Tratto da “Anche
le montagne a volte si spezzano” di Claudia de Lillo – in arte Elasti –
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 3 di dicembre
dell’anno 2016: La mamma sa tutto. La maestra ha ragione. I papà non piangono. La nonna
non dice parolacce. Lo zio ha un mucchio di fidanzate. Il nonno è fortissimo. I
bambini sono convinti di essere circondati da creature straordinarie,
portentosi X-Men ognuno con il suo super potere. I grandi, ai loro occhi, non
vacillano, non dubitano e non si rompono. Possono, e devono, risolvere
problemi, proteggere, sorridere, accogliere, conoscere il mondo, distinguere il
bene, che va difeso, dal male, che va disintegrato. Sono una sublime sintesi di
qualità umane, morali e fisiche. I bambini hanno bisogno di sicurezze per
crescere sani e forti e l'ingrato, arduo compito di dispensarle spetta a noi
adulti, con i nostri sì e i nostri no, con le nostre verità, con le nostre
granitiche certezze e, soprattutto, con la quotidiana messa in scena della
nostra presunta invulnerabilità. Quando ero piccola, mia mamma era per me un
gigante sorridente e invincibile, anche se, a pensarci oggi, la sua vita di
madre separata e lavoratrice lasciava di certo ampi margini di malinconia,
solitudine e disorientamento, di cui ero all'oscuro. Ricordo che un giorno,
mentre caricava la lavastoviglie in cucina, si mise a piangere. Avevo circa
sette anni e avevamo appena perso il nonno, suo padre. Le ragioni per un
cedimento erano molteplici, comprensibili e tutte valide. Eppure a me cadde il
mondo addosso. Rimasi incredula e paralizzata al cospetto della mia personale
montagna che franava. Durò un momento ma bastò ad aprire una voragine nella mia
coscienza bambina e un solco imperituro nella mia memoria adulta. Sono
cresciuta con il mito dell'inossidabilità dei miei genitori, tanto che trasalii
e m'impressionai persino quando mio padre scoppiò in singhiozzi di commossa
felicità alla nascita di mio figlio, il suo primo nipote. Ho cercato, con
risultati alterni, di fare mio questo modello di ultra-genitore che risparmia
ai figli la propria vulnerabilità. Per questo quando ho detto loro che il nonno
se ne era andato, non ho versato una lacrima, per questo simulo buon umore
anche quando sono esausta, per questo non li metto a parte delle mie paure,
delle mie ansie e delle mie inquietudini. Eppure sempre più spesso mi chiedo se
invece non sia più utile mostrare le proprie crepe prima possibile, in modo da
sgombrare subito il campo da illusioni e malintesi. Mi domando se non sia
meglio, e più facile, insegnare la nobile arte del brancolare tra luci e ombre,
del capitombolare rovinosamente per poi alzarsi e proseguire acciaccati ma
gloriosi. Non siamo eroi, non siamo X-Men e ogni tanto piangiamo un po'. Tanto
vale dirglielo subito, no? «No, non ti aiuto a fare l'analisi del periodo. Ti
ho mai detto che la odio? Tu invece scordati di dormire con me nel lettone
stanotte. Non importa che papà sia via, lasciando libero il posto accanto a me.
E tu che vuoi? Cioccolato? No! Se io non mangio cioccolato nessuno mangia
cioccolato. L'ho deciso io che sono il capo, sono triste e ho avuto una
giornata schifosa. Buonanotte». «Bene, mamma. Brava. Ora che ti sei sfogata,
andiamo di là a fare l'analisi del periodo, stanotte dormirai con il piccolo e
quel poveraccio del medio può avere un pezzo di cioccolata. Su, su, basta fare
la pazza ché tanto non convinci nessuno». Il mio problema non è la presunta
infallibilità ma la mancanza di credibilità. I miei figli non mi prendono sul
serio quando gioco la carta della vittoria né quando gioco quella della
devastazione. Tanto vale abbassare la guardia ed essere me stessa.
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