A lato. “Il rapimento di Psiche”, dipinto ad
olio del pittore francese William-Adolphe Bouguereau (1895).
Pandemia e “psiche”.
1 Tratto da “Usciamo in fretta dalla
capanna” di Maria Rita Gismondo – virologa, direttrice di “Microbiologia
clinica” presso l’Ospedale Universitario “Luigi Sacco” di Milano – pubblicato
su “il Fatto Quotidiano” di ieri martedì 2 di febbraio: I ripetuti lockdown cominciano a
lasciare le loro cicatrici, non solo economiche, ma anche e soprattutto
psicologiche. Stiamo assistendo al moltiplicarsi di reazioni inaspettate, sia
da parte degli adulti sia di giovani e bambini. Se per un verso, appena incontriamo
un conoscente, ci lamentiamo dell’impossibilità di muoverci, viaggiare,
intrattenerci con gli amici, dall’altro, ce lo dicono gli psicologi, siamo in
piena “sindrome della capanna”, termine rispolverato dalla Società Italiana di
Psichiatria.
In parole povere, rimpiangiamo la libertà di muoverci ma ci
sentiamo sempre più sicuri stando a casa, accusiamo la privazione di una certa
socialità, ma reagiamo scorbuticamente. La definizione nasce come la
descrizione dell’irascibilità delle persone che vivevano in campagna e
restavano bloccate nelle loro case a causa del freddo invernale e della neve. A
causa delle condizioni climatiche avverse, dall’assenza di mezzi di
comunicazione, dei social, l’impossibilità di contatti sociali, la gente si
rifugiava in casa e diventava irrequieta e irritabile. Le cause sono diverse ma
le reazioni sono uguali. È una costellazione di sintomi nota ai professionisti
della salute mentale, piuttosto diffusa dopo un periodo di confinamento e che
può rappresentare una seria minaccia per il nostro benessere. Il fenomeno è
stato evidenziato anche nelle spedizioni polari e in quelle spaziali. Vivere
isolati fa male. Siamo animali sociali e dobbiamo “appartenere”. Ne conseguono
disturbi anche gravi. Oltre all’irritabilità, senso di paura e insicurezza,
depressione, disturbi del sonno (e lo smartworking ne è complice). I ragazzini
si danno a gesti autolesionisti. Gli psichiatri diffondono consigli per
evitarla ma, lo dicono anche le ricerche di mercato, la cura della nostra
persona, che è anche rispetto di sé, si sta perdendo. A parte le ristrettezze
economiche, abbiamo perso la voglia di comprare un abito nuovo e di curarci
esteticamente. Le vendite dei cosmetici
stanno crollando. Ma attenzione, non si può amare l’altro se non si ama se
stessi. Il pericolo che corriamo è una società futura chiusa, pavida ed
egoista. Usciamo in fretta da questa capanna. Pandemia e “psiche”.
2 Tratto da “Le mille misure della
distanza con la variante di Dracula” della scrittrice Chiara Valerio, pubblicato
sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 3 di febbraio 2021: (…). Nella serie delle pandemie
che vengono citate, ne manca una, letteraria e successiva alla rivoluzione
industriale: Dracula. Dracula è un’infezione che si trasmette per contatto e
fluidi corporei che si diffonde negli anni Novanta dell’Ottocento (il romanzo
di Stoker è del 1897). Il conte, stanco dei Carpazi, giunge, munito di alcune
casse di terra putrida, a Londra e comincia a mordere e, mordendo, crea
vampiri. Quando arriva Van Helsing, l’ammazzavampiri, fornisce subito misure di
contenimento: aglio, croce, sanificazione delle casse di terra, isolamento
degli infetti. Mi sono chiesta quale possa essere l’R0 di Dracula e, dati modo
di trasmissione (morso) e tempo di incubazione (ipotizziamo, dalla vicenda di
Lucy Westerna, la prima infetta, che il tempo di incubazione sia di 24-48 ore),
penso che il tasso iniziale di contagio stia tra 1,09 e 2,5 (una mescolanza
degli R0 di Ebola e Hiv che si diffondono attraverso i fluidi corporei).
Da qui
è possibile costruire un modello epidemiologico simile a quelli ormai
familiari, almeno di nome. È interessante partire da Dracula – anche questo
scrive Bliss, io mi ero fermata, nei miei ragionamenti, a infezione e
contenimento – perché si capisce, leggendolo, quale sia il nostro problema
emotivo nel rapportarci alla scienza quando essa procede, nel trovare
soluzioni, contemporaneamente al problema. Van Helsing sarebbe oggi un
epidemiologo che adatta le proprie conoscenze alla malattia, pensando che la
sua verità sia sempre parziale, il dottor Seward invece, che non ammette
l’irrazionale, apparterrebbe a chi ha negato la natura dell’infezione fin dove
ha potuto, perché non ha saputo definirla con le nozioni che possedeva. La
differenza tra il Covid e il vampiro è che quest’ultimo, per morderci, deve
essere invitato a colmare una distanza, a entrarci in casa. Il Covid no, non ha
bisogno di inviti, viaggia sulle goccioline, e dunque dobbiamo mantenere le
distanze. I numeri e i romanzi si somigliano perché non spiegano le cose, le
fanno capire e, sempre, possono raccontare un’altra versione della storia. Per
esempio, il colore della regione Lombardia, in discussione nelle scorse
settimane, dipendeva solo dai numeri: da come sono stati raccolti e comunicati
i numeri dei contagiati. Il punto, però, non è l’incertezza sui numeri o dei
numeri che, appunto, sono suscettibili di modifiche e aggiustamento come il
resto degli umani strumenti, ma la loro contestualizzazione. Il tentativo deve
essere quello di pensare i numeri nella vita e non fuori.
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