"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 20 febbraio 2021

Cosedaleggere. 99 Umberto Eco: «Non smettete mai di farvi provocare da ciò che vi succede attorno e continuate a farvi domande».

Tratto da “Il mio amico e magister Umberto” di Danco Singer, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 19 di febbraio 2021: (…). Umberto Eco è stato e rimane un maestro. Per me, per tutti. Un “maestro”, inteso in senso medievale, come il magister capace di istruire, educare e ispirare. Ogni momento con lui era l’occasione per guardare alle cose da un punto di vista nuovo, ribaltare i cliché, esplorare il reale con nuovi interrogativi, un’abitudine sana che aiuta a non dare mai nulla per scontato. Ricordo quel giorno, era giugno del 2010, in cui Umberto mi invitò ad andare con lui al convegno dell’Associazione italiana di semiotica a Carloforte, sull’Isola di San Pietro, un luogo che gli avevo sempre descritto come fascinoso e selvaggio, dove, in quella occasione di dibattito internazionale, tenne l’appassionante lezione “Perché l’isola non viene mai trovata”. E fu proprio a Carloforte, dove ci trattenemmo ben oltre il convegno con tutti i suoi “allievi” (Omar Calabrese, Paolo Fabbri, Patrizia Violi, Maria Pozzato, Isabella Pezzini), che derivò poi il suo libro Storia delle Terre e dei luoghi leggendari. Umberto ha visto sempre in me un’occasione per coniugare il suo pensiero con le nuove frontiere della tecnologia, per costruire senso e dare significati alle cose attraverso un’incessante varietà di forme espressive: dai primi Cdrom, al web, ai festival culturali, e alle nuove costruzioni tecnologiche. Quando, nel settembre del 1990, gli mostrai il prototipo di computer multimediale che il laboratorio dell’Olivetti di Pisa aveva appena realizzato, la sua reazione fu sorprendente. Gli spiegai: «Umberto, sono nati gli ipertesti, e stanno tutti investendo per costruire computer sempre più potenti, ma nessuno pensa a cosa metterci dentro». Lui mi guardò e mi disse: «Facciamo la storia del mondo». Nacque così Encyclomedia, la prima enciclopedia che avrebbe permesso agli utenti di “navigare”, con pochi movimenti delle dita, nel tempo e nello spazio. Internet come lo conosciamo ancora non esisteva e Umberto aveva già capito, prima di tutti, che sarebbe arrivato il World Wide Web. Anticipare il nuovo era una delle sue migliori capacità e lo vedevo in tutti i progetti che abbiamo costruito insieme, fino, ormai quasi anni nove fa, al Festival della comunicazione di Camogli, che abbiamo abbozzato nelle sue prime linee su un tovagliolo, del Caffè Sforzesco di via Dante a Milano; un festival che si è trasformato, com’era nei nostri sogni, in un’occasione di crescita culturale per la nazione intera: perché chiama intorno a sé i più grandi personaggi della cultura, dell’economia, della società italiana; perché è l’occasione per condividere direttrici di sviluppo, fatte di forme tecnologiche avanzate, ma anche di contenuti forti e amore per il sapere, “filosofia”, appunto. Filosofia per lui non era, infatti, solo una “questione da filosofi” - come ha dimostrato anche nel manuale Storia della Filosofia che ha curato con Riccardo Fedriga - filosofia era uno stile di vita, è «imparare a pensare». «Non smettete mai di farvi provocare da ciò che vi succede attorno e continuate a farvi domande». Non esiste cultura alta e cultura bassa. Coltivate la memoria, la curiosità intellettuale e il pensiero critico. E fatevi stupire dagli atti di meraviglia». Questo è l’insegnamento che continuo a portarmi dentro. Non c’era limite al suo pensiero, non c’era confine disciplinare. Il suo era uno sguardo sul futuro sempre vivo e attuale, sulle spalle dei giganti, forte di quella memoria storica che sta alla base di quello che siamo, come uomini e come umanità. Non per nulla scelse di intitolare Against the loss of memory la sua lectio del 2013 alle Nazioni Unite. Quella memoria tanto cara a Umberto, che più che capacità di ricordare è capacità di stabilire relazioni, connessioni tra fatti, intenzioni, significati, e, sì, anche capacità di dimenticare, quando occorre. Perché è solo recuperando la nostra memoria storica che possiamo guardare più forti e più preparati al mondo che verrà. Ed è proprio questo suo sguardo curioso, critico, carico di memoria storica e aperto al nuovo che vogliamo perpetuare, come sua più grande eredità, come Historyland, l’ambizioso progetto che abbiamo in cantiere, che vorrebbe tradurre in realtà quel “palazzo-storia” che Eco già nel 1997 a Valencia mi descriveva così: «Siamo stati abituati a concepire la storia come un asse continuo e portante, su cui ci viene detto tutto, lungo il quale ogni tanto si aprono delle diramazioni, come dei corridoi verso altre civiltà, sulle quali non sapevamo nulla prima di averle incontrate e continuiamo a saperne poco anche dopo. E se ci fosse un modo diverso di rappresentare la storia del mondo? Immaginate un palazzo, strutturato non per percorsi perpendicolari, ma attraverso un labirinto, dove le linee maestre talvolta si incrociano, altre volte procedono accostate o si divaricano».

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