"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 28 febbraio 2021

Storiedallitalia. 100 «L'incoerenza al potere è diventata la cifra prevalente della nostra democrazia malata».

 

Ha scritto Massimo Fini su “il Fatto Quotidiano” di ieri sabato 27 di febbraio 2021 in “Sputi e corruzione: beata democrazia”: (…). Le Democrazie sono, storicamente e statisticamente, i sistemi politici più corrotti del mondo, più delle dittature, delle autocrazie, delle teocrazie. E si comprende facilmente il perché: le varie fazioni politiche, in perenne conflitto fra di loro per procacciarsi il consenso, ricorrono molto spesso, per non dire quasi sempre, ad atti illeciti. Quella italiana, almeno in Europa, è la più corrotta di tutte, più che in Germania, più che in Spagna, più dei pur corrottissimi cugini francesi. Pervertiti sono i suoi meccanismi istituzionali a uso e consumo delle varie autocrazie, economiche e politiche. Corrotti sono i partiti, poco più che delle associazioni mafiose che proteggono, a scapito di pochi cittadini liberi, gli amici e gli “amici degli amici”. Corrotto in larga misura è il Parlamento dove siedono centinaia di inquisiti e anche condannati per reati di diritto comune e personaggi di un tale squallore che ci si chiede perché mai siano lì a rappresentare la più prestigiosa Istituzione della Repubblica. Scrive Alexis de Tocqueville in La democrazia in America: “Al mio arrivo negli Stati Uniti fui molto sorpreso scoprendo fino a qual punto il merito fosse comune fra i governati e come fosse scarso nei governanti” e aggiunge “Nella democrazia i semplici cittadini vedono un uomo uscire dalle loro file e giungere in pochi anni alla ricchezza e alla potenza: questo spettacolo suscita la loro sorpresa e la loro invidia. Essi ricercano in che modo colui che ieri era un loro eguale sia oggi rivestito del diritto di dirigerli”. Corrotta è la Pubblica Amministrazione infiltrata arbitrariamente dai partiti. Corrotta è una parte della Magistratura, soprattutto nei suoi gradi più alti. Corrotto è il mondo universitario dove, solitamente, si entra e si avanza non per merito ma per uno scambio di favori e c’è voluto un docente di origine inglese, Philip Laroma Jezzi, per smascherare un sistema che tutti conoscevano. La mafia, per parafrasare al contrario Bertoldo, sono quattro: la mafia propriamente detta, la ‘ndrangheta, la camorra, la Sacra corona unita, cui si aggiunge quel “mondo di mezzo” per il quale è stata accolta con gran giubilo una sentenza della Magistratura che non lo giudicava propriamente mafioso mentre si tratta di un fenomeno ancora più grave perché le mafie ufficiali sono malavita organizzata gerarchicamente e quindi, in teoria, individuabile, il “mondo di mezzo” no, perché può essere dappertutto. Scriveva Ignazio Silone in Vino e Pane: “Per vivere un po’ bene, bisogna vendere l’anima. Non c’è altra via”. Si riferiva al periodo fascista, ma questo vale anche, e forse ancora di più, nella democrazia italiana degli ultimi decenni. (…). Tratto da “Draghi, restaurazione sulle macerie dei partiti” di Gad Lerner, pubblicato sempre su “il Fatto Quotidiano” di ieri: Non dubito della buona fede con cui il presidente Mattarella ha compiuto la scelta d'imperio del governo Draghi ("democrazia dall'alto", l'ha chiamata Gustavo Zagrebelsky), considerandolo un male minore rispetto a elezioni anticipate da svolgersi in piena emergenza. (…). Mi chiedo però se Mattarella abbia valutato, soppesando i pro e i contro della soluzione Draghi, anche l'effetto nefasto prodotto fra i cittadini comuni dai clamorosi voltafaccia in cui si sono esibiti troppi protagonisti della nostra politica. Lo si presenta come senso di responsabilità, addirittura felice resipiscenza, ma appare fin troppo evidente che si tratta di faccia tosta. Nessuno crede all'europeismo di facciata di un Salvini così come all'improvvisa folgorazione moderata, liberale e atlantista di un Di Maio. Quanto al Pd, l'unica cosa che si capisce è la sua impossibilità a concepirsi altro che partito ministeriale. Al pari delle forze minori di centro, Berlusconi in testa, fortunosamente rientrate nel gioco. I partiti ne sono usciti a pezzi, chi più e chi meno afflitti da ulteriori lacerazioni. Sottovalutare gli effetti futuri di questa dissoluzione, ben visibile nei rancori che si manifestano all'interno dei loro gruppi dirigenti, a me sembra pericoloso. Si potrebbe obiettare che il trasformismo è da sempre una caratteristica della politica italiana. E che anche di recente abbiamo assistito a trasformazioni virtuose di personalità, come Giuseppe Conte, rivelatosi capace di assumere una fisionomia diversa da quella meramente subalterna assegnatagli nel 2018 da M5S e Lega. Ma resta il fatto che l'incoerenza al potere è diventata la cifra prevalente della nostra democrazia malata, acuita al massimo grado nel governo dell'emergenza. Davvero improponibile è il paragone con i governi di unità nazionale del dopoguerra, nei quali coabitavano partiti politici protesi alla ricostruzione del Paese dopo aver combattuto insieme, nel Cln, il regime fascista: un profilo comune, sociale e culturale, pur nelle grandi diversità che presto si manifesteranno, oggi del tutto assente. Non a caso nella storia d'Italia, i governi di unità nazionale hanno sempre avuto vita breve (a differenza della “grosse koalition” tedesca) e sono stati caratterizzati da scarsa capacità riformatrice, in quanto paralizzati dai veti reciproci. Perfino la scelta dei sottosegretari, che ha messo in imbarazzo anche i più devoti cultori dei superpoteri di Draghi, lascia intendere che questo governo non farà eccezione. Sicché riesce davvero temerario illudersi che il banchiere trasformatosi in politico possa diventare il riordinatore di un sistema fondato sull'alternanza democratica fra una destra e una sinistra di matrice europeista. Gli stessi moti di esultanza che hanno accompagnato la nascita di questo governo segnala-no che non si tratta, di un'innovazione bensì di una restaurazione. Esso non prefigura, cioè, la formazione di una nuova classe dirigente democratica, bensì il ritrovato protagonismo di funzionari e notabili che nel passato recente pretesero e ottennero, solo per fare un esempio, l'inserimento dell'obbligo di pareggio di bilancio nella nostra Costituzione. Sia detto per inciso: il relatore di quella riforma votata a larga maggioranza nel 2012 si chiamava Giancarlo Giorgetti, che poi non ebbe niente da ridire quando la Lega due anni dopo si scatenò in una campagna elettorale al grido "Basta euro”. Analoghe contraddizioni hanno costellato il passaggio del M5S dal fautore della Brexit, Nigel Farage, al voto per Ursula von der Leyen; e da Salvini a Zingaretti. Il rifiuto di riconoscere validità alla distinzione fra destra e sinistra è la causa principale della sua deflagrazione. Resta il fatto, però, che pur con tutte le accuse di dilettantismo che il governo Conte bis si è tirato addosso, i suoi ministri hanno svolto un ruolo determinante nella svolta impressa all'Unione europea nel luglio del 2020. Un merito che in futuro nessuno potrà togliergli.

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