"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 1 dicembre 2020

Virusememorie. 49 «Ciò che chiamavamo vita normale è stata in realtà la condizione di possibilità di questa tragedia».

Ha scritto il filosofo Leonardo Caffo in “Dopo il Covid-19 Punti per una discussione” – “nottetempo” editrice – al tempo della prima ondata della pandemia: “Chiusi nelle nostre case, posto che anche la chiusura in casa implica un problema legato a disparità di classe che avevamo ignorato col falso mito del benessere collettivo, oggi ognuno di noi sa che nulla sarà come prima: il cambiamento ci terrorizza, ma è altrettanto vero che, paradossalmente, forse nessuno si era mai sentito così vivo come in questo momento. Un tempo ritrovato per pensare, per leggere, per scrivere, per amare, ma anche per deprimersi: per capire che ciò che chiamavamo vita normale è stata in realtà la condizione di possibilità di questa tragedia”. Leonardo Caffo ha risposto ad Antonello Caporale in una intervista – “Ci restano dieci anni: il futuro ci riserverà una vita da niente” – pubblicata su “il Fatto Quotidiano” di ieri 30 di novembre 2020: “L’anno che verrà? Sarà peggiore di questo. E il successivo peggiore del prossimo”. Caffo, la fine del mondo è vicina? “La fine di questo mondo sì. Che non è un modo di dire, ma un catasto di eventi che, messi uno sull’altro, faranno sprofondare la baracca nella quale ci siamo rifugiati”.

In effetti Michel Osterholm, del team di epidemiologi incaricati di governare il Covid da Joe Biden, annuncia che l’epidemia che seguirà a questa sarà ancora peggiore. “Basta sfogliare Nature o Science, leggere i rapporti della Nasa e dell’Onu per capire che sono attivi, non meglio definiti, una cinquantina di virus la cui capacità letale è del tutto o parzialmente sconosciuta. Perciò parlo del Covid come di un terremoto epistemiologico”.

Terremoto epistemiologico. “La distruzione improvvisa di tutte le cose che conoscevamo e di come le conoscevamo. Questo evento così catastrofico accorcia le nostre difese di immunità da eventi che prima d’ora venivano relegati ai territori del terzo mondo, lontani, affamati e barbarici. E accorcia anche le difese della natura dall’aggressione umana. I cambiamenti climatici tra dieci anni non ci daranno tregua”.

Le guerre per l’acqua sono una previsione unanime. “L’acqua, l’aria. I combustibili fossili che inquinano il mondo sono un enorme e generoso viatico per il Covid, come s’è appena visto, e sono distruttori di enormi ricchezze ambientali. Siamo in grado di capire che l’economia, per come noi la intendiamo, debba soccombere davanti ad altre urgenze?”.

Lei risponde di no. “Risponde lei di sì? Il nostro contatto/contagio col mondo animale è tale che il male che procuriamo a noi stessi è nella terribile contabilità di queste ore. Sappiamo anche che se vogliamo far mangiare carne ai quasi otto miliardi di abitanti della terra distruggeremo l’ecosistema. Esiste un governo che possa essere nelle condizioni di dichiarare guerra al consumo di carne?”.

Dovremmo divenire tutti vegetariani secondo lei. “A me piace la carne, non ne faccio questione di sensibilità o gusto personale. Ma so che il suo consumo così massivo, frutto di allevamenti che avvelenano l’aria, ci farà finire, in un altro modo, col culo a terra”.

Lei dice che non più di dieci anni ci restano da vivere. “Ci restano da vivere nel modo in cui sappiamo. Mica sprofondiamo in un buco nero, mica verremo inghiottiti”.

Cosa accadrà? “Regrediremo progressivamente e – con ogni probabilità – disordinatamente”.

Pensavamo che il vaccino ci liberasse dall’angoscia. “Invece non è nemmeno chiaro il tempo di difesa dal virus, anzi sembra certo che sarà limitato e parziale”.

Mascherine a tempo indeterminato. “Diciamocelo francamente: sarà una vita di merda”.

Quindi chiudiamo bottega? “La chiuderemo di sicuro se ci incaponiremo nell’idea che il nostro stile sia immutabile. Dovremo abbandonare la vita verticale, le ricchezze o le sicurezze dei nostri genitori. Cambieremo metro di giudizio sul futuro e sul passato. Domani non sarà per forza meglio di oggi. A scuola dovremo imparare, dopo l’aritmetica e la geometria, a inchiodare una staffa, piantare un seme in terra”.

Qua si parla di panettoni e sci. “Chi produce i panettoni cosa deve chiedere se non che gli sia assicurato un modo per venderli? Sa fare panettoni, ha fatto per tutta la vita panettoni e ha il panettone in testa. Come noialtri pensiamo, nonostante tutto, al pranzo di Natale. È l’illustrazione della nostra disabilità a immaginare quel che verrà”.

Non ce la possiamo mai fare. “Non abbiamo molto tempo per imparare: dieci anni. Ricordiamocelo”.

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