"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 7 dicembre 2020

Storiedallitalia. 90 «Il Montezemolo, detto “Libera e bella” per il crine fluente e cotonato d’un tempo».

 

Ha scritto Alessandro Robecchi in “Altro che imprenditori: il partito del Pil sono gli italiani che lavorano” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 5 di dicembre dell’anno 2018: Prima di tutto una precisazione. I tremila imprenditori che l’altro giorno (dicembre 2018 n.d.r.) a Torino si sono riuniti per dire sì alla Tav e a tutto il resto (grandi opere, medie opere, tagli alla manovra) non sono, come si è scritto con toni eccitati e frementi “Il partito del Pil”. Non rappresentano, come si legge in titoli e sommari “due terzi del Pil italiano e l’80 per cento dell’export”. Il Pil italiano, e anche l’export, lo fanno milioni di lavoratori che in quelle imprese sono occupati. Gente che da anni vede assottigliarsi il suo potere d’acquisto, mentre aumentano profitti e rendite, che assiste all’erosione dei suoi propri diritti, che va a lavorare su treni affollati come gironi infernali, che sta in bilico sul baratro della proletarizzazione, che teme ogni giorno un disastro, una delocalizzazione, una vendita ai capitali stranieri, una riduzione degli organici, che combatte ogni giorno con servizi sempre più costosi, che fa la parte sfortunata della forbice che si allarga – da decenni – tra redditi da lavoro e profitti. Il Pil italiano – come il Pil di tutti i paesi del mondo – lo fanno loro, ed è piuttosto incredibile che una platea di tremila persone venga più o meno, con pochissime sfumature, identificata con l’economia italiana senza nemmeno una citazione di sfuggita, un inciso, una parentesi, che ricordi i lavoratori. (…). Sicuri che quei tremila (80 per cento dell’export, due terzi del Pil) non abbiano colpe in tutto questo? Che non abbia funzionato niente, negli ultimi trent’anni, politica, economia, finanza, Stato, amministrazione, tranne loro, sempre perfetti e “motore dello sviluppo”? È un po’ incredibile, andiamo! Eppure negli anni di Silvio gli imprenditori italiani hanno avuto di tutto e di più, e negli anni del centrosinistra meglio ancora, dalla pioggia di miliardi del Jobs act al coltello dalla parte del manico nelle relazioni sindacali, come la possibilità di demansionare i dipendenti, per non dire dell’articolo 18. Da almeno trent’anni, con piccole frenate e forti accelerazioni, la filosofia al governo sostiene la tesi che aiutando le imprese si aiutino anche i lavoratori, che se stanno bene gli imprenditori staremo bene tutti, che se la tavola è sontuosa, qualche briciola cadrà dal tavolo per i poveri. Questo, in trent’anni di sperimentazione, non si è verificato, anzi è successo il contrario, la precarizzazione è avanzata, fino al cottimo, fino all’algoritmo che gestisce i tempi di vita delle persone. (…). È legittimo lo sconcerto e anche l’accorato appello, che confina col piagnisteo, che confina con le minacce, va bene, si chiama pressione politica. Ma partito del Pil no. Il partito del Pil, qui, sono milioni di italiani (e stranieri) che lavorano, e anche loro a caccia di qualcuno che li rappresenti in un Paese senza sinistra. Un “prototipo” eccellente di quegli imprenditori valorosi, di quei “capitani coraggiosi”, dei quali ha scritto Robecchi solamente due anni addietro, ce lo presenta, aggiornato al presente, Marco Travaglio in “Montezuma” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 3 di dicembre 2020: (…). Il Montezemolo (…), detto “Libera e bella” per il crine fluente e cotonato d’un tempo, nasce nel 1947 a Bologna da nobili lombi sabaudi. Amico del cuore di Cristiano Rattazzi, figlio di Suni Agnelli, fa tanto divertire l’Avvocato. Così nel 1973 approda alla Ferrari. È il suo più grande e forse unico successo della vita (donne a parte), anche perché alla guida delle Rosse c’è Niki Lauda. Appena passa alle Relazioni esterne della Fiat, si scopre che si fa pagare da finanzieri straccioni per presentarli ad Agnelli, per giunta con banconote nascoste dentro libri svuotati di Enzo Biagi. Romiti lo caccia su due piedi e anni dopo racconterà: “Abbiamo pescato un paio di persone che pretendevano soldi per presentare qualcuno all’Avvocato. Uno l’abbiamo mandato in galera, l’altro alla Cinzano”. Tra i fumi dei vermouth, Libera e bella resiste poco. Eccolo dunque sulla tolda di Azzurra all’America’s Cup. E poi al vertice del comitato dei Mondiali di Italia 90, altra calamità naturale: opere sballate, sprechi faraonici, ritardi mostruosi, costi degli stadi alle stelle (ultima rata pagata dallo Stato nel 2015). Ma, come diceva Totò, il talento va premiato. L’Avvocato lo ripesca e lo manda a rilanciare la Juventus con il “calcio champagne” di Gigi Maifredi. Risultato: la Juve arriva settima, esclusa dopo ben 28 anni da tutte le Coppe internazionali. In più, la società paga 4 miliardi di lire in nero al Torino per l’acquisto di Dino Baggio, con fondi gentilmente forniti da un conto svizzero di Agnelli. “Vedremo che cosa saprà fare da grande”, dice l’Avvocato mentre lo congeda dalla Juve dopo appena un anno e richiama in servizio il grande Giampiero Boniperti. Montezuma viene parcheggiato a Rcs Video, a occuparsi di videocassette: altro flop catastrofico da centinaia di miliardi. Così torna in Ferrari, l’unica cosa che gli riesce bene. Ma, lievemente bulimico, non si contenta e inizia una collezione di poltrone e sofà da Guinness: Corriere, Stampa, Le Monde, Tf1, Fiera di Bologna, Confindustria, Luiss, Indesit, Merloni, Poltrona Frau, Maserati, Unicredit, Ntv treni, Tod’s, Federazione Editori, Campari, Assonime, Citi Inc., Pinault, Fnac, Ppr Sa, Telethon, Unione Industriali Europei, Confindustria Modena, Cnel, Citigroup, Fondo Charme (sede in Lussemburgo, ci mancherebbe), senza contare una candidatura a ministro di Qualcosa nel governo Berlusconi-2 (2001), annunciata dal Caimano per acchiappare voti in campagna elettorale, mai smentita dall’interessato e poi tramontata. Dall’alto di cotanti successi, è pronto per la politica. Nel 2009 fonda Italia Futura in vista della discesa in campo, circondato da un trust di cervelli da paura: Umberto Ranieri, Andrea Romano, Carlo Calenda, Linda Lanzillotta. Il meglio sono i fratelli Vanzina, che almeno un mestiere ce l’hanno e lo fanno bene. Lui intanto si fa beccare al telefono col faccendiere pregiudicato della P2 e della P4 Luigi Bisignani, a cui ha assunto il figlio alla Ferrari, ma solo perché “è in gamba”. Naufragata anche Italia Futura, che confluisce in Scelta Civica di Mario Monti, cioè nel nulla cosmico, la maledizione di Montezuma si riabbatte sulla Fiat, di cui diventa presidente dopo la morte di Umberto Agnelli. Poi arriva Marchionne e nel 2010 lo liquida con una buonuscita di 27 milioni. E nel 2014 lo caccia anche dalla Ferrari: pure lì ha perso il tocco magico. Ma l’Innominabile (al secolo Renzi Matteo da Rignano sull’Arno n.d.r.) è pronto a riciclarlo, come mediatore con gli arabi di Etihad e poi come presidente della “nuova Alitalia”. Che perde più soldi di quella vecchia, tant’è che ora il nostro è indagato a Civitavecchia per bancarotta. Non bastando, lo piazzano anche al comitato per la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024, in tandem col suo dioscuro Giovannino Malagò. Ma lì, a impedirgli di fare altri danni, provvede Virginia Raggi col gran rifiuto. Lui, appena uscito da Ntv con 250 milioni in saccoccia, si rifà con la presidenza del Sigaro Toscano, perché non si dia del venditore di fumo: nel 2018 ne annuncia financo la quotazione in Borsa, ma ovviamente non se ne saprà mai più nulla. (…).

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