"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
lunedì 30 novembre 2020
Memoriae. 23 «Questa è anche un´epoca di restrizione delle cerchie della socievolezza».
domenica 29 novembre 2020
Cosedaleggere. 85 «La storia non è una inevitabile ascesa verso il mercato e il denaro».
sabato 28 novembre 2020
Leggereperché. 50 «Diventare grandi sta proprio nella consapevolezza che non lo saremo mai».
venerdì 27 novembre 2020
Lalinguabatte. 99 Mark Twain: «Nel tempo in cui una bugia fa il giro del mondo, la verità non si è ancora allacciata le scarpe».
Perché questa volta sarebbe diverso? «La tecnologia ha reso la velocità di propagazione infinitamente maggiore. È un acceleratore pazzesco di quel che succedeva già prima. Attraverso la rete un politico può impiantare un’idea in dieci milioni di menti ancor prima di essere sceso dalla tribuna. E le dinamiche virali dei social network offrono pochissimi incentivi alle persone per assumere un tono riflessivo e moderato. Piuttosto il contrario. Detto questo sono anche sorpreso quando i miei amici di sinistra trovano assolutamente ovvio che Facebook debba censurare affermazioni ritenute offensive. Per me non è affatto ovvio. Perché di quel passo finiremmo come la Cina, dove lo Stato censura le voci fuori dal coro con la scusa di proteggere il popolo».
E pensare che all’inizio della rivoluzione digitale si diceva che internet avrebbe allargato il dibattito, dando voce a tutti: cosa non ha funzionato? «Era un ottimismo acritico come acritico è il pessimismo attuale verso tutto quello che riguarda la rete. (…). …tento un’analogia con l’invenzione della stampa. C’è voluto tempo per capire che non bastava che qualcosa fosse stampato perché fosse vero. Forse ne serve altrettanto per conquistare la stessa consapevolezza con la rete. Ho fiducia nella capacità delle persone di discriminare tra vero e falso, ma è più difficile farlo avendo davanti solo 140 caratteri. La tecnologia è come un velo supplementare».
Vivere in mezzo alle fake news non dovrebbe essere il paradiso dei giornali, come fornitori di notizie vere? «Certo. Il problema è di sostentamento, non di necessità della professione. C’è chi, come il Guardian, fa un punto di principio nel non fare pagare il sito sostenendo che sia una scelta democratica. Ma noi, mentre accumulavamo sei milioni di abbonati paganti, a marzo abbiamo avuto anche 240 milioni di visitatori al sito. Si può fare l’uno e l’altro».
L’altra deriva populistica che denuncia è la morte dell’expertise: perché non ci fidiamo più dei competenti? «Il Covid ha fornito un ottimo esempio del perché anche gli esperti hanno responsabilità nel loro ridotto status. Prima ci hanno detto che le mascherine non servivano, poi che erano indispensabili. Avrebbero dovuto dire, trattandoci da adulti, che servivano ma era meglio lasciarle ai medici e a chi ne aveva più bisogno. Hanno contaminato il loro discorso di considerazioni politiche e si sono fatti male da soli. Già la crisi del 2008 aveva screditato un gruppo ristretto di esperti, gli economisti. Questa volta è stato il turno dei virologi».
Eppure, tornando alla retorica, Trump ha vinto pur essendo uno degli oratori più rozzi ad aver varcato la soglia della Casa Bianca… «Non sono d’accordo. Trump ha una sua antiretorica, fatta di paratassi (Salvini è suo fratello in questo), che è a sua volta retorica. Nato ricchissimo, ha trovato un modo di convincere masse di dimenticati che era in grado di capirli e aiutarli. Non è impresa di poco conto. Senz’altro gli è servita l’esperienza televisiva del reality show The Apprentice. Lui interpreta quella versione di sé stesso e gli viene benissimo».
Ma la stessa volgarità funzionerà anche in tempi drammatici come quelli che stiamo vivendo? «Non vedo perché no. Una lingua rabbiosa si addice a momenti arrabbiati. Come fanno il rap e l’hip hop, molto più rivelatori dell’anima dell’America di quanto molti intellettuali siano disposti ad ammettere. E come dimostra il successo di Hamilton, il musical che è riuscito proprio col rap a restituire la sofisticazione e la ricchezza espressiva di un libro di ottocento pagine».
giovedì 26 novembre 2020
Cosedaleggere. 84 «Confondiamo la “libertà” con l’“indeterminatezza” della natura umana».
mercoledì 25 novembre 2020
Ifattinprima. 98 Covid, Borse, ricchezze, disuguaglianze.
martedì 24 novembre 2020
Cosedaleggere. 83 Bergoglio, l’Uomo: «Questi sono stati i miei principali "Covid" personali».
lunedì 23 novembre 2020
Cosedaleggere. 82 Marchionne di Coppo Stefani, cronista fiorentino (1348): “E tale che non avea nulla si trovò ricco”.
domenica 22 novembre 2020
Leggereperché. 49 Max Weber: «Mentre i nostri vecchi morivano sazi della vita, noi moriamo stanchi della vita»».
Tratto da “Vivere meglio è il solo modo per accettare la fine” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 22 di novembre dell’anno 2014: Scrive Jean Baudrillard: «Parlare di morte fa ridere di un riso forzato e osceno. Parlare di sesso non provoca più nemmeno questa reazione. Solo la morte resta pornografica».
sabato 21 novembre 2020
Virusememorie. 48 «La pandemia è più forte dei numeri, che la inseguono vanamente senza prenderla».
“Echi dalla pandemia” 2. Tratto da “Questa didattica distanzia l’uguaglianza” di Roberto Saviano, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 15 di novembre 2020: Uno dei nodi più discussi del dibattito attorno alla pandemia è se chiudere o meno le scuole. Durante la prima ondata pandemica le scuole italiane sono rimaste chiuse per 15 settimane. Certo, si è tentato di compensare con la didattica a distanza, lo si sta facendo anche ora, con insegnanti eroici che riescono a rimediare alle arretratezze del nostro sistema scolastico, ma come ha sottolineato anche Save The Children, la didattica a distanza ha un grande limite: accentua il divario tra famiglie benestanti e famiglie più povere, perché i bambini che vengono sostenuti in famiglia recupereranno le competenze perse, quelli che invece hanno alle spalle situazioni più fragili non solo resteranno indietro, ma rischiano di abbandonare il loro percorso scolastico, un fenomeno che in Italia riguarda già più del 13% dei ragazzi, soprattutto al Sud. Secondo l’Unicef, a causa del Covid oltre 24 milioni di studenti nel mondo rischiano di abbandonare la scuola. Siamo portati a pensare che la chiusura delle scuole sia una perdita solo per il singolo studente in termini di competenze, di relazioni, di educazione. Ma ci siamo mai chiesti quanto perdiamo tutti noi, come società, se le scuole sono chiuse? Ha risposto l’Ocse, in uno studio pubblicato a settembre, che ha quantificato gli effetti della chiusura delle scuole di questa primavera in una contrazione del Pil globale annuo dell’1,5% fino alla fine del secolo. In termini monetari, circa 14mila miliardi di dollari. Perché acquisire minori competenze oggi significa non solo minor guadagno per i singoli domani, ma anche una minore produttività per la comunità. Non stanno perdendo qualcosa solo gli studenti, stiamo perdendo tutti. E questo è solo dal punto di vista economico, senza considerare il costo psicologico e umano. Con ogni probabilità sono proprio queste valutazioni che hanno portato, nella stragrande maggioranza dei casi, a tenere le scuole aperte e funzionanti. L’importanza capitale della scuola a ogni latitudine e in ogni contesto, soprattutto nelle aree più povere e disagiate, mi ha fatto pensare alla storia di Francesca Cabrini. Francesca era una suora cresciuta tra le famiglie povere del lodigiano a metà dell’800. Era una maestra e iniziò a fondare scuole per ospitare le bambine senza genitori, che essendo rimaste da sole erano destinate alla strada. Lei raccoglie queste bambine e inserisce munizioni nei loro zaini: non sono proiettili, ma conoscenza, numeri, segni, parole… Quelle erano le armi che le avrebbero aiutate a difendersi. Perché Francesca sapeva che l’unico modo di ridisegnare il mondo è l’alfabeto. Nel 1889 viene mandata in missione negli Stati Uniti per portare assistenza agli immigrati italiani. Quando Francesca Cabrini arriva a New Orleans, trova a Little Palermo una comunità italiana per nulla integrata. Del resto, nessuno a Little Palermo parlava inglese, non sapevano farsi capire se non gesticolando, e questo faceva risultare stupido anche il più acuto dei pensieri. E infatti i giornali americani pubblicavano vignette in cui gli italiani erano ritratti con sembianze animalesche, a volte come oranghi altre come topi di fogna. Francesca capisce che la prima cosa da fare per cambiare questa situazione è costruire scuole per insegnare l’inglese agli italiani, così potranno difendersi nei tribunali, contrattare il prezzo di quello che comprano o vendono, far valere i loro diritti. Non solo, Francesca capisce che gli italiani avevano molta difficoltà a imparare l’inglese perché quella per loro rappresentava la lingua dell’umiliazione, del disprezzo subito, delle frustate nei campi. Chi è che familiarizza con una lingua che ti dà soltanto calci? Perciò, prima di ogni lezione, Francesca si mette a lavare e pettinare i bambini, in modo che capiscano che la nuova lingua che stanno per imparare arriva da persone che vogliono prendersi cura di loro. Ma a Little Palermo mancavano gli ospedali, non c’erano le strade, non c’erano fognature, quindi la gente chiedeva a Francesca Cabrini: «Ma perché non costruisci strade e fognature prima di costruire scuole?». E lei rispondeva: «Perché una strada, quando finiscono i soldi, nessuno la ripara, ma se tu formi una testa, quella poi ti può riparare molte strade».
venerdì 20 novembre 2020
Storiedallitalia. 89 «L'emergenza straccia un velo in cui spesso, per non vedere ciò che preferiamo ignorare, ci avvolgiamo».
giovedì 19 novembre 2020
Leggereperché. 48 «L'individualismo oggi trova espressione soprattutto nella borghesia laica».
mercoledì 18 novembre 2020
Memoriae. 22 «I miei finirono a Auschwitz-Birkenau e sono andati in fumo nell’atmosfera».
martedì 17 novembre 2020
Leggereperché. 47 «Junichiro Kawasaki: "Mi sento un sasso lanciato in un lago. Intorno a me, il passato e futuro appaiono cerchi sempre più larghi, ma affondo"».
Tratto da “Visti da lontano” di Giacomo Papi, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 17 di novembre dell’anno 2012:
lunedì 16 novembre 2020
domenica 15 novembre 2020
Cosedaleggere. 81 «Siamo responsabili non solo di quello che avverrà, ma anche di quello che è già avvenuto».
sabato 14 novembre 2020
Cosedaleggere. 80 «Il peccato originale dell'uomo non è la conoscenza, è la dimenticanza».
venerdì 13 novembre 2020
Ifattinprima. 96 «Il populismo, promettendo l’impossibile, pratica una cultura irresponsabile che annuncia soltanto soddisfazioni».