"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 7 settembre 2024

Lavitadeglialtri. 39 Barbara Spinelli: «È vero che Netanyahu teme di perdere il potere, ma un piano ce l’ha: la pulizia etnica in Palestina».

(…). A Gaza tra una o due settimane i bambini si tornerà ad ammazzarli vaccinati. Un domani, sarebbe più scabroso sparare a un ragazzino paralitico che non può neanche fuggire dopo aver lanciato una pietra. È inutile girarci attorno. Siamo alla débacle morale, prima ancora che politica, dell'Occidente. Fino a quando potremo tollerare la franchigia morale, politica, umanitaria che tra connivenze aperte, ipocrisie, reticenze siamo costretti a dare a Israele per la sua "sicurezza"? Siamo ormai al plateau, che non accenna a decrescere, di un approccio in parte genocidario, in parte di pulizia etnica nei confronti di un intero popolo. La narrativa smerciata in Occidente è che i palestinesi sognano una Palestina dal fiume al mare. Appunto, sognano. Quest'unità territoriale del Grande Israele dal Giordano al mare lo sta attuando da decenni Israele, con il beneplacito sostanziale dei suoi Lord protettori, che nutrono qualche perplessità solo quando il costo di immagine comincia a essere difficile da gestire. Assistiamo da mesi a reprimende, inviti alla moderazione, giaculatorie, attenti però a far capire che se lo scenario bellico cessasse di essere il tirassegno dell'Idf sulla popolazione palestinese per colpire a strascico i capi e i miliziani di Hamas e diventasse una vera guerra in cui si muore in modo un po' più equilibrato tra le parti, noi saremo lì a fare la nostra parte con portaerei, missili e quant'altro. Siamo in una tragedia senza vie d'uscite. È inutile raccontarsi menzogne. La terra per due popoli, due Stati non c'è più da decenni, e quella che si è preso, Israele, e non solo Netanyahu, non ha nessuna intenzione di restituirla. Netanyahu per non essere travolto accenderà ogni guerra possibile nella regione, ed è forse solo la scelta strategica dell'Iran che non gli conviene cadere nella trappola di un conflitto generale aperto, che ci lascia qualche margine di illusione che un conflitto generale nella regione si possa evitare. Israele è un paese in preda ai propri demoni, a un'angoscia esistenziale che si avverte senza futuro di pace, di possibilità di convivenza pacifica nella regione: ha deciso da decenni che può sopravvivere solo in armi, e chi lo tocca deve morire, meglio se preventivamente. La sua politica estera nella regione è, al dunque, nient'altro che la sua politica militare. La domanda che non vediamo porsi in Israele, se non in modo minoritario, altrimenti Netanyahu non sarebbe ancora al comando, è se l'esistenza di Israele può essere affidata a questa disperazione esistenziale, che si fa rovina politica e morale. Se non sia venuto il momento di porsi la domanda se la sicurezza di Israele non passi piuttosto per la soluzione della questione palestinese, cioè della fine della "cattività" cui questo popolo è costretto da decenni, della vita "concentrazionaria" che subisce. Qui delle due l'una. O si continua a garantire a Israele l'avallo a tutto quello che si è visto in questi decenni, o si garantisce Israele addossandosi la sua sicurezza non con le portaerei, ma con la gestione diretta da parte della comunità internazionale dei territori palestinesi, garantendo a Israele la sua sicurezza militare, ma anche ai palestinesi di essere padroni in casa propria senza essere ostaggio di milizie o di gestioni corrotte. Una gestione che faccia dei territori palestinesi territori "aperti" a una cittadinanza con standard europei. Una soluzione del genere è certo che sarebbe invisa a Netanyahu e ad Hamas. Ma questo è un argomento a suo favore. L'alternativa sono altri decenni di bradisismo terroristico di milizie e di Stato, in attesa della scossa che butta giù tutto. (Tratto da “Gaza, ai bambini vaccinati si potrà sparare ancora” di Eugenio Mazzarella, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 5 di settembre 2024).

«La lobby occidentale che difende “Bibi”», testo di Barbara Spinelli pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 4 di settembre ultimo: (…). La diffamazione scatta in automatico, come un tic. È brutale e può distruggere un’ambizione politica. Ha dietro di sé la forza dei giornali mainstream, dei talk show in Tv, dell’establishment politico ed economico. Il linguaggio dei diffamatori è ripetitivo, se di linguaggio si può parlare quando vengono reiterate compulsivamente formule e aggettivi mai spiegati. È il lessico propagandistico (hasbara, in ebraico) di uno dei più potenti e antichi gruppi di pressione: la lobby sionista israeliana. Non importa quel che accade a Gaza: più di 41.000 morti, soprattutto bambini e donne. Da tempo ha cessato di essere una rappresaglia. Non importano le proteste sempre più diffuse in Israele – parenti degli ostaggi, sindacati, giornali come Haaretz – e nelle università europee e statunitensi. Il sionismo inteso come progetto coloniale vacilla ma la lobby, finanziariamente molto influente, non se ne cura. Se osteggi le politiche di Tel Aviv, difendi i palestinesi e chiedi di metter fine all’invio di armi a Israele, vuol dire che sei antisionista, dunque automaticamente antisemita, dunque indifferente al genocidio subito dagli ebrei nel Novecento: questo il sillogismo ricorrente, arma della lobby. Il peso abnorme esercitato dai gruppi di pressione israeliani, specie negli Stati Uniti, è un dato difficilmente confutabile. È una delle tante verità israeliane mai ammesse, sempre opache. È opaca la denominazione dello Stato, definito ebraico pur essendo abitato per oltre il 25 per cento da non ebrei (arabo-palestinesi musulmani e cristiani, cristiani non arabi, drusi, beduini, ecc.). È opaca la formula che descrive Israele come “unica democrazia in Medio Oriente”, perché la democrazia non si concilia con l’occupazione coloniale o l’assedio dei palestinesi. È opaca la forza militare di Israele, che dagli anni 60 dispone di un armamento atomico senza mai ammetterlo. Secondo il giornalista Seymour Hersh, Tel Aviv ha già minacciato una volta l’uso dell’atomica, nella Guerra del Kippur del 1973 (The Samson Option, 1991). Ma più opaca di tutte le politiche è l’esistenza di una lobby sionista estremamente danarosa e attiva – soprattutto in Usa e Regno Unito – che fin dalla nascita dello Stato di Israele sostiene le sue politiche di colonizzazione, e che oggi appoggia l’ennesimo tentativo di svuotare la Palestina dei suoi abitanti. Si dice che Netanyahu sta spianando Gaza e attaccando anche la Cisgiordania solo per restare al potere, senza un piano per il futuro. Quasi un anno è passato dalla strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre, e una rettifica si impone. È vero che Netanyahu teme di perdere il potere, ma un piano ce l’ha: la pulizia etnica in Palestina. La lobby sionista ha istituzioni secolari negli Stati Uniti e Gran Bretagna e filiali ovunque. Influenza i giornali e li monitora, finanzia i politici amici.  Denuncia regolarmente l’antisemitismo in aumento, mescolando antisemitismo vero e opposizione alle guerre di Israele. Nei Paesi europei operano vari gruppi di pressione tra cui l’Ong Elnet (European Leadership Network). È chiamata a volte lobby ebraica, ma con l’ebraismo non ha niente a che vedere. Ha a che vedere con il sionismo, che è una corrente politica dell’ebraismo e che dopo molti conflitti interni ha finito col pervertire la religione. È nata nella seconda metà dell’800 e culminata nei testi e negli atti fondatori di Theodor Herzl e Chaim Weizmann. Per il sionismo politico, l’ebraismo non è una religione ma una nazione, uno Stato militarizzato, edificato in Palestina con uno slogan che falsificando la realtà era per forza bellicoso: la Palestina era “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, data da Dio agli ebrei per sempre. Secondo il filosofo Yeshayahu Leibowitz, che intervistai nel 1991, Israele era preda di un “nazionalismo tendenzialmente fascista”. Non stupisce che Netanyahu e i suoi ministri razzisti si alleino oggi alle estreme destre in Europa e Usa. Non tutti gli ebrei approvarono la ridefinizione della propria religione come nazione e Stato. In parte perché consapevoli che la Palestina non era disabitata, in parte perché la lealtà assoluta allo Stato israeliano imposta dalla corrente sionista esponeva gli ebrei della diaspora a sospetti di doppia lealtà. (…). L’idea-guida del sionismo millenarista è che Israele ha un diritto divino a catturare l’intera Palestina. Se il piano si realizza, giungerà o tornerà il Messia. Questo univa nell’800 sionisti ebrei e cristiani. C’era tuttavia un tranello insidioso: per i sionisti cristiani, il Messia arriva a condizione che gli ebrei alla fine si convertano in massa al cristianesimo. Il sionismo colonizzatore è oggi in difficoltà. “Non in mio nome”, è scritto sugli striscioni degli ebrei che manifestano contro la nuova Nakba (“Catastrofe”, in arabo) che il governo Netanyahu infligge a Gaza come nel 1948. E che infligge in Cisgiordania dal 28 agosto. Ciononostante i governi occidentali accettano l’equiparazione fra antisemitismo e antisionismo, per timore delle denigrazioni e manipolazioni della lobby. (…). L’unica cosa certa è che la politica di Israele non solo svuota la Palestina e crea nuove generazioni di resistenti più che mai agguerriti, non solo rende vano l’appello ai “due popoli due Stati”, ma mette in pericolo gli ebrei in tutto il mondo. Nel lungo termine può condurre Israele stesso al collasso.

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