"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 25 dicembre 2020

Eventi. 33 «Natale resta una festa dell'intimità, una possibilità di gustare gli affetti e di un po' di tempo insieme, celebrando la vita».

 

Ci sono “parole” che offendono il “silenzio”. Così come ci sono parole che vivificano, come per incanto, il “silenzio”. Ed il Natale – per credenti o non credenti - abbisogna del “silenzio”. Poiché nel “silenzio” del Natale le parole dette o scritte hanno tutte il fascino di quelle verità non più dette, non più ascoltate, al tempo delle vite che affannosamente ruinano sotto i colpi (oggi) della pandemia e non solo. Ha scritto Enzo Bianchi – già priore della comunità di Bose - in “Le parole giuste del Natale diverso”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del lunedì 21 di dicembre 2020: (…). Abbiamo ascoltato annunci davvero stolti: Natale senza festa, Natale dimesso e rassegnato, Natale triste... Ciò mi ha spinto a domandarmi più volte che cosa rende il Natale una festa e che cosa al contrario lo contraddice, lo impedisce. Pur assumendo diversi significati per i cristiani e per i non cristiani, Natale resta un'occasione di festa. Per i cristiani è la memoria della nascita di Gesù, (…). Per quelli che non conoscono l'avventura della fede cristiana, Natale resta una festa dell'intimità, una possibilità di gustare gli affetti e di un po' di tempo insieme, celebrando la vita. Per tutti Natale significa vivere qualche giorno in modo particolare, conoscendo e gustando il senso di gratuità di cui tutti abbiamo bisogno: gratuità del sentirsi amati, gratuità dello stare insieme, gratuità di attenzioni, sguardi e parole scambiati nella gioia e nel dire sì alla vita. Certo, non vanno dimenticati quelli che a causa della malattia, della solitudine e della miseria non vivono nulla del Natale perché non hanno nessuno che in quel giorno possa fare loro una carezza, abbracciarli e dire: "Stiamo insieme!". D'altronde, dobbiamo pur ricordarlo, vi sono sempre uomini e donne che non riescono a festeggiare il Natale come vorrebbero, a causa del lavoro che non può essere tralasciato: medici, infermieri, forze dell'ordine, lavoratori dediti a servizi essenziali e continui. Non diciamo dunque che quest'anno sarà un Natale senza festa ma piuttosto un Natale diverso, privo di alcuni elementi di contorno, e cogliamo l'occasione per viverlo realmente, se non in compagnia di tutti coloro che vorremmo accanto, almeno con i nostri cari, con quanti vivono insieme a noi. Un pranzo preparato con amore è una confessione fatta ai commensali: "Io vi voglio bene". Un pranzo condiviso nella gioia significa: "Io sto bene con voi". E lo scambio dei doni è il riconoscimento che io accetto il dono dall'altro, il dono che è l'altro, dunque riconosco che non posso stare senza di lui. Abbiamo bisogno di vivere un Natale autentico, che sia comunque una celebrazione degli affetti e una epifania degli amori che viviamo. Augurarsi buon Natale significherà così augurarsi tanto amore vissuto nella gioia. Sempre cara torna alla memoria mia visiva la struggente immagine dello scomparso Paolo Villaggio che nel film “La voce della luna”, del grande ed indimenticabile Federico Fellini, implora il mondo affinché si conceda un po’ di silenzio. Un grido disperato il Suo, una richiesta senza speranza. Nel mondo che impazza, la cacofonia planetaria non lascia spazio all’ascolto interiorizzato, che tutto sembra un fluire inarrestabile di parole, spesso inutili, il più delle volte senza senso alcuno. Sembra quasi che il silenzio sia una non-vita, la negazione della giovialità, l’annullamento di ogni attività dell’uomo. Da altre esperienze di vita, da altri insegnamenti e convincimenti, ci giunge una lezione ed una “parola” (inascoltata) ben diversa: il silenzio è proprio dell’uomo, della sua anima, della sua fragile psiche. Trascrivo, in parte, le considerazioni di Giuseppe Jisõ Forzani, monaco buddista, che su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica” del 16 di settembre dell’anno 2007, sotto il titolo “Elogio del silenzio”, così scriveva: (…). L'educazione all'ascolto, presupposto di ogni dialogo autentico, compreso quello con sé stessi, si fonda sulla capacità di fare silenzio. Se, mentre ascolto la parola dell'altro (o il suono di una musica, o il passaggio del vento) io non sono capace di fare silenzio dentro di me, se non faccio tacere il brusio dei pensieri, delle riflessioni condizionate, delle emozioni istintive, io forse sento i suoni che mi giungono all'orecchio, ma certo non li ascolto per quello che sono, in tutta la loro potenza espressiva. Il rapporto con il silenzio è una funzione esistenziale primaria, alla quale ci si deve educare tramite quell'esercizio o quella pratica che definiamo “fare silenzio”. Fare silenzio non vuol dire imporsi o farsi imporre un tacere esteriore e interiore passivo, subìto, ma ampliare lo spazio interiore, che è potenzialmente sconfinato ma normalmente ingombro di ogni genere di oggetti-pensiero. Vuol dire riconoscere il valore espressivo del silenzio, comprenderlo come piena partecipazione e non come passiva ricezione, come nutrimento dello spirito, della mente e persino del corpo. Non è per niente facile fare silenzio, anche perché da secoli la nostra cultura ha imboccato la strada di considerare parola e silenzio come antitetici nemici (i vassalli rispettivamente dell'essere e del non essere) e non ha elaborato un'educazione affettuosa al silenzio. Anche là dove la meditazione è rimasta come pratica tramandata, si tratta per lo più di meditazione pensata, tecnica psichica, esercizio di elaborazione di immagini mentali, per raggiungere un qualche stato interiore desiderato. Un rapporto immediato, totale, assorto e vigile con il silenzio non viene proposto come pratica dalla nostra cultura filosofica e religiosa, ma viene abbandonato al sortilegio dell'attimo. L'amicizia con il silenzio, come ogni amicizia, è un bene di cui avere cura. Altre culture, altre sensibilità ed esperienze, in particolare orientali, che oggi si incrociano con le nostre, ci fanno conoscere modalità di fare silenzio, con la mente e con il corpo, che possiamo imparare e far nostre. Penso si tratti di una delle non molte speranze che visitano oggi il nostro presente. La ricerca è affidata a ciascuno. Il criterio per distinguere, rispetto al silenzio, la paglia e l'oro credo sia questo: se la meta della meditazione proposta è uno stato di benessere e pace, se il silenzio interiore si ammanta di aggettivi e promesse, siamo nell'ambito del gioco mentale; se si tratta soltanto di sedere in silenzio, siamo alla soglia del fare silenzio. (…).

Nessun commento:

Posta un commento