"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 31 dicembre 2020

Cosedaleggere. 93 «Doveva essere una sorpresa per Natale».

Orrori delle feste comandate. 1 Come per dire che, se le cose degli umani avvengono in date ben precise, c’è proprio da crederci che “il cielo è vuoto”, così come è cantato nel brano di Cristiano De André: “Il cielo è vuoto, c'è soltanto il sole Che acceca la terra e fa esplodere il grano E noi che intanto bruciamo”. Non per nulla “L'uomo più cattivo del mondo” secondo Carlo Lucarelli – sul settimanale “il Venerdì di repubblica” del 18 di dicembre 2020 - ammazza la madre proprio in prossimità del Santo Natale: Per un po' ho pensato che fosse l'uomo più cattivo del mondo. Ne ricordo la fotografia, vista tanti anni fa su una vecchissima rivista: un tipetto magrolino e apparentemente innocuo, poco più di un ragazzino, i lineamenti appuntiti come quelli di Anthony Perkins in Psycho, va bene, ma in una faccia da bravo ragazzo. Era successo che la sera del 1° novembre 1955 gli abitanti di Longmont, nel Colorado, avevano sentito uno strano rumore sulle loro teste. C'erano abituati agli aerei che partivano dal vicino aeroporto di Denver, ma quello era un vero e proprio boato, come un'esplosione, e infatti il volo 629 per Seattle era precipitato in un campo di barbabietole da zucchero: 39 passeggeri e 5 membri dell'equipaggio, tutti morti, e il DC-6B che li portava spezzato in due, tra detriti incendiati e pezzi di ferro contorti. Un boato. Un'esplosione. Un pilota esperto della United Airlines con un sacco di ore di volo che cade giù così, appena dodici minuti dopo il decollo. E un buco nella sezione 4 della stiva. Per gli investigatori della compagnia aerea e per gli agenti dell'Fbi non ci sono dubbi: è stata una bomba. Allora cominciano a indagare sui passeggeri del volo 629, chi erano, che bagagli avevano, cos'hanno fatto all'aeroporto, tutto. E così salta fuori una cosa strana. C'è un passeggero, una signora di Denver che si chiama Daisie King, che poco prima di partire ha siglato tre polizze d'assicurazione sulla vita, proprio lì in aeroporto: 37.500 dollari, che per allora erano una bella somma. Tutte intestate alla stessa persona: John Gilbert Graham, detto Jack. Suo figlio. L'Fbi indaga su Jack e scopre che ha una lista di precedenti molto interessanti. Assegni rubati, assegni in bianco, un giorno il ristorante della madre è saltato per aria per una fuga di gas: teppisti entrati di notte per rubare la cassa, dice Jack all'assicurazione, che paga. E paga anche il suo Chevrolet pickup, parcheggiato per sbaglio sulle rotaie e investito da un treno. Jack si aspetta che adesso quelli dell'assicurazione arrivino a saldargli le polizze della mamma. E invece arriva l'Fbi. A fregarlo, senza volerlo, è sua moglie, che racconta candidamente agli agenti che Jack aveva messo nel bagaglio della signora Daisie un piccolo beauty case incartato in un pacco regalo. Doveva essere una sorpresa per Natale. Una brutta sorpresa, dal momento che dentro c'erano 25 candelotti di dinamite con un timer a orologeria. Lo arrestano, lo processano e dopo 69 minuti di camera di consiglio la giuria lo condanna a morte. In carcere Jack cerca di suicidarsi ma lo salvano, perché deve pensarci lo Stato, che l'11 gennaio 1957, alle 8 del mattino, lo manda nella camera a gas. Ecco, allora, uno che per riscuotere l'assicurazione uccide 44 persone con una bomba per ammazzarne una, e quella è sua madre, mi sembrò davvero l'uomo più cattivo del mondo. Ma era tanto tempo fa, perché poi, di brutte storie, ne ho conosciute molte altre, e, se possibile, anche peggiori. 

Orrori delle feste comandate. 2 Come per dire che non è vero che “la mafia uccide solo d’estate”, come sentenziato nel piacevole lavoro cinematografico (dell’anno 2013) di Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, siciliano di Palermo. Testimonia Carlo Lucarelli che “La mafia uccide anche a Capodanno” nella Sua quindicinale rubrica “Brutte storie” di oggi 31 di dicembre 2020 (“annus horribilis” secondo la vulgata televisiva corrente, come se tutti gli anni precedenti non siano stati in eguale misura orribili. È che negli anni precedenti è toccato a quegli sprovveduti definiti gli “altri” che non fanno parte, per colpa loro, della parte del mondo privilegiato n.d.r.)  pubblicata sul settimanale “il Venerdì di repubblica”: Chi lavora nella sanità sa che gli ospedali non chiudono a Capodanno, e infatti anche quella sera del 31 dicembre 1991 al Pronto Soccorso di Canicattì arriva un’ambulanza con un giovane di vent’anni, ferito gravemente da un proiettile che gli ha perforato un polmone. Era al Bar 2000, dice, a Palma di Montechiaro, ad aspettare un amico per festeggiare il Capodanno, quando un uomo è entrato e si è messo a sparare. E infatti in quel baretto in via Roma, a pochi passi dal bellissimo palazzo di Tomasi di Lampedusa, l’autore del Gattopardo, c’è stata una vera strage: sette feriti, tra cui un bambino di nove anni, figlio del proprietario, e due morti sul pavimento. Ma non è tutto vero. La strage c’è stata, e fa parte della cosiddetta “Faida del Gattopardo”, appunto, una guerra di mafia che oppone le famiglie locali agli Stiddari, i mafiosi di Gela. Ma Salvatore Caniolo, il giovane con il polmone perforato, non era lì per caso. È uno degli uomini scesi da una Fiat Uno bianca rubata dieci giorni prima ad Agrigento. Due sono rimasti in auto, ad aspettare col motore acceso, e uno si è fermato sul marciapiede a fare da palo, con la pistola sotto il giubbotto di pelle. Salvatore è entrato, ha imbracciato una mitraglietta calibro 9 e si è messo a sparare. Duecento colpi, diretti soprattutto a Felice Allegro, 61 anni, ritenuto uno dei capi della cosca rivale, che viene ucciso sul colpo proprio davanti al bancone, ma quando si spara a raffica dentro un bar affollato di gente che a quell’ora, poco dopo le otto di sera, si saluta o si prepara ad andare a festeggiare la mezzanotte, i proiettili fanno un po’ quello che vogliono loro. E infatti un po’ di gente cade a terra ferita, mentre gli altri si gettano sotto i tavoli, urlando terrorizzati. Tranne uno. Nel bar, casualmente, c’è un uomo che di mestiere fa la guardia carceraria. Si è fermato un momento per prendere un caffè, ma ha con sé la pistola d’ordinanza e appena Salvatore si mette a sparare salta dall’altra parte del bancone, estrae la sua Beretta 7.65 e risponde al fuoco. Colpito in pieno petto, Salvatore scappa fuori mentre gli altri lo tirano dentro la macchina e partono sgommando. Ma è troppo grave, così lo lasciano alla guardia medica di Camastra, un paesino ad una ventina di chilometri, anche quella aperta nonostante il Capodanno. Da lì a Canicattì, in ambulanza e poi a Enna. Dove non fanno in tempo ad arrestarlo che muore. È la terza vittima di quella che verrà chiamata la strage di Capodanno. Perché sul pavimento del Bar 2000, c’è un altro uomo, un giovane di trent’anni che si chiama Giuseppe Aliotto. Era lì per caso, per un caffè, nel posto sbagliato al momento sbagliato, come tante volte accadeva in quei brutti primi anni 90 nelle terre infestate dalle mafie, e come accade ancora, non solo in quelle. Il suo è uno dei nomi che vengono letti il 21 marzo, nella giornata in ricordo delle vittime di mafia. Vittime innocenti. Uno dei 944.

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