"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 3 febbraio 2021

Virusememorie. 59 Pandemia e “psiche”.

A lato. “Il rapimento di Psiche”, dipinto ad olio del pittore francese William-Adolphe Bouguereau (1895).

Pandemia e “psiche”. 1 Tratto da “Usciamo in fretta dalla capanna” di Maria Rita Gismondo – virologa, direttrice di “Microbiologia clinica” presso l’Ospedale Universitario “Luigi Sacco” di Milano – pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri martedì 2 di febbraio: I ripetuti lockdown cominciano a lasciare le loro cicatrici, non solo economiche, ma anche e soprattutto psicologiche. Stiamo assistendo al moltiplicarsi di reazioni inaspettate, sia da parte degli adulti sia di giovani e bambini. Se per un verso, appena incontriamo un conoscente, ci lamentiamo dell’impossibilità di muoverci, viaggiare, intrattenerci con gli amici, dall’altro, ce lo dicono gli psicologi, siamo in piena “sindrome della capanna”, termine rispolverato dalla Società Italiana di Psichiatria.

In parole povere, rimpiangiamo la libertà di muoverci ma ci sentiamo sempre più sicuri stando a casa, accusiamo la privazione di una certa socialità, ma reagiamo scorbuticamente. La definizione nasce come la descrizione dell’irascibilità delle persone che vivevano in campagna e restavano bloccate nelle loro case a causa del freddo invernale e della neve. A causa delle condizioni climatiche avverse, dall’assenza di mezzi di comunicazione, dei social, l’impossibilità di contatti sociali, la gente si rifugiava in casa e diventava irrequieta e irritabile. Le cause sono diverse ma le reazioni sono uguali. È una costellazione di sintomi nota ai professionisti della salute mentale, piuttosto diffusa dopo un periodo di confinamento e che può rappresentare una seria minaccia per il nostro benessere. Il fenomeno è stato evidenziato anche nelle spedizioni polari e in quelle spaziali. Vivere isolati fa male. Siamo animali sociali e dobbiamo “appartenere”. Ne conseguono disturbi anche gravi. Oltre all’irritabilità, senso di paura e insicurezza, depressione, disturbi del sonno (e lo smartworking ne è complice). I ragazzini si danno a gesti autolesionisti. Gli psichiatri diffondono consigli per evitarla ma, lo dicono anche le ricerche di mercato, la cura della nostra persona, che è anche rispetto di sé, si sta perdendo. A parte le ristrettezze economiche, abbiamo perso la voglia di comprare un abito nuovo e di curarci esteticamente.  Le vendite dei cosmetici stanno crollando. Ma attenzione, non si può amare l’altro se non si ama se stessi. Il pericolo che corriamo è una società futura chiusa, pavida ed egoista. Usciamo in fretta da questa capanna.  

Pandemia e “psiche”. 2 Tratto da “Le mille misure della distanza con la variante di Dracula” della scrittrice Chiara Valerio, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 3 di febbraio 2021: (…). Nella serie delle pandemie che vengono citate, ne manca una, letteraria e successiva alla rivoluzione industriale: Dracula. Dracula è un’infezione che si trasmette per contatto e fluidi corporei che si diffonde negli anni Novanta dell’Ottocento (il romanzo di Stoker è del 1897). Il conte, stanco dei Carpazi, giunge, munito di alcune casse di terra putrida, a Londra e comincia a mordere e, mordendo, crea vampiri. Quando arriva Van Helsing, l’ammazzavampiri, fornisce subito misure di contenimento: aglio, croce, sanificazione delle casse di terra, isolamento degli infetti. Mi sono chiesta quale possa essere l’R0 di Dracula e, dati modo di trasmissione (morso) e tempo di incubazione (ipotizziamo, dalla vicenda di Lucy Westerna, la prima infetta, che il tempo di incubazione sia di 24-48 ore), penso che il tasso iniziale di contagio stia tra 1,09 e 2,5 (una mescolanza degli R0 di Ebola e Hiv che si diffondono attraverso i fluidi corporei).

Da qui è possibile costruire un modello epidemiologico simile a quelli ormai familiari, almeno di nome. È interessante partire da Dracula – anche questo scrive Bliss, io mi ero fermata, nei miei ragionamenti, a infezione e contenimento – perché si capisce, leggendolo, quale sia il nostro problema emotivo nel rapportarci alla scienza quando essa procede, nel trovare soluzioni, contemporaneamente al problema. Van Helsing sarebbe oggi un epidemiologo che adatta le proprie conoscenze alla malattia, pensando che la sua verità sia sempre parziale, il dottor Seward invece, che non ammette l’irrazionale, apparterrebbe a chi ha negato la natura dell’infezione fin dove ha potuto, perché non ha saputo definirla con le nozioni che possedeva. La differenza tra il Covid e il vampiro è che quest’ultimo, per morderci, deve essere invitato a colmare una distanza, a entrarci in casa. Il Covid no, non ha bisogno di inviti, viaggia sulle goccioline, e dunque dobbiamo mantenere le distanze. I numeri e i romanzi si somigliano perché non spiegano le cose, le fanno capire e, sempre, possono raccontare un’altra versione della storia. Per esempio, il colore della regione Lombardia, in discussione nelle scorse settimane, dipendeva solo dai numeri: da come sono stati raccolti e comunicati i numeri dei contagiati. Il punto, però, non è l’incertezza sui numeri o dei numeri che, appunto, sono suscettibili di modifiche e aggiustamento come il resto degli umani strumenti, ma la loro contestualizzazione. Il tentativo deve essere quello di pensare i numeri nella vita e non fuori.

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