Tratto da «Natale, la rinascita
collettiva è diventata “comprare cose”» di Daniela Ranieri,
pubblicato su “il Fatto quotidiano” di ieri giovedì 3 di dicembre: Si
verifica la bizzarra circostanza per cui se si riaprono le attività commerciali
per far respirare gli esercenti dopo un periodo di clausura la gente si riversa
in massa per fruirne, e siccome i corpi occupano uno spazio e vige il principio
della loro impenetrabilità, si creeranno assembramenti promiscui, fonte primaria
di contagi, come già nelle processioni dei promessi sposi. Interessante tuttavia
è che la ritrovata libertà, per chi vive in regioni che sono passate dal rosso
all’arancione, abbia portato con sé come primo atto collettivo la corsa allo
shopping. Sembra proprio che la Covid ci abbia tolto più di tutto la libertà di
essere consumatori; che poter comprare oggetti abbia avuto un effetto rassicurante
e sedativo, se non il potere di silenziare le angosce; che l’energia
liberatoria della fine (provvisoria) del lockdown, che poi è l’energia liberata
dalla diminuzione del tasso Rt, si sia riversata negli spazi urbani non dello
svago culturale, ma del consumo. Non interessa il giudizio moralistico: è comprensibile
che i cittadini vogliano riappropriarsi quanto prima della normalità; il punto è
capire perché la normalità consista principalmente nella libertà di comprare;
perché, se il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito drasticamente e ci
sono 5 milioni di nuovi poveri (oltre agli 8 di epoca pre-Covid), il momento
della libera uscita sia stato riservato in modo così massivo dalla corsa agli
acquisti, tanto da indurre questure e prefetture a disporre l’invio di “pattuglie
inter forze” per limitare gli assembramenti. La pandemia non ha interrotto una
routine che è diventata rito: ormai da tempo il Natale non è una festa intima,
e il vero scambio dei doni avviene nei centri commerciali, dove ci danno
oggetti in cambio di denaro (un bel salto, dallo scambio di ramoscelli dal
bosco dedicato a Strenia, la Dea della salute, da cui “strenna”). Si sono
intrecciati tre fattori nella corsa allo shopping di questi giorni: la scarica
adrenalica prefestiva; il Black Friday, una specie di festa profana introdotta
negli Stati Uniti negli anni 60 per smaltire le merci invendute dopo il Giorno del
Ringraziamento; la sensazione di liberazione dopo la serrata. Sulla
celebrazione massima ed epifanica dello sconto effimero si è innestato lo stato
di privazione da pandemia: dacché i negozi di beni di prima necessità erano
aperti anche prima, le lunghe file davanti agli esercizi appena riaperti di
Torino e Milano confermano che niente è più necessario del superfluo. A Roma,
dove la chiusura riguardava solo i fine settimana, l’apertura di un nuovo
centro commerciale ha richiamato migliaia di avventori. Abbiamo bramato
prodotti visti in Tv o su Internet, ma comprare online è un’esperienza sterile,
per quanto sufficientemente compulsiva da inserirsi perfettamente nella nostra
economia esistenziale. Il “sex appeal dell’inorganico” ( Walter Benjamin) che
la merce esercita sui nostri sensi necessita dei corpi, della condivisione e
dello sperpero depensante, quindi di un’esperienza fisica che è sociale solo
fino a un certo punto. Fare shopping ha sostituito le attività di comunità; la
piazzola del centro commerciale ha surrogato la piazza; gli spettacoli
d’intrattenimento dei mall hanno preso il posto della messa domenicale; i libri
si presentano nelle librerie in franchising tra gli effluvi di hamburger di Old
Wild West e musichette di giostre al chiuso. I bambini corrono lungo i corridoi
dei grandi magazzini, non sui prati. Il consumismo funziona proprio in questo
perfetto incastro tra investimento emozionale del singolo, bombardato dalla “narrazione”
dei brand che inducono bisogni prima inesistenti, e interessi privati: la libertà
di comprare beni di consumo superflui è ribadita dagli acquirenti – spesso molto
meno che benestanti – in perfetta sintonia con le varie Confindustria e
Confcommercio e con la politica aperturista che le rappresenta (per il
presidente della Liguria Toti il Natale è “la finale di Champions
dell’economia”). La nostra libertà si estrinseca nella non-libertà prescritta dalle
leggi del capitale. Se non compriamo non siamo (lo spiega Bauman in Consumo dunque
sono), e invero consumiamo e siamo consumati anche se non compriamo, perché
siamo destinatari di pubblicità. Passando davanti ai negozi, siamo investiti da
luci contundenti e musica a tutto volume, come quella che invade i dehors dei locali
del centro. Lo shopping (un’attività che conta a sua volta su una
sterminata propaganda culturale fatta di narrativa, saggistica, cinema, etc.)
ha assunto vicariamente il ruolo che un tempo era delle agenzie di
socializzazione, benché sia totalmente priva dell’elemento della solidarietà e si
fondi invece sulla competizione e l’accaparramento. Nell’affollata solitudine
delle compere c’è una promessa di consolazione: molti dei nuovi prodotti
dell’economia compulsiva richiamano il ristoro e il conforto dell’abbondanza (“comfort
food”), che è in sé un ossimoro. Nell’epoca neoliberalista il legame tra
capitalismo e emozioni è strettissimo; anzi, è lo stesso capitalismo consumistico
a creare emozioni e desideri ex novo, suscitando nel nostro sistema limbico un
maggiore stimolo all’acquisto. Il lockdown ha esacerbato sentimenti e affetti,
mentre ha compresso le nostre emozioni intese come desiderio compulsivo e libidico.
Ma se i sentimenti e gli affetti non si possono comprare e il loro sorgere non
può essere risolto comprando cose, l’emozione è suscitabile ad arte e la sua pressione
può essere ridotta comprando. La fiammata dopaminica che segue l’acquisto, totalmente
solipsistica e consolatoria, è vissuta come una specie di rinascita collettiva.
"La nostra è una società di persone sole, di consumatori bulimici, di spettatori assuefatti, dagli orizzonti corti e frammentati".(Alexander Langer). "Il consumismo ha vinto laddove nessuna ideologia, credo o fede hanno potuto prevalere".(Simone Perotti). "Consumiamo ogni giorno senza pensare che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo".(Zygmunt Bauman). "Una società dei consumatori non può che essere una società dell'eccesso, del superfluo e dello scarto abbondante".(Zygmunt Bauman). "In una società di consumo ci sono inevitabilmente due tipi di schiavi:i prigionieri delle dipendenze da consumo e i prigionieri dell'invidia".(Ivan Illich). "Natale è la stagione nella quale dobbiamo accendere il fuoco dell'ospitalità e la cordiale fiamma della carità nel cuore".(Washington Irving). "Colui che ha una grande ricchezza in se stesso è come una stanza pronta per la festa di Natale, luminosa, calda e gaia in mezzo alla neve e al ghiaccio della notte di dicembre".(Arthur Schopenhauer). Carissimo Aldo, molto incisivo questo post, tanto attuale e stimolante...Mi piacerebbe che moltissime persone lo leggessero e che ne fossero toccate nel profondo!Grazie e buona continuazione.
RispondiEliminaGrazie carissima amica per le citazioni. Ho pensato di evidenziarle a pie' di pagina.
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