"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 11 dicembre 2020

Cosedaleggere. 87 «Non saremo più “liberisti”, ma finalmente liberi».

Tratto da “Mercati, anatomia da colpo di stato” di Massimo Fini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6 di dicembre 2020: (…). C’è un’ovvia differenza fra l’industria e la finanza. L’industria produce cose, oggetti, vestiti e, in campo alimentare, il più essenziale di tutti i beni, il cibo. La finanza non produce nulla, partorisce semplicemente altra finanza, è denaro che partorisce altro denaro, cosa che scandalizzava Aristotele per il quale il denaro essendo inanimato non poteva essere fertile (Politica). La finanza è una semplice “partita di giro” a somma zero. “Nulla si crea e nulla si distrugge”, diceva Democrito. Si può star certi che se c’è un rialzo alla Borsa di New York altri, in diverse aree del mondo, stanno perdendo qualcosa, non necessariamente denaro ma per esempio posti di lavoro. Le Borse vanno in visibilio quando una grande azienda licenzia un migliaio di dipendenti. La finanza, a differenza dell’industria che ha bisogno di operai, di tecnici, di impiegati, di portieri, non dà nemmeno lavoro. Basta un individuo particolarmente abile con computer veloce e costui schiaccia un pulsante e mette in ginocchio un intero Paese. Intendiamoci, questi trucchetti sul denaro ci sono praticamente da quando esiste il denaro, anche se nel corso dell’evoluzione, chiamiamola così, hanno preso dimensioni un tempo sconosciute. Nel Medioevo il grande mercante pagava le maestranze in moneta povera, sostanzialmente rame, che i poveracci usavano fra di loro (sarebbe stato inutile e assurdo tesaurizzarla) mentre il mercante realizzava sui mercati internazionali in oro e argento. È quanto succede anche oggi nei Paesi sottosviluppati, detti pudicamente “in via di sviluppo”, dove i locali spendono moneta locale, che non val nulla, mentre i loro datori di lavoro realizzano in dollari, euro, sterline. Il mercato è onnipresente. Esiste una vera e propria “dittatura dei mercati” di cui si preferisce non parlare o solo bisbigliare, anche se di recente due film, non a caso americani, The Wolf of Wall Street di Scorsese e Panama Papers di Soderbergh hanno affrontato in modo serio la questione. Questa dittatura però è sfuggente perché anonima. Sono finiti i bei tempi in cui il dittatore era un soggetto in carne e ossa e quindi potevi sempre sperare di sparargli col tuo fucilino a tappo e farlo fuori. Sparare contro “i mercati” è come cercare di colpire un fantasma. Il mercato è quindi invincibile? Teoricamente no. Al mercato si oppone l’economia di Stato quale è esistita, per fare l’esempio più noto, in Unione Sovietica. Ma l’economia di Stato è infinitamente meno efficiente di quella a libero mercato. Se l’Urss ha perso la Guerra fredda con l’Occidente non è perché aveva meno atomiche, meno bombardieri, meno carri armati, insomma meno armi, meno popoli arbitrariamente soggiogati, l’ha persa sul piano dell’economia. Un Paese a economia di Stato circondato da Paesi “liberisti” è spacciato. Dovrebbe essere talmente forte da occupare una buona parte del globo, per questo Trotzkij affermava “la Rivoluzione o è permanente o non è”. E infatti non è stata. Gli antichi Imperi fluviali, sostanzialmente collettivisti, comunisti, dov’era prevalente il concetto di “equivalenza” e di una ragionevole redistribuzione della ricchezza fra i sudditi, hanno potuto resistere tremila anni perché così immensi da non temere una concorrenza esterna. Allora siamo costretti a morire “democratici” (la democrazia è l’involucro legittimante del modello di sviluppo di libero mercato, la colorata carta che ricopre la caramella, cioè la polpa avvelenata del sistema) e “liberisti”? In teoria esiste una terza via, la famosa “terza via”, fra capitalismo e comunismo e si chiama socialismo. Il socialismo non rinnega l’economia di mercato, ma gli taglia parecchio le unghie con un forte intervento, in senso equitativo, dello Stato, inoltre coniuga il sistema con le libertà civili che è quanto è estraneo al comunismo ovunque si sia affermato. L’etica di Stato di hegeliana memoria nel socialismo non ha parte. Ma quel poco di socialismo che rimane nel mondo è attaccato da tutte le parti. L’esempio è Nicolás Maduro, definito regolarmente dai media occidentali come “dittatore”. Ora io vorrei sapere in quale dittatura un soggetto che ha tentato un colpo di Stato armato, con l’aiuto degli americani, come “il giovane e bell’ingegnere” Juan Guaidó, sarebbe a piede libero. Nella democratica Spagna sette indipendentisti catalani, che non hanno usato la violenza e che avevano qualche buona ragione in più del “bell’ingegnere”, sono in galera da quasi tre anni, il loro leader Carles Puigdemont in esilio. Non importa, Maduro è un “dittatore”, il generale Abdel Fattah al-Sisi che con un colpo di Stato ha decapitato l’intera dirigenza dei Fratelli Musulmani che avevano vinto le prime elezioni libere in Egitto, e assassinato circa 2.500 oppositori e altrettanti disperdendone nei “desaparecidos” è, come si espresse Matteo Renzi quando era premier, “un grande uomo di Stato” (io direi: di colpi di Stato). Allora siamo davvero destinati a morire “liberisti”? No, sarà il sistema stesso a suicidarsi in grande stile. Un sistema che si basa sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica ma non in natura, quando non potrà più crescere collasserà su se stesso. In modo molto rapido. Avete presente le vecchie cassette con le quali fino a qualche anno fa guardavamo i film? Durante il film andavano a ritmo regolare, ma volendo tornare indietro si avvolgevano a velocità supersonica. E questo, prima o poi, più prima che poi, accadrà. E allora non saremo più “liberisti”, ma finalmente liberi.

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