Tratto da “Perché
scienza e politica devono essere libere” di Gustavo Zagrebelsky, pubblicato
sul quotidiano “la Repubblica” del 14 di novembre 2020: (…). …è possibile, anzi
necessario, precisare il significato che si intende attribuire a queste due
parole: scienza e politica. La scienza si occupa di ciò che è "per
natura"; la politica, di ciò che è "per artificio". Altrimenti
detto, la scienza si rivolge a dure e testarde verità che stanno al di fuori
della volontà e dei desideri degli umani; la politica riguarda mutevoli e
discutibili preferenze. La scienza si propone di conoscere; la politica, di
scegliere. In sintesi, la scienza si occupa di ciò che è indipendentemente da
noi; la politica, di ciò che vogliamo che sia e crediamo che possa dipendere da
noi. Una distinzione chiara? Non direi: c'è il dubbio che la "scienza
politica", insegnata in tante università, nasconda un ossimoro insidioso. Innanzitutto,
un chiarimento. Usando la parola politica, non intendiamo cose che riguardano
la politica dei partiti, ma ciò che ha a che vedere con ciò che si fa, da
chiunque si faccia, per modellare e governare la dimensione pubblica della
vita, cioè la pòlis. Per questo "politica". Un concetto larghissimo
che comprende, certamente, l'attività dei partiti, ma non l'esaurisce. Esclude
i pensieri e le attività che nascono e muoiono nella dimensione individuale e
privata e che, a bene pensarci, sono assai poco numerose. Non è vero che tutto
è politico, come diceva l'ingenuo '68, ma è vero che moltissimo è politico. Nelle
società libere, scienza e politica sono a loro volta libere. Anzi, il segno più
chiaro delle società che amano la libertà è la libertà della scienza (e
dell'arte, naturalmente) e della politica. Ciascuna di esse pretende di non
avere limiti: se si prostituissero - come fu per la chimica, la fisica, la
sociologia, l'arte sotto il bolscevismo e il nazismo, e in generale in tutti i
regimi totali o totalitari - le condanneremmo come tradimenti. Lo stesso per la
politica: nei regimi liberi, la politica è, per definizione, libera di darsi i
suoi fini. Che ne sarebbe se fosse costretta a ubbidire a una religione, a una
ideologia, a una verità pre-confezionata? "L'arte e la scienza sono libere
e libero ne è l'insegnamento"; tutti i cittadini sono liberi di associarsi
per determinare la politica nazionale: così parla la Costituzione. Libere,
ciascuna nel suo ambito, ma ciò non significa che non si incontrino. Al
contrario. L'espansione dell'una implica la riduzione dell'altra. Contro ciò
che si pensa generalmente, lo spazio della scienza, della scienza
"pura", incontaminata dalla politica, si è ridotto grandemente a
vantaggio di quest'ultima. L'umanità è sempre più in condizione di creare
condizioni artificiali, cioè politiche nel senso ampio anzidetto, là dove un
tempo operava la "natura incontaminata". Perfino ciò che riguarda la
vita e la morte, la costituzione degli esseri viventi e le loro dotazioni
sessuali, le funzioni cerebrali, tutte cose fino a non molto tempo fa
appartenenti integralmente alla natura intatta, è entrato nella sfera delle
realtà artificiali. La bio-politica è questa espansione, da un lato, e questa
restrizione, dall'altro. Se e quando gli esseri umani riusciranno a creare la
vita dal nulla o sconfiggere la morte con le loro arti demiurgiche, si potrà
dire che l'artificio ha vinto su tutta la linea. L'artificio si nutre di
scienza ma, al momento stesso, le dice: ora io ti sottraggo il campo dove tu
dominavi incontrastata, perché mi hai dato tu stessa gli strumenti per sconfiggerti
e lì per fare le mie scelte, cioè "fare politica", per l'appunto
"bio-politica". Una vittoria, tuttavia, molto rischiosa perché tutto,
letteralmente tutto, dipenderà allora da "decisioni" e le decisioni
appartengono non alla scienza ma alla politica. Non esisterà più alcuna
dimensione spoliticizzata dell'esistenza e non potremmo dire: noi qui non
possiamo entrare; dunque, prendiamoci un po' di riposo. Non ci sarà
rassegnazione perché tutto si vorrà sperimentare "politicamente".
Poiché la politica è il luogo dei conflitti, è possibile che si precipiti in
una Babele, oppure che qualcuno si erga a decidere un ordine, arbitrario o
"algoritmico". È questo il nostro destino, dopo avere celebrato la
vittoria della scienza onnipotente sulle religioni, sui miti, sulle
superstizioni, insomma su tutto ciò che ci pare antiscientifico? Per la verità,
le società libere consapevoli della loro fragilità hanno cercato di cautelarsi
e sostituendo gli incantesimi hanno proclamato che vi sono "cose" che
non si possono toccare, su cui non si può decidere. Queste cose sono
innanzitutto la dignità e i diritti umani. Li abbiamo inscritti con parole
solenni in costituzioni, convenzioni e dichiarazioni. La speranza, o
l'illusione, è che essi così, siano diventati intoccabili, non più
"decidibili" perché decisi una volta per tutte. Ma come possiamo
stare tranquilli e non pensare che, invece, ciò che è stato deciso una volta
potrà essere "ri-deciso" un'altra volta? Come può una dichiarazione
vincolare chi l'ha fatta? L'auto-vincolo non è vincolo, ma possibilità sempre
aperta. Le costituzioni non sono garanzie assolute perché sono esse stesse la
massima espressione della politica che, come le ha fatte, così le può cambiare.
E, ora, il termine medio, la tecnologia. La scienza e la politica entrano nella
vita attraverso la tecnica e la sua scienza pratica, la tecnologia. Senza
tecnologia, la prima è superflua; la seconda è fatua. Hanno bisogno della
tecnologia. A sua volta, la tecnologia ha bisogno sia dell'una che dell'altra.
La scienza le dà alimento; la politica, direzione. A meno che la tecnologia
perda il suo proprium, cioè la sua natura strumentale, e s'insuperbisca fino a
diventare un regno a se stante, causa e fine di se stessa. Diventi cioè
autoreferenziale. Questo è il grande rischio del nostro tempo, la società in
mano a una tecnica che alimenta se stessa e mira al proprio incondizionato
potenziamento. Senza accorgersene, diventa una bomba che può cadere nelle mani
di chi ha interesse a usarla per fini che i tecnocrati ignorano. Anzi, vogliono
ignorarli pensando così d'essere puri. Errore fatale! (…). Viviamo nel tempo in
cui la scienza ha partorito il codice razziale e l'ha messo in atto con le
camere a gas. Chi può dirsi di vivere sicuro. Ciò che ha turbato Levi fino alla
fine della sua vita è la "tecnologicamente avanzata" ditta Topf di
Wiesbaden che, producendo inceneritori di rifiuti, fornì attrezzature ad
Auschwitz e poi ritornò come se niente fosse all'attività precedente ritenendo
superfluo cambiare la propria ragione sociale. Analogamente, per la Bayer
produttrice dell'aspirina e dello Zyklon b, inventato - ironia della storia -
da un ebreo tedesco per la disinfestazione di insetti parassiti, che fu poi
destinato alle camere a gas, sulla linea di una spaventosa coerenza. La
"grande follia" della tecnologia che Levi ha cercato di svelare è un
segreto universale che non cessa di minacciarci quando si crede di poter creare
tecniche avendo sempre la coscienza a posto. La morale evapora e tutti possono
sentirsi innocenti. Il catastrofismo del nostro tempo, misticheggiante e, a sua
volta, irresponsabile, fa suo il motto di Martin Heidegger: nessuno potrà
salvarci, solo un Dio. Noi qui contrapponiamo la voce misurata di Levi. In una
società libera non fingiamo di non avere alternative: "Non lasciarti
sedurre dall'interesse materiale o intellettuale, ma scegli entro il campo che
può rendere meno doloroso e meno pericoloso l'itinerario dei tuoi coetanei e
dei tuoi posteri. Non nasconderti dietro l'ipocrisia della scienza \[tecnica,
secondo le nostre definizioni\] neutrale: sei abbastanza dotto da saper
valutare se dall'uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una
chimera o magari nulla". Queste parole dovrebbero aprire un nuovo capitolo
alla nostra riflessione, su che cosa può tenere insieme scienza, tecnica e
politica nella libertà. Qualcuno direbbe, e io tra questi: la cultura. Cultura
e coltura hanno la medesima radice. La cultura bonifica la società perché non
cada in mano ad apprendisti stregoni, così come la coltura bonifica i terreni
per impedirne l'invasione delle erbacce. La cultura è vicina alla coltura dei
prati e dei campi. Gli intellettuali sono come i contadini. Sono fratelli,
ciascuno nel proprio ordine di cose. Le analogie possibili e illuminanti ci
porterebbero lontano.
"Le preoccupazioni dell'uomo e del suo destino devono sempre costituire l'interesse principale di tutti gli sforzi tecnici. Non dimenticatelo mai in mezzo a tutti i vostri diagrammi ed alle vostre equazioni". (Albert Einstein). "L'uomo ha scoperto la bomba atomica, però nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi".(Albert Einstein). "Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto".(Albert Einstein). "Il valore di un uomo,per la comunità in cui vive, dipende anzitutto dalla misura in cui i suoi sentimenti, i suoi pensieri e le sue azioni contribuiscono allo sviluppo dell'esistenza degli altri individui".(Albert Einstein). "Viviamo in un mondo in cui il funerale è più importante del morto, il matrimonio più dell'amore e il corpo più dell'intelletto... Viviamo la cultura del contenitore, che disprezza il contenuto".(Eduardo Galeano). "Il risveglio spirituale è la cosa più essenziale nella vita dell'uomo, è l'unico scopo dell'esistenza".(Khalil Gibran). Grazie di cuore, Aldo,per queste perle di cui ci fai dono sul tuo blog e che mi piace conservare con cura... Buona continuazione.
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