Se si è presi come d’impeto dall’uzzolo buono di
verificare lo stato di salute del governo degli “ottimi” basterà munirsi
della foto di rito al Quirinale per andare a scovare uno per uno i nuovi acquisiti
del governo. Sicuramente la ricerca di quella “ottima” sostanza di cui si dice
sia fatto quel governo troverà non poche difficoltà ad essere acclarata come
tale, poiché in non pochi sobbalzeranno appena avranno messa a fuoco l’immagine
di Gelmini Mariastella. Come sia potuta finire tra gli “ottimi” al governo è e
sarà “ab
aeterno” un mistero (in)glorioso assai. Per la qualcosa s’avvererà
quell’adagio antico che al “peggio non c’è mai fine”. Scrive per
gli immemori turiferari Pino Corrias in “Occhi
di lago e Cielle: è tornata Mariastella, la neutrina di Silvio”, pubblicato
su “il Fatto Quotidiano” di ieri domenica 21 di febbraio 2021 (che di seguito
si riporta nella sua interezza): “(…). Vedremo cosa riuscirà a cavare da
quell’abisso di tormenti per trasformarli in colpi di teatro e buon umore, mai
come ora utili alla depressa nazione. Se saprà ripetere quel meraviglioso
inciampo del tunnel che credeva scavato tra il Cern di Ginevra e i laboratori
del Gran Sasso, 732 chilometri nientemeno, dove secondo lei, ministra persino
della Ricerca scientifica, correvano allegri i neutrini alla velocità della
luce. Per vantarsene disse che il suo dicastero aveva contribuito a costruirlo
con 45 milioni di euro. E quando il mondo si meravigliò di tanta ingenuità, non
rise come tutti, ma licenziò il portavoce. (…)”. Di quella ignominiosa
figuraccia la Mariastella – al tempo ministro al MIUR, acronimo che sta per “ministerodellapubblicaistruzioneuniversitàricerca”
- non ha pagato “pegno” alcuno. Anzi è rimasta a galleggiare per tutto questo
tempo per ritrovarcela oggigiorno annoverarsi (per bontà ed opera dei turiboli)
tra gli “ottimi” d’Italia. Non ci resta che attendere le prossime sue incredibili,
ingloriose imprese, che non mancheranno di certo. Ha scritto Pino Corrias: Noi
sudditi di poca fede credevamo che il suo sorriso andasse spegnendosi ogni sera
nel cielo catodico dei tg, mentre recitava, a metà con l’elettrica Anna Maria
Bernini, il fervente mantra dell’identico nulla: “Anche oggi il presidente
Berlusconi ha avuto ragione”. Persuasi che quel suo lampo d’occhi lacustri, di
denti candidi e di tailleur fucsia, fosse un bagliore al crepuscolo. Non sapevamo
che quella permanenza serale della sua cangiante permanente, era l’alba di una
nuova stagione lungamente attesa. Quella dei competenti dell’Era Draghi.
Eccola, dunque. Mariastella Gelmini è tornata con il suo centesimo paio di
occhiali. Sarà di nuovo ministro. E anche stavolta ci darà delle soddisfazioni.
A questo giro, per divertirci, non tormenterà più gli insegnanti, gli studenti
e i bidelli della scuola pubblica, facili da strapazzare con tagli, dispetti,
gomitate, come nella sua indimenticata stagione al dicastero dell’Istruzione,
anni 2008-2011. Ma dovrà vedersela con l’agglomerato balcanico della Regioni,
dove ogni giorno si combatte la guerra vera al Covid-19, con il fuoco delle
ordinanze, le ritirate in zona rossa, le varianti da inseguire, la trincea dei
vaccini da scavare. Oltre ai disastri economici, sociali, esistenziali da
fronteggiare, anche al netto degli assembramenti e delle lotte per la
sacrosanta libertà di skilift e di aperitivo. Vedremo cosa riuscirà a cavare da
quell’abisso di tormenti per trasformarli in colpi di teatro e buon umore, mai
come ora utili alla depressa nazione. Se saprà ripetere quel meraviglioso
inciampo del tunnel che credeva scavato tra il Cern di Ginevra e i laboratori
del Gran Sasso, 732 chilometri nientemeno, dove secondo lei, ministra persino
della Ricerca scientifica, correvano allegri i neutrini alla velocità della
luce. Per vantarsene disse che il suo dicastero aveva contribuito a costruirlo
con 45 milioni di euro. E quando il mondo si meravigliò di tanta ingenuità, non
rise come tutti, ma licenziò il portavoce. Erano i tempi in cui tormentava la
scuola passeggiandoci dentro con l’esplosivo, accompagnata dalle squadre di
pulizia di Giulio Tremonti: 100 mila insegnanti cancellati in un triennio, 8,4
miliardi di euro di tagli. E intanto intasava convegni e giornali con gli elogi
alla meritocrazia, le lodi all’impegno formativo, gli encomi alla scuola dei
migliori, sebbene allestita nelle classi pollaio e con i grembiulini. Stavano
tutti per crederle, quando venne fuori che lei aveva fatto il contrario. E da
giovane laureata in Giurisprudenza, era scesa da Brescia fino a Reggio Calabria
per sostenere l’esame di Stato. Quando venne scoperta la sua furbata, spiegò:
“Al Nord bocciano il 70 per cento dei candidati. In Calabria nove su dieci
vengono promossi”. Ma non l’aveva fatto per sé, figuriamoci. Bensì per i suoi
genitori che erano poveri e stanchi: “Non potevano permettersi di mantenermi
troppo a lungo agli studi. Mio padre era agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare”.
Sommersa di fischi, rimase imperturbabile, come solo le devote alla causa sanno
fare. E di cause Mariastella ne ha addirittura due. Una la porta al collo sotto
al foulard, nella forma di un piccolo crocifisso di legno, l’altra nel cuore ed
è l’immagine grande-grande di Silvio che le sorride. La prima coincide
intimamente con la sua infanzia di Bassa bresciana, nata tra le nebbie di Leno,
anno 1973, babbo sindaco democristiano, mamma maestra, all’orizzonte la luce
malinconica del Lago di Garda. La seconda con il destino alto suo e della
Repubblica: “Quando il presidente scese in campo,
svegliò in me la passione civile”. Era il 1994. Aveva 21 anni. Racconta:
“La mia fu una scelta coraggiosa e trasgressiva. Tutti dicevano che Forza
Italia era un partito di plastica. E mia madre era preoccupata da morire”. Coraggiosamente
e trasgressivamente, Mariastella diventa la pupilla dell’ex ministro
democristiano Giovanni Prandini, detto a quei tempi “Prendini”, inseguito da
numerose Procure, riparato anche lui nel partito di plastica, dove secondo la
novizia Mariastella “È alto il profilo etico della politica”. Che è a sua volta
“la più alta forma di carità”. Veloce fu la sua gavetta, da consigliere
comunale a Desenzano a coordinatrice lombarda di Forza Italia, passando per il
memorabile incontro con il presidente, grazie alla mediazione del giardiniere
di Arcore, un tale Giacomo Tiraboschi. Da lì è un attimo sbocciare in
Parlamento, nella celebre pattuglia delle devote – Carfagna, Santanchè,
Prestigiacomo, Brambilla – titolari di un cospicuo potere nel sultanato di
Arcore: “In Forza Italia – disse Mariastella – le quote rosa non servono. Il
presidente tiene già tanto a noi”. Da allora i rotocalchi e gli invidiosi non
l’hanno più persa di vista. Compare accanto al presidente nel celebre giorno
del Predellino, 18 novembre 2007, piazza San Babila, mentre Silvio sbriga in
tre minuti di comizio/congresso la nascita del Popolo delle Libertà. È sulla
scalinata del Tribunale di Milano, l’11 marzo 2013, mentre canta l’Inno di
Mameli con altri 150 deputati azzurri, per difendere il presidente da altre
quote rosa che i giornali chiamano Olgettine, compresa la minorenne Ruby
Rubacuori, e i giudici comunisti vogliono “ficcare il naso sotto le lenzuola
del presidente”. Salvo gli inciampi cognitivi, un matrimonio finito male e
qualche fanta-intercettazione, la sua avventura in pubblico è tutta d’acqua
dolce. Per anni canta la messa quotidiana accanto a Sandro Bondi “umile,
timido, immensa cultura”. È a suo agio tra le buie santità dell’Opus Dei e le
bianche fatturazioni di Comunione e liberazione. Si addestra alla scienza
sociale con Roberto Formigoni e a quella politica con Fabrizio Cicchitto. Per
il tempo libero si affida a un altro piduista, Luigi Bisignani. Ma sono solo
istanti sottratti al presidente che difende con le unghie da un quarto di
secolo: “Chi lo insulta, insulta gli italiani”. Una fedeltà che a suo tempo
Dell’Utri elogiò: “È lei il futuro di Forza Italia”. Neanche lui immaginando
che sarebbe stato proprio Draghi a bersela.
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