"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 17 dicembre 2020

Leggereperché. 55 «La mia vita scolastica era intrisa di religiosità, quella domestica, ai miei occhi infantili e conformisti, di dissolutezza».

Tratto da “Tutte le insidie dell'ora di religione” di Claudia de Lillo – in arte Elasti – pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 17 di dicembre dell’anno 2011: Sono nata in una famiglia di atei. Per metà, per giunta, ebrei. E anche un po' comunisti. Sono cresciuta con due genitori separati e poi divorziati, negli anni '70, quando ancora, quelli come me, erano considerati bambini molto sfortunati. Lo so, ci sono infanzie peggiori e della mia non mi lamento. Tuttavia quando, a sei anni, approdai in prima elementare e conobbi la mia maestra, che sarebbe stata il mio faro educativo e affettivo, capii che, prima o poi, avrei dovuto schierarmi ed ebbi paura di non esserne capace. Il mio faro era una fervente cattolica. La mattina, durante la prima mezz'ora di lezione, nonostante i ripetuti reclami dei miei genitori, recitavamo, più che preghiere, un'intera messa cantata. La mia vita scolastica era intrisa di religiosità, quella domestica, ai miei occhi infantili e conformisti, di dissolutezza. Arrivarono la terza elementare e l'ambita età della Prima Comunione, sommo traguardo, ci diceva la maestra in visibilio. "Voglio iscrivermi a catechismo", annunciai a casa. Fu un brutto colpo per mia madre che si autodenunciò durante una riunione della sezione Antonio Gramsci del Pci e si domandò dove aveva sbagliato. Per qualche mese frequentai catechismo e parrocchia e affrontai a testa alta lo sguardo contrito e l'autocoscienza di mia madre con i compagni di sezione. A pochi giorni dalla Comunione, mi guardai dentro. Decisi che la mia non era vera fede, anche se il vestito bianco e la canzone "Abramo non partire, non lasciare la tua terra" non erano niente male. "Con il catechismo ho chiuso. La Comunione non la farò", comunicai lapidaria. Alla Gramsci diedero in mio onore una festa danzante, la maestra non si capacitò della mia defezione e io sentii sulle mie spalle il peso di una scelta e il sollievo della consapevolezza. Oggi la scuola pubblica gioca d'anticipo e, alla materna, dall'età di tre anni, ai bambini viene impartito l'insegnamento della religione cattolica. All'iscrizione del primogenito alla classe verde dell'asilo, chiedemmo l'esonero, perché tre anni sono un'età acerba per molte cose, inclusa l'ora di religione. Scoprimmo con sgomento di essere delle mosche bianche. "Mamma, io, quando gli altri fanno religione, sono da solo, mi annoio e mi viene tristezza. Voglio farla pure io", disse lui l'anno successivo. Poiché le battaglie ideologiche dei genitori non si possono condurre a spese della serenità dei figli, a malincuore, lo accontentammo. Da allora lui segue, con entusiasmo e passione, le lezioni di religione a scuola. Ora che è in terza elementare, però, al catechismo non si è voluto iscrivere. Mio figlio di mezzo, dopo l'esperienza del maggiore, non è mai stato esonerato. Adesso ha cinque anni e l'altro giorno, in bagno, luogo in cui apre il suo cuore, ha detto che lui era stufo di frequentare le lezioni di religione. "Come mai?". "Perché a me le storie che racconta quella maestra non mi piacciono e non mi interessano. E poi mi avevate detto che, se volevo, potevo esonerarmi". "Sei sicuro? Ci hai pensato bene?". "Sì". "Lo sai che, una volta che hai deciso, non puoi cambiare di nuovo idea?". "Lo so". "Allora, se sei convinto, chiederemo l'esonero". "...". "Non vuoi pensarci ancora qualche giorno?". "No. E poi...". "Poi?". "Poi perché mi fai tutte queste domande? Non sono nemmeno battezzato. Lo so che non ci credete neppure voi. Non c'è bisogno di parlarne tanto". Forse ha ragione lui, non c'è bisogno di parlarne tanto, perché le cose si aggiustano da sole, perché i bambini hanno più risorse di una scuola senza carta igienica ma con il maestro di religione. Eppure io mi ricordo quel senso triste di non appartenenza, di forzata estraneità al branco. Ne ho avuto terrore quando l'ho intravisto nello sguardo del mio primo figlio e invidio l'infantile, implacabile sicumera del mio secondo. E mi chiedo se tutto questo sia proprio necessario.

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