"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 6 febbraio 2021

Storiedallitalia. 92 Renzi Matteo vs «l’avvocato del popolo».

Sta scritto all’articolo 49 della “Costituzione” d’Italia: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Ha scritto Michele Serra in “Il grande tessitore” pubblicato ieri, venerdì 5 di febbraio 2021, sul quotidiano “la Repubblica”: "Le vicende di questi giorni dimostrano che la politica non si fa con gli aut aut, ma con una paziente opera di tessitura e dialogo". La frase è di Matteo Renzi, (…). In bocca al leader politico meno disposto, dopo Attila, alla tessitura e al dialogo (o si fa come dice lui, o non se ne fa nulla), suona fantastica. Quasi spiritosa. Poiché Renzi ha la parola veloce, si potrebbe pensare a una frase riuscita male. Oppure tocca prendere atto di una lettura della crisi (la "sua" crisi) più astuta e più occulta di quella che i comuni mortali hanno potuto intendere: lui si considera il vero artefice dell'avvento di Draghi (ecco la tessitura) e presume di essere il suo interlocutore politico più ascoltato (ecco il dialogo). Forse la politica non ha tempo per le questioni di stile. Ma un poco dispiace che nel sostanziale commissariamento dei partiti che il Quirinale – (…) - ha messo in atto incaricando Mario Draghi, non tutti si sentano ugualmente dietro la lavagna. Il Pd paga il prezzo del suo governismo a oltranza, dunque della sua lealtà a Conte; i Cinquestelle del loro Dna tanto confuso da essere oramai illeggibile, Masaniello in grisaglia non è un compromesso, è uno scherzo di natura; il centrodestra sconta la sua goffa simulazione di unità, una modesta furbata per fingersi in grado di governare da solo. Nella classe deserta, solo un alunno rimane tranquillamente seduto al suo banco, spiegando a tutti gli altri dove hanno sbagliato. No, Matteo Renzi non è simpatico, e se in politica non è un demerito, è il momento giusto per dire che non è nemmeno un merito. Tratto da “L’uomo debole solo al comando” di Michela Murgia – scrittrice – pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 31 di gennaio 2021: (…). Come Roncalli, anche Conte è stato scelto per far da segnaposto in attesa di maggioranze più nette. All’atto della nomina ha pronunciato un’accattivante frase confidenziale, inviando a casa non una carezza ai bambini, ma la suggestione di avere nei palazzi del potere un avvocato del popolo. Lo scolorito burocrate che doveva sparire presto ha ribaltato il tavolo in pochi mesi. Prima ha capitalizzato le incaute dimissioni di Salvini, il più tracotante alleato politico, riuscendo nella rara torsione felina di tornare premier con una maggioranza di segno opposto. Da lì ha trasformato il Pd di Nicola Zingaretti in un complice prono a ogni compromesso e ha divorato internamente il consenso di Luigi di Maio, l’enfant senza prodige del M5S, che ha visto la parabola di Conte salire in direzione talmente opposta alla sua da fargli perdere la leadership del partito. Eppure faremmo fatica a citare una sola sua idea, un posizionamento o una semplice affermazione che ci restituisca qualcosa di simile al pensiero politico di Giuseppe Conte. Se esiste, non gli serve dircelo, anzi è controproducente. Dopo anni di orizzonti in scontro, essere governati da qualcuno che non dice mai che mondo vuole deve essere sembrato a molti un sogno finalmente non divisivo, una tregua civica in cui nessuno doveva più difendere una posizione. Nella pax contiana si è potuti restare abbastanza di destra da non toccare la sostanza infame dei decreti sicurezza, ma sentendosi abbastanza di sinistra da minacciare il commissariamento a una regione che si rifiutava di adottare la doppia preferenza di genere nella sua legge elettorale. Abbastanza di destra da proporre un’indiscriminata e iniqua flat tax, ma abbastanza di sinistra da andare a sedersi per terra all’inaugurazione della stagione del Cinema America, col maglioncino di cashmere sulle spalle e i selfie con i giovani reduci di un’occupazione urbana. Conte è l’istituzionalizzazione dell’idea non che uno valga uno, ma che tutto vale quanto il suo contrario. Non è strano che goda di un gradimento trasversale: è il chiodo di Pascal disegnato sul muro che offre a ciascuno l’illusione di poterci appendere il cappello, almeno finché non ci prova. L’uomo a caso in una situazione straordinaria cosa può fare in più o in meno dell’uomo giusto? Roncalli, con quel guizzo profetico che è il canto finale di certe preziose vecchiaie, seppe riconoscere la straordinarietà nei tempi che stava vivendo e la interpretò aprendo il Concilio. Forse era un uomo a caso, ma per caso era anche l’uomo giusto. Conte si è trovato lì nel momento in cui la storia prendeva forma di pandemia e trasformava il paese in un bambino fragile a cui l’avvocato in Europa serviva davvero. Non è la santità che li accomuna, tantomeno lo spessore. È la natura monarchica del possesso di quei pieni poteri che mai avremmo lasciato in mano a Salvini, che con un NO secco abbiamo negato alla riforma accentratrice di Renzi e che invece per quasi un anno Conte ha esercitato quasi papalmente senza che nessuno sentisse di vivere in un sistema messo a rischio. L’avvocato del popolo, in due giri di governo, ci ha mostrato che siamo una democrazia con gli anticorpi per affrontare l’uomo forte, ma non sappiamo come reagire se al comando ci va l’uomo debole, tantomeno se poi non lo è. Chiunque guiderà il nuovo governo, questo faremmo bene a ricordarlo.

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