, un governo cui aveva appena
rinnovato la fiducia. Ora, più ancora di questa mossa con pochi (e discutibili)
precedenti – ma comunque dentro i confini formali della Carta – sconcerta il
plauso con cui tutti l’hanno accolta: te deum, ceri, inni, vitelli grassi
sgozzati. Era il funerale della democrazia parlamentare, così debole,
impotente, screditata da esser pugnalata a morte da un sicario saudita, e poi
sepolta frettolosamente da un Padre severo: eppure i morti ballavano, e
bevevano. Quanto è profonda la disillusione, anzi il disprezzo, verso la
democrazia parlamentare, se tutti gioiscono perché le decisioni circa il bene
comune vengono ora prese da una persona sola, con una regressione
plurisecolare? Il godimento masochista di un’intera democrazia che, vedendosi
umiliata, grida: ‘dai, frustami ancora!’. Ma è solo l’inizio. Perché questo
‘governo del Presidente’ (cioè ‘governo non parlamentare se non proforma’) è
aristocratico intimamente: programmaticamente. Da Berlusconi ai giornali degli
Elkann, tutti invocano il ‘governo dei migliori’. Si glossa: dei competenti. Vano
chiedere competenti su cosa (domanda lecita, viste le prime uscite sulla
scuola: da bar dello sport dei Parioli). Vano ricordare che se l’Italia è messa
com’è messa, è colpa non dei populisti ma dell’élite più ignorante, corrotta,
familista, incapace del pianeta. Vano perché, come è chiaro fin dai tempi di
Aristotele, si scrive aristocrazia, si legge oligarchia: governo dei pochi.
Cioè dei ricchi. È davvero il culmine italiano dell’ordoliberismo: “Uno Stato
sotto sorveglianza del mercato, anziché un mercato sotto la sorveglianza dello
Stato” (Foucault). In un momento in cui i tre uomini più ricchi d’Italia
possiedono quanto i sei milioni di cittadini più poveri, in un momento in cui
il massimo pericolo per la democrazia è che i ricchi sono sempre più ricchi e i
poveri più poveri, si affida il governo della Repubblica all’uomo Goldman
Sachs. Uomo nel senso di maschio, innanzitutto: perché il paternalismo è, per
definizione, maschilista. E l’uomo di potere deve essere accompagnato, due
passi indietro, da una “moglie di gran classe che non parla neppure se
interrogata” (Aspesi). Maschio solo al comando: farà tanto meglio, in quanto
non dovrà trattare con gli spregevoli partiti per i nomi dei suoi ministri. È
chiaro che stiamo imboccando l’oligarchia come via d’uscita dalla crisi della
democrazia parlamentare? Con tanto di cronache a getto continuo dal buen retiro
umbro della famiglia reale: che fa una vita così normale, signora mia! Stiamo
cadendo da una (orribile) padella a una (fatale) brace. Una brace che ben
conosciamo: “È da vedere se questo modo di pensare, molto diffuso, non sia un
residuo della trascendenza cattolica, e dei vecchi regimi paternalistici”, si
chiedeva Antonio Gramsci. “Costruire la democrazia equivale a distruggere le
oligarchie – ha scritto Gustavo Zagrebelsky – con la precisa consapevolezza che
a un’oligarchia distrutta subito seguirà la formazione di un’altra, composta da
coloro che hanno distrutto la prima”. In questo caso – è il dramma –
l’oligarchia è quella di prima, che torna: mai distrutta. Quella che ha portato
il Paese al disastro, il pianeta sull’orlo dell’abisso. Mentre il costume e la
retorica tornano a prima del 1789, o, a tutto concedere, a un dispotismo
illuminato in cui il monarca-padre decideva per il ‘bene’ di sudditi eternamente
minori. Siccome il danno, l’involuzione, prima che istituzionali sono
culturali, se ne esce, se se ne esce, solo a dosi massicce di pensiero critico:
pensiero contro, insubordinato, eretico, non conforme. Una mobilitazione di
pensiero nelle scuole e nelle università, nei luoghi dove ancora si può
cercare, attraverso una “erudizione implacabile” (ancora Foucault) di non
piegare le ginocchia di fronte a padri saturnini. Occorre “il senso della
rivolta” e la “capacità di sfruttare appieno le rare opportunità di discorso
concesse” (Said). E, con il Tommasino di Casa Cupiello, occorre saper
rispondere, a chi chiede ossessivamente “ti piace il presidente Draghi?”: No.
Non mi piace!.
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