"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 7 luglio 2025

Lastoriasiamonoi. 75 Paolo Nori: «La prima cosa che mi ha detto la mamma di mia figlia, che chiameremo Togliatti, è stata “Non sbriciolare”».


Finalmente una sera - ma quanto tempo c'era voluto - un lumicino tremolante apparve entro la lente del cannocchiale, fioco lume che sembrava palpitare moribondo e invece doveva essere, calcolata la distanza, una rispettabile illuminazione Era la notte del 7 luglio. Drogo per anni si ricordò la gioia meravigliosa che gli inondò l'animo e la voglia di correre a gridare, perché tutti quanti lo sapessero, e la orgogliosa fatica di non dir niente a nessuno, per la superstiziosa paura che la luce morisse. (Tratto da “Il deserto dei Tartari” – 1940 – di Dino Buzzati).

LeggerePaoloNori”. «“Strega?” Un talent la poesia è nei bar», testo di Paolo Nori pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, domenica 6 di luglio 2025: L’altro giorno, ero a Roma, pranzavo in un ristorante, un signore seduto a un altro tavolo, aveva finito, si è alzato, è venuto da me, mi ha allungato la mano, mi ha detto "Grazie per i suoi libri nei quali ripete sempre le stesse cose". Che io, gli ho stretto la mano gli ho detto "Ah, ma pensa. Prego". Ero un po' spiazzato perché è vero, che nei miei libri ripeto sempre le stesse cose, e lo dico anch'io, ma se lo dico io è un conto, sentirlo dire da un lettore non sai se è un complimento o un insulto, forse è un complinsulto, neologismo che credo sia stato creato da un partecipante a X-Factor, qualche anno fa. X-Factorè un talent che mi piace molto, a me piacciono molto, i talent. Quel mattino ero stato a Radio Rock, e un ascoltatore mi ha chiesto "Ma lei, quando ha cominciato a scrivere, nel 1996, si aspettava di arrivare a questo punto?". Che io, anche lì,ero un po' spiazzato, gli ho risposto "Ma a che punto? Cioè: che punto è, questo punto?". Quel giorno lì era il giorno finale del premio Strega, e io ero in cinquina, e finivo un giro di un paio di mesi che ho raccontato, un po’; in una newsletter, io ho una newsletter su una piattaforma che si chiama Substack, la newsletter si chiama State bene e nei pezzi che ci metto mischio cose nuove e cose che sono finite in vecchi romanzi (scrivo un po' sempre le stesse cose). E il 9 giugno, su State bene, ho pubblicato un post che si intitolava Il premio Strega e Togliatti e diceva così: "Questi giorni, allo Strega, ho passato il tempo a sentirmi dire come son bravo, come son belli i miei libri, come sono intelligente e sensibile, poi, ieri notte, sono tornato a Bologna, la prima cosa che mi ha detto la mamma di mia figlia, che chiameremo Togliatti, è stata 'Non sbriciolare'. E mi è tornato in mente quando, qualche anno fa, stavo per andare alla fiera del libro di Torino, prima di partire avevo pensato che sarei andato a dormire in un albergo, al Lingotto, quella fabbrica che è diventato una specie di megacentro congressi, un albergo geometrico, pulito, con un ascensore panoramico, un albergo da uomini d'affari, a parlare di letteratura e avevo pensato che io, più andavo avanti più avevo l'impressione che la letteratura, qualsiasi cosa fosse, non aveva niente a che fare con gli uomini d'affari, e con i centri congressi, e col valore aggiunto, io più andavo avanti più mi sembrava che la letteratura, più che nei centri congressi, più che nelle librerie, più che nelle aule universitarie fosse più facile trovarla nella spazzatura, nei cassonetti, negli ospedali, sui filobus, nelle sale d'attesa degli ambulatori veterinari, nei bagni dei cinema, nei sottopassaggi abbandonati, sotto i cavalcavia, nei prati dopo che avevan smontato i tendoni dei circhi, nelle tabaccherie, nelle collezioni di francobolli, negli espositori delle cartoline, nei pavimenti dei bar quando eran cosparsi di segatura, nelle file alle casse dei supermercati, sui marciapiedi delle stazioni, in tutti gli uffici di oggetti smarriti, nella paura di chi faceva una cosa per la prima volta, un farmacista, o un medico di guardia, o uno scrutatore, o una bambina delle medie, nel passo di quelli che davano le dimissioni, nel respiro che si prendeva prima di aprire l'esito di una lastra ai polmoni, nel toccare i muri quando era saltata la luce, dappertutto, tranne che in un albergo per uomini d'affari, avevo l'impressione, ma probabilmente mi sbagliavo, perché probabilmente si trovava anche in un albergo per uomini d'affari, forse, nel sospiro delle cameriere nel momento in cui si chinavano per guardar sotto i letti, o nel momento che il portiere poteva telefonare a una sua amica senza quei rompicoglioni di clienti, o nel rumore delle stoviglie a apparecchiare per la colazione, o nei monologhi dei tassisti che arrivavano dalla stazione o anche che non arrivavano dalla stazione ma da qualche altra parte, o nei monologhi dei tassisti da qualsiasi parte arrivassero, ho scritto qualche anno fa e avrei potuto aggiungere nei 'Non sbriciolare', forse. State bene". Cioè, in letteratura, secondo me, non ci sono punti, anzi, ci sono, ma non sono quelli più in alto, le cose non le vedi bene dai palchi delle autorità, o del premio Strega; io sono contento di essere entrato nella cinquina del premio Strega, a me piacciono i talent e il premio Strega, in un certo senso, è un talent, ma la letteratura, e anche i discorsi, sulla letteratura, non vengono bene dai palchi, vengono bene dai bar, per esempio, e Raffaello Baldini, il poeta sul quale ho scritto il romanzo che ha partecipato allo Strega, era figlio di uno che aveva un bar, il Caffè Trieste, e tre frequentatori di quel bar, Raffaello Baldini, Nino Pedretti e Tonino Guerra, son poi diventati tre tra i più importanti poeti del Novecento, chissà cosa gli davano da bere, al Caffè Trieste, per provocare quei discorsi così potenti, e mi viene in mente Giorgio Manganelli quando scrive "Bisogna arrivare a parlare di cultura come si parla di figa", e loro, al Caffè Trieste, secondo me, io poi non c'ero, ma secondo me ne parlavano così, che poi, secondo me, è il modo in cui ne parlano i protagonisti di Baldini, per esempio un signore che, in un monologo teatrale che si chiama Zitti tutti, si è stufato, di guardare il premio Strega in televisione, e il pezzo fa così: "e poi, spengo, mi ha stufato, la televisione, non trovo mai, sono sempre quelle cose, facciamo un bell'applauso, e tutti che battono le mani, da fare che? e allora esco, prendo su, in macchina, e faccio un giro, no lontano, vado così, purchessia, poi mi fermo e mi mando una cartolina, non mi scrive mai nessuno a me, che invece a me piace la mattina trovare un po' di posta, e allora mi scrivo, io, da Verrucchio, da Pietracuta, da Montebello, da dove sono, prendo una cartolina, saluti, e sotto uno scarabocchio, però cambio tutte le volte, perché dopo, se no, sempre le stesse parole, dev'essere sempre una cosa nuova, tanti saluti, saluti e baci, salutissimi, saluti cari, un pensiero, un ricordo, arrivederci presto, ma ce n'è tante, di frasi, per cambiare, che i miei dicono: ma chi è questo qui? niente, sono amici, e così mi arrivano queste cartoline, che le tengo anche a conto, le più belle, o se no delle volte faccio qualche telefonata, chiamo i numeri che ci sono nelle prime pagine dell'elenco, le ultime notizie, il tempo, le strade, le condizioni delle strade, qui ci sono dei lavori, bisogna deviare, lassù c'è la neve, ci vogliono le catene, l'autostrada del Sole, la via Emilia, la via Flaminia, tenere la distanza di sicurezza, che in un certo senso ti pare sempre come se dovessi partire, perché le strade che ci sono, ma ce n'è, puoi andare dappertutto, a Montescudo, a Bologna, a Badia Tedalda, a San Benedetto del Tronto, a Zurigo, a Madrid, dove vuoi andare c'è la strada, basta partire, solo che io non parto mai...”.

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