Una politica imbelle. 2 “Solo posti in piedi” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi: (…). Inondato (Draghi Mario n.d.r.) dalla saliva dei laudatores “a prescindere” (non ha ancora detto una parola, ma già fa miracoli con la sola forza del pensiero: tipo San Francesco che ammansisce il lupo sovranista). Perseguitato dalle esegesi sui contenuti della mitica “Agenda Draghi” (una Treccani, per farci stare tutto quel che gli attribuiscono). Molestato dalle autopromozioni di aspiranti ministri che soffrono e s’offrono. E assediato da noti bugiardi en travesti che si spacciano per l’opposto di se stessi pur di farsi notare (spettacolari le supercazzole del M5S per non parlare di B. e del figlioccio rignanese, i camuffamenti del Cazzaro dalla felpa al doppiopetto e dalla mascherina di Trump a quella di Carola, ma più di tutto il Pd che finge di credergli). Roba che non augureremmo al nostro peggior nemico (anche perché è solo l’antipasto: il governo non è ancora nato), figurarsi a una personalità del livello di Draghi, che fino a 7 giorni fa se ne stava in Umbria in attesa che lo eleggessero al Colle, ma senza far nulla perché ciò accadesse. E ora deve tenere insieme tutto e il suo contrario e riuscire a non ridere in faccia a Salvini che gli rifila il “modello Lombardia” (record mondiale di morti: a quel punto, meglio un battaglione di serial killer). Forse si starà domandando cosa sia un “governo tecnico, ma politico” e che differenza passi fra un ministro “politico”, “tecnico”, “tecnico-politico”, “di area” (o di aria), “politico ma non numero uno” (dal due in giù), essendo i centauri, le sirene, i minotauri e gl’ircocervi difficilmente reperibili sul mercato. E, in base alle leggi della fisica, quanti ministri possano entrare in un governo, posto che se restasse fuori un’altra volta la leggendaria Cartabia ne farebbe una malattia, l’ubiquo Bentivogli detta programmi di governo su mezza dozzina di giornali e la Bonino, dall’alto del suo zerovirgola e degli appena 45 anni di Parlamento, vince la proverbiale ritrosia e si dice generosamente “disponibile a fare il ministro” con Salvini e Di Maio che fino a ieri avrebbe affidato all’esorcista (laico, si capisce). Insomma, restano solo posti in piedi. E c’è pure il voto su Rousseau perché, fra una piroetta e l’altra, i 5Stelle si son ricordati di avere degli iscritti (problema che gli altri partiti non hanno o non si pongono). E lì può succedere di tutto: non che, dopo l’apertura di Grillo, passino all’opposizione; ma che magari si astengano o condizionino la fiducia alla presenza di ministri propri (interni o esterni) nei posti-chiave Giustizia, Lavoro, Sviluppo-Ambiente, Scuola. Sempreché chi scrive il quesito si ricordi che, tra l’opposizione ottusa e la resa senza condizioni, c’è qualche via di mezzo.
Una politica imbelle. 3 “Lo scettro perduto” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri 8 di febbraio 2021: Il governo di tutti rischia di essere il governo di nessuno. (…). Questo fascio indistinto di consensi è più frutto della paura che della politica. Dopo l'appello di Mattarella - che era un aut aut - la società politica nel suo insieme è stata messa di fronte alla sua impotenza, avventurosamente capace di aprire una crisi, evidentemente incapace di risolverla. Si è toccato con mano il vuoto: la mancanza non solo di leader e di visioni, ma anche di identità, storia, tradizione, valori, cioè di quella cultura politica che nei momenti di difficoltà indirizza le scelte, mentre le spiega collegandole alla tutela di interessi legittimi e alla rappresentanza. È come se alla prova dei fatti l'Italia, prigioniera di quel vuoto, non fosse riuscita a sbarcare in Europa in un momento decisivo, soprattutto per un Paese fondatore della Ue. (…). In una società democratica la politica deve sedere a capotavola e deve tenere in mano il mazzo delle carte, perché è l'unica che può disciplinare lo scontro e il confronto tra gli interessi legittimi in campo, in nome dell'interesse generale. Ma la politica deve legittimare ogni giorno se stessa, in termini di efficacia ed efficienza, di onestà e di rappresentanza, per non deludere la fiducia dei cittadini, intaccando quel deposito di credenza nella democrazia che è alla base del patto sociale. Noi siamo alle soglie di quel punto critico. (…). La stagione in cui stiamo entrando (…) è propizia per il mimetismo delle forze politiche, che come i grandi camaleonti nei momenti di pericolo prendono il colore del ramo a cui si appoggiano. Vediamo dunque conversioni repentine all'europeismo di nemici dichiarati dell'Unione, richiami all'Occidente da parte di amici di leader neo-autoritari, disponibilità a larghe intese da sostenitori della diversità e della separatezza, omaggi alla scienza europea di Draghi da leader che hanno coccolato a lungo l'ignoranza come prova suprema di estraneità al sistema castale ed elitario del sapere. È facile capire che sono conversioni senza fede, comode e strumentali, che non comportano alcuno sforzo di adeguamento culturale, teorico, strategico, e soprattutto nascondono sotto un consenso sbrigativo e difensivo a Draghi le contraddizioni irrisolte tra ieri e oggi, pronte ad esplodere domani, al primo intoppo sulla strada del governo. Per qualcuno, come Salvini, Draghi può essere persino il capostazione che lo spinge a cambiare binario (come non riuscirebbe a fare da solo), staccandosi da Trump, da Orbán e Le Pen per avvicinarsi al Ppe, chiudere la stagione xenofoba e sovranista e diventare l'erede del declino di Forza Italia, lasciando la sponda estrema di destra alla Meloni. Per altri, come i Cinque Stelle, Draghi può diventare addirittura quell'apriscatole del sistema che cercavano senza trovarlo, aiutandoli a consolidare una cultura di governo e una pratica europea che rischia di costare una scissione ma può dare un senso alla leadership di Conte. Il problema è che questi processi stanno compiendosi sotto il segno dell'ambiguità, lasciando che sia la prassi a realizzare quel che la teoria non è in grado di concepire e la mancanza di coraggio non può annunciare. Ecco perché Draghi si rende conto che il consenso di tutti è un buon viatico per partire, ma non per navigare. (…). Se il destino del Paese passa per queste alleanze innaturali, la politica può salvarsi nell'unico modo capace di tenere insieme la distinzione e la collaborazione: aprire una fase costituente all'ombra della tregua d'emergenza del governo Draghi, portando il sistema a riformare se stesso con una nuova legge elettorale, il superamento del bicameralismo troppo perfetto, la sfiducia costruttiva. Così un governo di scopo, nato come tecnico, potrebbe dare uno scopo al sistema politico, spingendolo a riscrivere le sue regole del gioco: riprendendosi lo scettro perduto.
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