Ha scritto Massimo Fini in “Catto-complotto contro Conte: mani sui fondi UE”, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 14 di febbraio 2021: Diceva il “divo Giulio” (al secolo il
fu Andreotti Giulio n.d.r.), che per competenza, conoscenza
dell’Italia, sia in senso storico che amministrativo, intelligenza, arguzia e
stile sta cinque spanne sopra i nani di oggi e che in qualsiasi altro paese
europeo sarebbe stato un grande uomo di Stato, ma che in Italia ha dovuto
essere una sorta di ircocervo, metà uomo di Stato e metà, forse, delinquente
(anche se è sempre uscito indenne dalle sue vicende giudiziarie difendendosi
nei processi, al pari di Forlani, come deve fare un politico che abbia il senso
delle Istituzioni), diceva quindi Andreotti che “a pensar male si fa peccato,
ma ci si azzecca quasi sempre”. Quindi faremo anche noi, in questo Paese zeppo
di cattolici, che non vuol dire cristiani, un cattolico processo alle
intenzioni. Il Recovery Fund di 209 miliardi, il massimo ottenuto da un paese
Ue, grazie a Giuseppe Conte con l’appoggio decisivo di Angela Merkel, ci è
stato accordato il 21 luglio 2020. È da quel momento che il catto-boyscout
Matteo Renzi comincia a tirare la corda e a fare il suo sordido lavorio per
abbattere Conte. Perché quei miliardi facevano gola a molti, banchieri,
finanzieri, persone irreprensibili perché vestono in giacca e cravatta e
pranzano all’ora di pranzo e cenano all’ora di cena, partiti, e si sapeva
benissimo che Conte può avere molti difetti – io non ne vedo – ma non era
moralmente corruttibile. Quindi andava fatto fuori. Da qui parte la trama
ordita, concordemente, dal catto-boyscout, dal catto-Tatarella e dal
catto-banchiere di “altissimo profilo” Mario Draghi. Questa, secondo me, posso
sbagliare naturalmente, è la storia di quel golpe di Stato mascherato che ha
portato al governo Draghi, altrimenti non si spiegherebbe come l’attuale
governo che pantografa sostanzialmente quello precedente tenga insieme tutti,
il diavolo e l’acqua santa, però con la decisiva esclusione di Conte (oltre
che, per ovvi interessi berlusconiani, di Bonafede). Messaggio per il cattolico
Marco Travaglio. In questa fogna di paese chiamato Italia siete tutti
cattolici. Questo non ti fa venire qualche dubbio non sulla tua fede, che son
cazzi tuoi, ma sulla potenza che il cattolicesimo, che non ha nulla a che
vedere col cristianesimo, cioè coll’affascinante borderline di Nazareth, ha
assunto negli ultimi decenni in Italia? In fondo a tener fede alle parole del
laico e liberale Camillo Benso di Cavour, “libera Chiesa in libero Stato”, sono
stati proprio i democristiani a partire da don Sturzo passando per De Gasperi
ed arrivando a Fanfani e alla sua generazione. Adesso abbiamo uno Stato
prigioniero dell’ipocrisia cattolica, dei catto-boyscout, dei catto-banchieri,
l’unica vera e sola Santissima trinità. Di seguito riporto “Conte-Di Maio-Dibba per il nuovo M5S”
del sociologo Domenico De Masi, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri 17
di febbraio 2021: (…). Finora il collante dei grillini è stato soprattutto l'odio
persecutorio di cui essi sono stati oggetto e che li ha aggregati accomunandoli
nel martirio. Per ripercorrere questo processo, basta qualche esempio tra i
tanti. Nel marzo del 2013, l'anno della loro prima scalata elettorale, Tommaso
Gazzolo pubblicò sulla rivista Mondoperaio un articolo con cui cercava di
dimostrare che "una natura intrinsecamente fascista segna alla radice il
carattere del M5S" e che, pure essendo capeggiato da un comico, esso
"fa leva sulle passioni tristi, segue il culto della morte". Queste
accuse, che rievocano quelle celebri di Miguel de Unamuno contro il franchismo,
e tante altre critiche analoghe, agli occhi dei grillini sono state come le
frecce per San Sebastiano, ne hanno fatto dei perseguitati e hanno trasformato
il Movimento in Rivoluzione. Sei anni dopo, nei 2019, in pieno governo
giallo-verde, Giuseppe De Rita disse che "il vero pericolo per la
democrazia non è Salvini ma sono i 5 Stelle" e Luciano Canfora aggiunse
che i 5 Stelle "fanno sciocchezze anche penose perché peccano di
incompetenza". Nei giorni scorsi un'agenzia prestigiosa ha definito il
grillino medio come un "povero buon selvaggio" e il ricorso alla piattaforma
Rousseau ha scatenato un fuoco concentrico di contumelie contro il Movimento
cui è stato rinfacciato di avere accettato alleanze e compromessi. E questo
cambiamento è stato considerato non come maturazione politica ma come
dabbenaggine o tornaconto. "Il MoVimento 5 Stelle - dice Wikipedia - è un
partito politico italiano fondato a Milano il 4 ottobre 2009 dal comico e
attivista politico Beppe Grillo e dall'imprenditore del web Gianroberto
Casaleggio sulla scia dell'esperienza del movimento Amici di Beppe Grillo,
attivo dal 2005, e delle Liste civiche a Cinque Stelle, presentate per la prima
volta alle elezioni amministrative del 2009". Ma in questi anni come è
cambiata la cultura politica del Movimento? Come ho ricordato più volte,
citando Robert Michels, tutti i partiti nascono come movimenti e ogni movimento
politico prima o poi cerca di assumere la forma istituzionale di un partito; ma
non è detto che ci riesca. In dodici anni gli Amici di Beppe Grillo hanno
affrontato prima le elezioni amministrative, poi quelle politiche, quindi
l'ingresso nel governo. Ma è possibile precisare quanta strada ha fatto la loro
cultura politica in questo tragitto dal movimento all'istituzione? Non c'è
stato giornalista che, andando a naso, non abbia detto la sua circa lo stato di
avanzamento di questa lunga marcia che dura da 12 anni. Quasi tutti hanno
rimproverato al Movimento o un eccesso di cautela o un eccesso di
spregiudicatezza. Comunque, ne hanno certificato l'imminente estinzione.
Eppure, il consenso più basso cui sono scesi finora i 5 Stelle coincide con il
consenso più alto cui giunse a suo tempo Beffino Craxi. Sociologicamente
incuriosito anch'io dal problema, nei tre mesi che hanno preceduto gli stati
generali del Movimento ho avuto la possibilità – (…) – di approfondirlo
scientificamente conducendo una ricerca previsionale con metodo Delphi. Il
quesito di fondo è stato: "Con quale cultura politica il M5S affronterà il
dopo pandemia? Questa cultura in che cosa sarà diversa da quella delle
origini?". E per cultura ho inteso qualcosa che non attiene solo alla
politica in senso stretto ma anche alla demografia, all'ambiente, alla salute,
alla società, alla burocrazia, all'economia, alla tecnologia, al lavoro, al
tempo libero, al mondo intellettuale, all'etica e all'estetica. Per appurarlo,
ho avuto la possibilità di somministrare due corposi questionari a 17 esponenti
del Movimento – da Grillo a Di Maio, dall'Azzolina a Di Battista - comprendendo
ministri, sottosegretari e facilitatori. Quindici intervistati hanno fatto
pervenire in tempo utile le loro risposte che, per ogni intervistato, hanno
superato le venti cartelle dattiloscritte. In estrema sintesi, quali sono i
risultati della ricerca? Sulla quasi totalità delle questioni la grande
maggioranza degli intervistati ha espresso il proprio accordo, diventato pieno
su questioni come salute, economia, finanza, ambiente, emigrazione, equilibrio
geopolitico, business ethics, intelligenza artificiale, bioetica,
sostenibilità, parità di genere e frontiere della scienza. Rispetto alle
origini, persiste ancora la fedeltà a parole d'ordine come onestà, trasparenza,
empatia, ambiente, interclassismo, terza via, piena fiducia nel progresso
scientifico e tecnologico, welfare, democrazia diretta e partecipata. Invece,
anche per effetto dell'esperienza governativa, la cultura politica del vertice
è mutata radicalmente su una fitta serie di temi: l'europeismo ormai indiscusso;
la necessità di un dialogo costruttivo con Cina e India; l'accoglienza degli
immigrati; un atteggiamento post-ideologico ma lontano dall'agnosticismo; un
esplicito rifiuto del populismo e dell'uno vale uno in favore della competenza
e della meritocrazia; l'avversione al neoliberismo in favore di un socialismo
liberale e neo-keynesiano che sconfina in un'economia sociale di mercato; una
"crescita sana, necessaria e utile" al posto della "decrescita
felice"; l'esigenza di un contatto più stretto con gli intellettuali e con
i sindacati; la consapevolezza del jobless growth per cui le nuove tecnologie
distruggono più posti di lavoro di quanti ne creino; la conseguente necessità
del reddito universale e della riduzione dell'orario di lavoro. Infine, la
necessità di una leadership corale del Movimento, ispirata alle idee di Adriano
Oliveto e, quindi, al massimo coordinamento, in ogni comunità, tra sistema
scolastico, imprese, parti sociali e istituzioni. Ovviamente, questo è il
cammino compiuto verso h forma-partito da par-te dei vertici dei 5 Stelle dopo
un'esposizione pluriennale e full time all'influenza dei palazzi di governo.
Senza una ricerca parallela è difficile dire quanto di questa metamorfosi sia
sgocciolata fino alla base, forse più sensibile alla forma-movimento di Di
Battista. Resta però che questa forza politica, rispetto agli altri partiti, è
più recente per formazione, più giovane per età e con una percentuale maggiore
di laureati. L'unica che, sotto un triurnvirato composto da Conte, Di Maio e Di
Battista, potrebbe coniugare, in modo equilibrato, la solidità razionale del
partito con l'effervescenza emotiva del movimento.
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