"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 4 dicembre 2020

Cronachebarbare. 76 «La fiammata dopaminica che segue l’acquisto, totalmente solipsistica e consolatoria, è vissuta come una specie di rinascita collettiva».

Tratto da «Natale, la rinascita collettiva è diventata “comprare cose”» di Daniela Ranieri, pubblicato su “il Fatto quotidiano” di ieri giovedì 3 di dicembre: Si verifica la bizzarra circostanza per cui se si riaprono le attività commerciali per far respirare gli esercenti dopo un periodo di clausura la gente si riversa in massa per fruirne, e siccome i corpi occupano uno spazio e vige il principio della loro impenetrabilità, si creeranno assembramenti promiscui, fonte primaria di contagi, come già nelle processioni dei promessi sposi. Interessante tuttavia è che la ritrovata libertà, per chi vive in regioni che sono passate dal rosso all’arancione, abbia portato con sé come primo atto collettivo la corsa allo shopping. Sembra proprio che la Covid ci abbia tolto più di tutto la libertà di essere consumatori; che poter comprare oggetti abbia avuto un effetto rassicurante e sedativo, se non il potere di silenziare le angosce; che l’energia liberatoria della fine (provvisoria) del lockdown, che poi è l’energia liberata dalla diminuzione del tasso Rt, si sia riversata negli spazi urbani non dello svago culturale, ma del consumo. Non interessa il giudizio moralistico: è comprensibile che i cittadini vogliano riappropriarsi quanto prima della normalità; il punto è capire perché la normalità consista principalmente nella libertà di comprare; perché, se il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito drasticamente e ci sono 5 milioni di nuovi poveri (oltre agli 8 di epoca pre-Covid), il momento della libera uscita sia stato riservato in modo così massivo dalla corsa agli acquisti, tanto da indurre questure e prefetture a disporre l’invio di “pattuglie inter forze” per limitare gli assembramenti. La pandemia non ha interrotto una routine che è diventata rito: ormai da tempo il Natale non è una festa intima, e il vero scambio dei doni avviene nei centri commerciali, dove ci danno oggetti in cambio di denaro (un bel salto, dallo scambio di ramoscelli dal bosco dedicato a Strenia, la Dea della salute, da cui “strenna”). Si sono intrecciati tre fattori nella corsa allo shopping di questi giorni: la scarica adrenalica prefestiva; il Black Friday, una specie di festa profana introdotta negli Stati Uniti negli anni 60 per smaltire le merci invendute dopo il Giorno del Ringraziamento; la sensazione di liberazione dopo la serrata. Sulla celebrazione massima ed epifanica dello sconto effimero si è innestato lo stato di privazione da pandemia: dacché i negozi di beni di prima necessità erano aperti anche prima, le lunghe file davanti agli esercizi appena riaperti di Torino e Milano confermano che niente è più necessario del superfluo. A Roma, dove la chiusura riguardava solo i fine settimana, l’apertura di un nuovo centro commerciale ha richiamato migliaia di avventori. Abbiamo bramato prodotti visti in Tv o su Internet, ma comprare online è un’esperienza sterile, per quanto sufficientemente compulsiva da inserirsi perfettamente nella nostra economia esistenziale. Il “sex appeal dell’inorganico” ( Walter Benjamin) che la merce esercita sui nostri sensi necessita dei corpi, della condivisione e dello sperpero depensante, quindi di un’esperienza fisica che è sociale solo fino a un certo punto. Fare shopping ha sostituito le attività di comunità; la piazzola del centro commerciale ha surrogato la piazza; gli spettacoli d’intrattenimento dei mall hanno preso il posto della messa domenicale; i libri si presentano nelle librerie in franchising tra gli effluvi di hamburger di Old Wild West e musichette di giostre al chiuso. I bambini corrono lungo i corridoi dei grandi magazzini, non sui prati. Il consumismo funziona proprio in questo perfetto incastro tra investimento emozionale del singolo, bombardato dalla “narrazione” dei brand che inducono bisogni prima inesistenti, e interessi privati: la libertà di comprare beni di consumo superflui è ribadita dagli acquirenti – spesso molto meno che benestanti – in perfetta sintonia con le varie Confindustria e Confcommercio e con la politica aperturista che le rappresenta (per il presidente della Liguria Toti il Natale è “la finale di Champions dell’economia”). La nostra libertà si estrinseca nella non-libertà prescritta dalle leggi del capitale. Se non compriamo non siamo (lo spiega Bauman in Consumo dunque sono), e invero consumiamo e siamo consumati anche se non compriamo, perché siamo destinatari di pubblicità. Passando davanti ai negozi, siamo investiti da luci contundenti e musica a tutto volume, come quella che invade i dehors dei locali del centro. Lo shopping (un’attività che conta a sua volta su una sterminata propaganda culturale fatta di narrativa, saggistica, cinema, etc.) ha assunto vicariamente il ruolo che un tempo era delle agenzie di socializzazione, benché sia totalmente priva dell’elemento della solidarietà e si fondi invece sulla competizione e l’accaparramento. Nell’affollata solitudine delle compere c’è una promessa di consolazione: molti dei nuovi prodotti dell’economia compulsiva richiamano il ristoro e il conforto dell’abbondanza (“comfort food”), che è in sé un ossimoro. Nell’epoca neoliberalista il legame tra capitalismo e emozioni è strettissimo; anzi, è lo stesso capitalismo consumistico a creare emozioni e desideri ex novo, suscitando nel nostro sistema limbico un maggiore stimolo all’acquisto. Il lockdown ha esacerbato sentimenti e affetti, mentre ha compresso le nostre emozioni intese come desiderio compulsivo e libidico. Ma se i sentimenti e gli affetti non si possono comprare e il loro sorgere non può essere risolto comprando cose, l’emozione è suscitabile ad arte e la sua pressione può essere ridotta comprando. La fiammata dopaminica che segue l’acquisto, totalmente solipsistica e consolatoria, è vissuta come una specie di rinascita collettiva.

2 commenti:

  1. "La nostra è una società di persone sole, di consumatori bulimici, di spettatori assuefatti, dagli orizzonti corti e frammentati".(Alexander Langer). "Il consumismo ha vinto laddove nessuna ideologia, credo o fede hanno potuto prevalere".(Simone Perotti). "Consumiamo ogni giorno senza pensare che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo".(Zygmunt Bauman). "Una società dei consumatori non può che essere una società dell'eccesso, del superfluo e dello scarto abbondante".(Zygmunt Bauman). "In una società di consumo ci sono inevitabilmente due tipi di schiavi:i prigionieri delle dipendenze da consumo e i prigionieri dell'invidia".(Ivan Illich). "Natale è la stagione nella quale dobbiamo accendere il fuoco dell'ospitalità e la cordiale fiamma della carità nel cuore".(Washington Irving). "Colui che ha una grande ricchezza in se stesso è come una stanza pronta per la festa di Natale, luminosa, calda e gaia in mezzo alla neve e al ghiaccio della notte di dicembre".(Arthur Schopenhauer). Carissimo Aldo, molto incisivo questo post, tanto attuale e stimolante...Mi piacerebbe che moltissime persone lo leggessero e che ne fossero toccate nel profondo!Grazie e buona continuazione.

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  2. Grazie carissima amica per le citazioni. Ho pensato di evidenziarle a pie' di pagina.

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