"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 24 dicembre 2020

Cosedaleggere. 91 «Oggi in Occidente, come in Oriente, esiste finalmente un solo, vero, e unico dio: il Dio Quattrino».

 

Ha scritto Errico Buonanno in “Falso Natale” – UTET editrice (2019) -: Le classi operaie e contadine, all’alba dell’età vittoriana (Londra, 24 di maggio 1819 – Cowes, 22 di gennaio 1901 n.d.r.), avevano perso praticamente ogni rapporto con il Natale. William John Butler, durante una sua visita nell’Hertfordshire nel 1844, scriveva nel proprio diario: “Le persone sembrano sentire poco il giorno di Natale. Ho notato che indossavano gli abiti da lavoro e che, rispetto alle domeniche, la partecipazione in chiesa era scarsa. A quanto pare, questo è l’atteggiamento generale nelle aree agricole. La gente sembra aver perso completamente di vista le grandi feste cristiane, e assieme a esse la coscienza dei grandi eventi che queste feste celebravano. I costumi papisti possono anche essere riprovevoli, ma almeno insegnano qualcosa riguardo alle origini della nostra fede e della nostra salvezza. La religione dei contadini inglesi è invece ormai confinata alla superficialità”. Ma se questa era la situazione delle campagne, le grandi città vivevano proprio negli stessi anni una riscoperta, o meglio, una rivisitazione della festa. Le classi agiate la trovavano un’occasione perfetta di sfarzo e di sfoggio delle proprie capacità, ovvero un momento di autocelebrazione: grandi case da decorare, grandi famiglie da riunire, e addirittura un cenone impostato sulla falsa riga di quello descritto a casa Cratchit nel Canto di Natale di Dickens. Tratto da “Altro che Covid, il Natale da tempo non esiste più” di Massimo Fini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri martedì 22 di dicembre 2020: (…). Al tempo in cui nacque Cristo le religioni, nel mondo allora conosciuto, erano orientali. La più estesa era quella di Zoroastro, che partita dalla Persia, occupava l’Asia centrale e parte dell’India. Non era una religione aggressiva, tanto che, secondo la leggenda, i Magi che venendo da Oriente andarono a rendere omaggio al neonato di Betlemme, erano sacerdoti zoroastriani. Il problema nasce con un’altra religione orientale, per meglio dire mediorientale, l’ebraismo che si inventa la favola del “popolo eletto da Dio”, relegando tutte le altre a genti di serie B, e affermando che esiste un solo e unico Dio, il Suo. Lo scontro con un’altra religione monoteista, anche se meno integralista, pur essa mediorientale, il cristianesimo, sarà inevitabile. Gli ebrei otterranno la testa di Cristo nonostante il governatore della Giudea, Pilato, cerchi finché gli è possibile di salvargli la pelle, scontrandosi però con questo affascinante borderline che crede di essere “il figlio di Dio” anche se non è poi del tutto convinto, “padre, padre, perché mi hai abbandonato?” (oserei dire che Cristo si immola più che per convinzione per una sorta di coerenza morale e persino estetica). Cominciano le zuffe fra ebrei e cristiani, incomprensibili alla mentalità romana. I Romani, e i Greci, cioè quello che possiamo considerare l’Occidente di allora, erano pagani, sostanzialmente dei laici. Quello degli antenati, presente presso tutti i popoli, era il loro unico culto, non avevano rapporti col metafisico, con l’aldilà, se non nella forma della Gloria, cioè del ricordo che si lascia ai posteri. Com’è noto i Romani durante quasi tutto il loro dominio furono tollerantissimi in materia di religione, compreso l’infamatissimo Nerone: “date a Cesare quel che è di Cesare”, cioè il frumento, per il resto ognuno creda a chi gli pare e segua i costumi che preferisce. Solo con Diocleziano cominciano le persecuzioni sistematiche, quando l’Imperatore si rende conto che il cristianesimo sta corrodendo come un tarlo le basi della società romana. Ma sarà troppo tardi. Per comprendere la mentalità romana è esemplare la storia di Paolo, futuro Santo e fondatore della Chiesa (che troppo spesso tradirà il messaggio di Cristo, che è un messaggio d’amore, un “porgi l’altra guancia” contrapposto all’ebraico, ma certamente non solo ebraico, “dente per dente”). Paolo, fulminato sulla via di Damasco, arriva a Gerusalemme. Vuole subito andare a predicare al Tempio. I cristiani della città gli dicono che non è il caso. Ma Paolo, è o non è un futuro Santo, ci va lo stesso. Viene accerchiato e sta per essere linciato. Interviene il comandante della piazza Claudio Lisia che lo sottrae ai facinorosi e lo porta a Cesarea davanti al governatore della Giudea Antonio Felice. Costui convoca i maggiorenti degli ebrei e chiede loro di che cosa accusino Paolo. Ne nasce una diatriba lunghissima fra gli ebrei e lo stesso Paolo, che Felice ascolta pazientemente, poi dice: “Se voi accusaste quest’uomo di un qualche fatto io vi darei ascolto, come di ragione, o ebrei, ma qui si tratta di nomi, di interpretazioni, non posso condannare un uomo per queste cose”. Paolo viene trattenuto nei castra nella forma di “custodia militaris”, una sorta di custodia cautelare. Non può uscire perché sarebbe immediatamente ucciso. In questa situazione rimane due anni. Ma Paolo è un cittadino romano e come tale ha diritto di essere giudicato a Roma. I Romani armano appositamente una nave, lo affidano a un vecchio centurione con cui farà amicizia, e lo portano a Roma. A Roma, in attesa del processo, rimarrà altri due anni, potendo predicare liberamente il suo credo, con la sola limitazione di non lasciare la città. Il tribunale di Roma, presieduto dal prefetto del pretorio Afranio Burro, lo assolverà.  Paolo morirà nel 67, in circostanze mai chiarite che comunque nulla hanno a che vedere con la cosiddetta persecuzione neroniana dopo l’incendio del 64. Passeranno i secoli. Verrà l’Illuminismo, la Dea Ragione sostituirà i vecchi idoli. Quando Nietzsche negli anni 80 dell’Ottocento proclama “la morte di Dio” non crede, prometeicamente, di aver ucciso Dio, ma constata con qualche decennio di anticipo che il sacro è morto nella coscienza dell’uomo occidentale. Oggi in Occidente, come in Oriente, esiste finalmente un solo, vero, e unico dio: il Dio Quattrino che tutti ci unisce, e nel contempo ci divide, nell’individualismo più sfrenato. Delle dolci parole del Cristo è tabula rasa. (…).

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