"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 22 dicembre 2020

Cosedaleggere. 90 «Un’unica “turba pilleata” invade la città. I Saturnali sono insomma una festa della libertà».

 

Ha scritto Errico Buonanno nel Suo “Falso Natale” – UTET editrice (2019) -: Per dirla con lo storico delle feste John Storey: “Il Natale fu inventato anzitutto e soprattutto come un evento commerciale. Tutti gli elementi che vennero rispolverati dal passato o inventati – decorazioni, biglietti d’auguri, petardi, canzoni, visite di Babbo Natale e acquisto di doni – avevano una cosa in comune: potevano essere venduti per trarne guadagno”. Il nuovo Natale era insomma una celebrazione delle «vittorie del capitalismo industriale: largo consumo in un’economia di mercato». Qualcosa che andrebbe ripetuto, quando ci lamentiamo di una presunta deriva consumistica di una festa che, nella sua versione moderna, consumistica nasce. Tratto da “Al Saturnale ogni libertà vale” di Maurizio Bettini pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 22 di dicembre 2020: Siamo a Roma, ed è dal 17 dicembre che si festeggia. La città brulica di gente, la sera si riempie di luci, mentre mercatini improvvisati approfittano dei porticati per alzare i loro tendoni (proprio come avviene con i nostri mercatini di Natale). Si vendono oggetti di ogni tipo, candele da accendere per la festa, statuine che verranno donate in particolare ai bambini. È questo il periodo dei Saturnali, una delle feste più antiche e più caratteristiche di Roma antica. Ma perché mai i romani appaiono così indaffarati? Al punto di far dire a Seneca che «la città suda» nonostante il freddo? Tanto per cominciare, questo è il momento in cui si acquistano i doni da scambiare con parenti, amici, persone a cui si tiene. Doni piccoli e grandi, giocosi o fastosi, dipende dalle possibilità economiche, dai rapporti che si hanno con gli altri o da quelli che si vogliono instaurare con loro. Perché anche in occasione dei Saturnali (proprio come accade nelle nostre feste natalizie) lo scambio dei doni era inserito in un sistema di relazioni sociali che poteva dar vita a vere e proprie forme di obbligazione. Obbligo di donare, obbligo di ricevere, ma soprattutto obbligo di ricambiare, e talora in misura superiore al dono ricevuto. Ci viene anzi detto che in questo periodo i patroni solevano esigere dai loro clienti doni così costosi che un tribuno, Publicio, intervenne direttamente con un provvedimento che limitava ai soli cerei, le candele tipiche della festa, i doni che i clienti dovevano offrire ai loro patroni. Soprattutto, però, durante i Saturnali è il momento di darsi alla bella vita, di festeggiare: proprio come facciamo noi per la fine dell’anno. Il fatto è che le celebrazioni per il dio Saturno esigono gioia ed allegria. «Io Saturnalia!» è il grido che ovunque risuona. Figurarsi che i severi romani si sono addirittura tolti la toga – l’uniforme del cittadino – per indossare vesti più frivole, adatte ai banchetti, come la synthesis. «Guarda come si è ridotta Roma» commentava l’austero Seneca «un tempo la toga ce la toglievamo solo in occasione di pubbliche sventure, per indossare abiti da lutto, adesso lo si fa per andarsi a divertire…». Ma non soltanto si mangia e si beve. Durante i Saturnali (è Marziale a dircelo) dovunque si sente risuonare il tintinnio dei “fritilli”, i cornetti in cui si agitano i dadi prima di gettarli. Nel periodo della festa infatti la “lex alearia”, ossia la legge che vieta il gioco d’azzardo, è sospesa, l’edile non può intervenire sui giocatori. I dadi sono la mania del momento, il sugo della festa. Si gioca di soldi ma anche, stando a Luciano, di sole noci (come facciamo noi con le tombole di fine d’anno, quando si gioca coi fagioli?), perché ai tempi di Saturno si viveva sobriamente, in piena età dell’oro: e quindi che bisogno ci sarebbe stato del danaro? Si gioca per divertirsi, naturalmente, ma i dadi che si agitano nel “fritillus” evocano anche qualcosa di più significativo. La fine dell’anno si avvicina, fra poco se ne aprirà uno nuovo e il “cadere” di quei dadi richiama, nella parola stessa, il “casus”, ossia la sorte: che colpo dopo colpo, caduta dopo caduta, si cerca in qualche modo di mutare, rendendola più favorevole. Alla fine dell’anno, insomma, e all’inizio di quello nuovo, i giochi si riaprono, come si suol dire, e il “cadere” e “ricadere” di quei dadi evoca il gioco del destino. Il costume più singolare che caratterizzava la festa dei Saturnali, però, era un altro, davvero sorprendente. Accadeva infatti che la differenza fra servi e padroni venisse cancellata. Poteva perfino accadere che i padroni preparassero da mangiare per i servi e fossero loro a servirli in tavola. (…).  Dunque i servi non sono più servi e i padroni non sono più padroni. Tant’è vero che in quei giorni tutti mettono in capo il “pilleus”, il pesante berretto di lana che veniva fatto indossare allo schiavo nel momento in cui il padrone lo liberava, facendogli così assumere lo statuto di liberto. Ai Saturnali il “pilleus” lo indossano proprio tutti, se lo mette sul capo perfino l’imperatore Domiziano – il «nostro Giove», come lo chiama il deferente Marziale. Il simbolo non potrebbe essere più chiaro. Liberi e schiavi tendono a confondersi in una stessa categoria, la toga non distingue più il cittadino da colui che non lo è, e un’unica “turba pilleata” invade la città partecipe, una volta tanto, di una medesima condizione: quella della libertà. È la «libertà di Dicembre», come la chiama espressamente Orazio. Che in una delle sue satire più originali invita il proprio schiavo, Davo, a fargli pure la ramanzina, a rimproverargli tutti i suoi vizi, approfittando della «libertà di Dicembre»: quella che permette ai servi di sentirsi pari, se non superiori, ai loro padroni. I Saturnali sono insomma una festa della libertà. (…).

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