"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 18 febbraio 2021

Storiedallitalia. 98 «Tutti i partiti nascono come movimenti e ogni movimento prima o poi cerca di assumere la forma di un partito».

 

Ha scritto Massimo Fini in “Catto-complotto contro Conte: mani sui fondi UE”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 14 di febbraio 2021: Diceva il “divo Giulio” (al secolo il fu Andreotti Giulio n.d.r.), che per competenza, conoscenza dell’Italia, sia in senso storico che amministrativo, intelligenza, arguzia e stile sta cinque spanne sopra i nani di oggi e che in qualsiasi altro paese europeo sarebbe stato un grande uomo di Stato, ma che in Italia ha dovuto essere una sorta di ircocervo, metà uomo di Stato e metà, forse, delinquente (anche se è sempre uscito indenne dalle sue vicende giudiziarie difendendosi nei processi, al pari di Forlani, come deve fare un politico che abbia il senso delle Istituzioni), diceva quindi Andreotti che “a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca quasi sempre”. Quindi faremo anche noi, in questo Paese zeppo di cattolici, che non vuol dire cristiani, un cattolico processo alle intenzioni. Il Recovery Fund di 209 miliardi, il massimo ottenuto da un paese Ue, grazie a Giuseppe Conte con l’appoggio decisivo di Angela Merkel, ci è stato accordato il 21 luglio 2020. È da quel momento che il catto-boyscout Matteo Renzi comincia a tirare la corda e a fare il suo sordido lavorio per abbattere Conte. Perché quei miliardi facevano gola a molti, banchieri, finanzieri, persone irreprensibili perché vestono in giacca e cravatta e pranzano all’ora di pranzo e cenano all’ora di cena, partiti, e si sapeva benissimo che Conte può avere molti difetti – io non ne vedo – ma non era moralmente corruttibile. Quindi andava fatto fuori. Da qui parte la trama ordita, concordemente, dal catto-boyscout, dal catto-Tatarella e dal catto-banchiere di “altissimo profilo” Mario Draghi. Questa, secondo me, posso sbagliare naturalmente, è la storia di quel golpe di Stato mascherato che ha portato al governo Draghi, altrimenti non si spiegherebbe come l’attuale governo che pantografa sostanzialmente quello precedente tenga insieme tutti, il diavolo e l’acqua santa, però con la decisiva esclusione di Conte (oltre che, per ovvi interessi berlusconiani, di Bonafede). Messaggio per il cattolico Marco Travaglio. In questa fogna di paese chiamato Italia siete tutti cattolici. Questo non ti fa venire qualche dubbio non sulla tua fede, che son cazzi tuoi, ma sulla potenza che il cattolicesimo, che non ha nulla a che vedere col cristianesimo, cioè coll’affascinante borderline di Nazareth, ha assunto negli ultimi decenni in Italia? In fondo a tener fede alle parole del laico e liberale Camillo Benso di Cavour, “libera Chiesa in libero Stato”, sono stati proprio i democristiani a partire da don Sturzo passando per De Gasperi ed arrivando a Fanfani e alla sua generazione. Adesso abbiamo uno Stato prigioniero dell’ipocrisia cattolica, dei catto-boyscout, dei catto-banchieri, l’unica vera e sola Santissima trinità. Di seguito riporto “Conte-Di Maio-Dibba per il nuovo M5S” del sociologo Domenico De Masi, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri 17 di febbraio 2021: (…). Finora il collante dei grillini è stato soprattutto l'odio persecutorio di cui essi sono stati oggetto e che li ha aggregati accomunandoli nel martirio. Per ripercorrere questo processo, basta qualche esempio tra i tanti. Nel marzo del 2013, l'anno della loro prima scalata elettorale, Tommaso Gazzolo pubblicò sulla rivista Mondoperaio un articolo con cui cercava di dimostrare che "una natura intrinsecamente fascista segna alla radice il carattere del M5S" e che, pure essendo capeggiato da un comico, esso "fa leva sulle passioni tristi, segue il culto della morte". Queste accuse, che rievocano quelle celebri di Miguel de Unamuno contro il franchismo, e tante altre critiche analoghe, agli occhi dei grillini sono state come le frecce per San Sebastiano, ne hanno fatto dei perseguitati e hanno trasformato il Movimento in Rivoluzione. Sei anni dopo, nei 2019, in pieno governo giallo-verde, Giuseppe De Rita disse che "il vero pericolo per la democrazia non è Salvini ma sono i 5 Stelle" e Luciano Canfora aggiunse che i 5 Stelle "fanno sciocchezze anche penose perché peccano di incompetenza". Nei giorni scorsi un'agenzia prestigiosa ha definito il grillino medio come un "povero buon selvaggio" e il ricorso alla piattaforma Rousseau ha scatenato un fuoco concentrico di contumelie contro il Movimento cui è stato rinfacciato di avere accettato alleanze e compromessi. E questo cambiamento è stato considerato non come maturazione politica ma come dabbenaggine o tornaconto. "Il MoVimento 5 Stelle - dice Wikipedia - è un partito politico italiano fondato a Milano il 4 ottobre 2009 dal comico e attivista politico Beppe Grillo e dall'imprenditore del web Gianroberto Casaleggio sulla scia dell'esperienza del movimento Amici di Beppe Grillo, attivo dal 2005, e delle Liste civiche a Cinque Stelle, presentate per la prima volta alle elezioni amministrative del 2009". Ma in questi anni come è cambiata la cultura politica del Movimento? Come ho ricordato più volte, citando Robert Michels, tutti i partiti nascono come movimenti e ogni movimento politico prima o poi cerca di assumere la forma istituzionale di un partito; ma non è detto che ci riesca. In dodici anni gli Amici di Beppe Grillo hanno affrontato prima le elezioni amministrative, poi quelle politiche, quindi l'ingresso nel governo. Ma è possibile precisare quanta strada ha fatto la loro cultura politica in questo tragitto dal movimento all'istituzione? Non c'è stato giornalista che, andando a naso, non abbia detto la sua circa lo stato di avanzamento di questa lunga marcia che dura da 12 anni. Quasi tutti hanno rimproverato al Movimento o un eccesso di cautela o un eccesso di spregiudicatezza. Comunque, ne hanno certificato l'imminente estinzione. Eppure, il consenso più basso cui sono scesi finora i 5 Stelle coincide con il consenso più alto cui giunse a suo tempo Beffino Craxi. Sociologicamente incuriosito anch'io dal problema, nei tre mesi che hanno preceduto gli stati generali del Movimento ho avuto la possibilità – (…) – di approfondirlo scientificamente conducendo una ricerca previsionale con metodo Delphi. Il quesito di fondo è stato: "Con quale cultura politica il M5S affronterà il dopo pandemia? Questa cultura in che cosa sarà diversa da quella delle origini?". E per cultura ho inteso qualcosa che non attiene solo alla politica in senso stretto ma anche alla demografia, all'ambiente, alla salute, alla società, alla burocrazia, all'economia, alla tecnologia, al lavoro, al tempo libero, al mondo intellettuale, all'etica e all'estetica. Per appurarlo, ho avuto la possibilità di somministrare due corposi questionari a 17 esponenti del Movimento – da Grillo a Di Maio, dall'Azzolina a Di Battista - comprendendo ministri, sottosegretari e facilitatori. Quindici intervistati hanno fatto pervenire in tempo utile le loro risposte che, per ogni intervistato, hanno superato le venti cartelle dattiloscritte. In estrema sintesi, quali sono i risultati della ricerca? Sulla quasi totalità delle questioni la grande maggioranza degli intervistati ha espresso il proprio accordo, diventato pieno su questioni come salute, economia, finanza, ambiente, emigrazione, equilibrio geopolitico, business ethics, intelligenza artificiale, bioetica, sostenibilità, parità di genere e frontiere della scienza. Rispetto alle origini, persiste ancora la fedeltà a parole d'ordine come onestà, trasparenza, empatia, ambiente, interclassismo, terza via, piena fiducia nel progresso scientifico e tecnologico, welfare, democrazia diretta e partecipata. Invece, anche per effetto dell'esperienza governativa, la cultura politica del vertice è mutata radicalmente su una fitta serie di temi: l'europeismo ormai indiscusso; la necessità di un dialogo costruttivo con Cina e India; l'accoglienza degli immigrati; un atteggiamento post-ideologico ma lontano dall'agnosticismo; un esplicito rifiuto del populismo e dell'uno vale uno in favore della competenza e della meritocrazia; l'avversione al neoliberismo in favore di un socialismo liberale e neo-keynesiano che sconfina in un'economia sociale di mercato; una "crescita sana, necessaria e utile" al posto della "decrescita felice"; l'esigenza di un contatto più stretto con gli intellettuali e con i sindacati; la consapevolezza del jobless growth per cui le nuove tecnologie distruggono più posti di lavoro di quanti ne creino; la conseguente necessità del reddito universale e della riduzione dell'orario di lavoro. Infine, la necessità di una leadership corale del Movimento, ispirata alle idee di Adriano Oliveto e, quindi, al massimo coordinamento, in ogni comunità, tra sistema scolastico, imprese, parti sociali e istituzioni. Ovviamente, questo è il cammino compiuto verso h forma-partito da par-te dei vertici dei 5 Stelle dopo un'esposizione pluriennale e full time all'influenza dei palazzi di governo. Senza una ricerca parallela è difficile dire quanto di questa metamorfosi sia sgocciolata fino alla base, forse più sensibile alla forma-movimento di Di Battista. Resta però che questa forza politica, rispetto agli altri partiti, è più recente per formazione, più giovane per età e con una percentuale maggiore di laureati. L'unica che, sotto un triurnvirato composto da Conte, Di Maio e Di Battista, potrebbe coniugare, in modo equilibrato, la solidità razionale del partito con l'effervescenza emotiva del movimento.

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