La notizia di innocenti concittadini iraniani uccisi dal fuoco diretto dei Guardiani della rivoluzione, dei Basij e delle forze di sicurezza di stanza nelle nostre strade – in questi giorni ironicamente etichettati come di “cessate il fuoco” – dimostra che un altro incendio è stato appiccato. Un incendio che oggi alimenta la furia di un popolo stremato dalla guerra, dalla povertà, dall’oppressione, dalla repressione e dalla rovina. Quanto è amaro e mortale ciò che stiamo sopportando in questi giorni. Tre giorni fa abbiamo seppellito Mehrangiz, ucciso dai razzi israeliani che hanno colpito la prigione di Evin. E ieri abbiamo dato sepoltura ai corpi di Alireza e Mehdi, uccisi dal fuoco diretto di agenti della Repubblica Islamica, in un altro angolo del nostro suolo patrio. Uccidere è uccidere. La morte è morte. Le persone sono persone. Chi può dire a un popolo vittima di oppressione e repressione che un proiettile ha più valore o giustificazione di un altro, nello spargere il sangue di persone innocenti e indifese? Se abbiamo gridato per la pace che il fuoco della guerra deve cessare, oggi gridiamo con la stessa forza e determinazione: il fuoco implacabile della guerra della Repubblica Islamica contro il popolo iraniano deve cessare; il fuoco delle esecuzioni dei nostri giovani deve cessare; il fuoco dei fucili dei Guardiani della rivoluzione e dei Basij che dilaniano i nostri giovani corpi deve cessare. Il fuoco dell’imprigionamento degli indifesi deve cessare. Il fuoco dell’ingiustizia, della povertà, della discriminazione e della repressione che consuma le vite del popolo iraniano deve cessare. (Corrispondenza da Teheran del 4 di luglio 2025 di Narges Mohammadi – premio “Nobel per la Pace” dell’anno 2023 – riportata sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, sabato 5 di luglio 2025).
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
sabato 5 luglio 2025
CosedalMondo. 51 Narges Mohammadi: «Chi può dire a un popolo vittima di oppressione e repressione che un proiettile ha più valore o giustificazione di un altro, nello spargere il sangue di persone innocenti e indifese?».
“La sindrome
Iran a Fakenewslandia”, testo - di critiche e denunce e di enormi
perplessità per il lettore comune - del professor Franco Cardini pubblicato su
“il Fatto Quotidiano” di oggi, sabato 5 di luglio 2025: Quando il gioco si fa serio, le
persone serie debbono cominciar a giocare. Ma questo prezioso aforisma è ignoto
nel beato mondo di Fakenewslandia, dove si crede solo alle sòle e alle bufale.
Per esempio, che la Russia vorrebbe aggredire l’Europa e che a lasciarla fare
arriverebbe fino a Lisbona e ad Amsterdam: per quale motivo, poi, e con quali
mezzi, resta ignoto perfino ad Angelo Panebianco. Oppure, che nella
costituzione della Repubblica Islamica Iraniana è scritto bello chiaro che si
vuole la distruzione totale d’Israele: il che si ripete di continuo, ma
corrisponde a una colossale menzogna per smascherar la quale basta leggerne il
testo online
(https://rome.mfa.gov.ir/it/generalcategoryservices/10425/costituzione). È vero
che è stato presentato da alcune forze presenti in Parlamento un disegno di
legge contro lo Stato ebraico, ma esso non è ancora definitivo e dovrebbe
comunque entrare in vigore entro il 2041. All’articolo 13, la Costituzione
sancisce il diritto alla piena libertà di culto per zoroastriani, ebrei e
cristiani, cioè per tutte le religioni che secondo la sharia adorando Iddio
eterno, onnipotente e onnisciente si trovano sulla via della Rivelazione:
quelle cioè proprie delle ahl al-Kitab, le “Genti del Libro”. Vero è che il 9
maggio 1990 venne promulgato un Atto in otto articoli – da allora soggetto e
revisioni ed emendamenti – nel quale si definisce il regime di Gerusalemme come
“oppressore e occupatore” della nazione palestinese. I cittadini iraniani ebrei
godono d’ogni libertà con l’unico obbligo di rifiutare esplicitamente
l’ideologia sionista. Vero è che in forza del nuovo dispositivo giuridico
varato dopo gli attacchi israeliani è stata applicata la pena di morte contro
alcuni collaborazionisti, e non possiamo certo qui pronunziarci pro o contro la
correttezza delle accuse a loro carico: ma, se la pena capitale basta a far
considerare il regime iraniano una “dittatura” – come qualche Anima Bella dalle
nostre parti pretende – allora è in buona compagnia, dagli Usa alla Cina
passando per i tagliatori di teste che abbondano negli Emirati arabi del Golfo,
fieri alleati degli americani e ora de facto sostenitori di Netanyahu sia pur
con qualche distinguo. Ma torniamo all’assetto civile interno dell’Iran, che
dal novembre del 1979 è oggetto di un embargo totale voluto dagli Usa che nel
settembre 1980 appoggiarono l’iracheno Saddam. Il pur avventuristico Trump,
durante la “guerra guerreggiata” tra Israele e Iran che stava senza dubbio
registrando la superiorità tecnologico-militare del primo sul secondo, si è sia
pur a malapena trattenuto da colpi di mano suscettibili di obbligare i soldati
stars and stripes a calcare il territorio iraniano. La Repubblica Islamica è
vasta più di un milione e mezzo di chilometri quadrati e abitata da oltre 90
milioni di abitanti di età media fra i 30 e i 40 anni a schiacciante
maggioranza musulmano-sciita nonostante la varietà etnica (i persiani sono meno
del 35%:) ed è uno dei paesi di cultura media più alta del mondo, con il 45% di
laureati di cui gran parte in scienze “dure” come medicina, ingegneria, scienze
naturali: laureati veri, non di università online (quasi 1 adulto su 2 ha un
titolo universitario; altissimo il numero di donne laureate in facoltà
scientifiche, il 76% circa). Una “dittatura”, quella iraniana? La Rivoluzione
islamica del 1979 è stata un movimento identitario e popolare, culminato con un
referendum in cui oltre il 98% dei votanti scelse la Repubblica islamica. Ancor
oggi, la maggior parte della popolazione ne sostiene l’ordinamento: gli oppositori
tanto spesso oggetto delle rare sequenze tv sono in genere concentrati nei
quartieri medio-alto-borghesi di Teheran e Isfahan e protestano per lo più
contro il chador, indumento portato in effetti con disinvoltura e che non
impedisce alle iraniane di laurearsi e raggiungere alte cariche in politica,
magistratura, accademie, produzione, esercito. Milioni d’iraniani partecipano a
manifestazioni di sostegno al governo, come quelle per l’anniversario della
Rivoluzione o in risposta ad aggressioni esterne, come quelle avvenute la notte
dell’aggressione israeliana, che chiedevano una forte risposta da parte
dell’Iran, contrastando la narrazione dei media occidentali che spesso le
censurano. In momenti di aggressione, come gli attacchi israeliani, la popolazione
tende a compattarsi e a mostrare un forte senso di patriottismo e unità. Del
resto partiti e media d’opposizione esistono, i giornali sono molti e di varia
tendenza per quanto oggi la stampa cartacea sia in declino come da noi,
sostituita dia mezzi informatici. La minoranza non è tale in quanto
perseguitata, bensì perché manca d’unità d’intenti e di veri e propri leader
credibili: fra i temi d’opposizione più comuni, a parte lo sparuto gruppo di
nostalgici del regime dello shah definitivamente screditato, i più seguiti
insistono sull’adozione di modelli ispirati alle liberal-democrazie occidentali
e godono di un certo credito. Molte delle operazioni di sabotaggio e/o
destabilizzazione son state portate avanti da agenti interni addestrati o
sostenuti da attori esterni come Israele e Usa scopo dei quali è promuovere un
cambio di regime: ma, a parte gruppi specifici come i mujaheddin del popolo”,
rare sono le formazioni oggetto di divieto assoluto sul modello della
ricostituzione del partito fascista nella Costituzione italiana. Per ciò che
riguarda dunque la libertà di pensiero e potere politico, la Repubblica
Islamica presenta un ordinamento in cui sovranità e partecipazione popolare
alla vita politica è fondamentale, basato sui princìpi di fondo islamici ed elezioni
parlamentari. Capo dello Stato è il Rahbar, Guida Suprema designata a vita
dagli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti (il “senato” di giuristi-teologi
eletti a suffragio universale ogni 8 anni). Il Rahbar presiede il Consiglio dei
12 Guardiani della Rivoluzione, per metà designati da lui e per metà
dall’Assemblea Islamica, il “parlamento” con poteri legislativi costituito da
290 membri che restano in carica 4 anni e che, eletti secondo un elenco
proposto dai partiti politici e approvato dal Consiglio dei Guardiani, designa
a sua volta, a maggioranza, il presidente della Repubblica e capo del governo.
Il sistema è definibile come “oligarchico-democratico”, misto di cariche
“nominate dall’alto” e cariche elettive. Poche le donne, 14 su 290 seggi parlamentari:
ma la situazione si sta evolvendo, anche dato l’altissimo numero di laureate. Il dibattito politico è molto vivo e ordinariamente libero. Che un sistema del
genere sia definibile come “dittatura”, nonostante la presenza d’una milizia
politico-religiosa e i metodi duri di polizia, è semplicemente ridicolo. Sia
prima dell’accordo sul nucleare del 2015 (poi stracciato da Trump), sia prima
dei negoziati di quest’anno, la Guida Suprema, l’imam Khamenei, aveva espresso
perplessità sulla loro utilità, asserendo che gli Usa non sono affidabili:
eppure sia il governo di Ruhani nel 2015, sia l’attuale governo di Pezeshkian,
hanno optato per i negoziati. Si noti che il parere della Guida Suprema s’è
dimostrato corretto: tuttavia egli non ha imposto il suo volere al governo, al
contrario di quel che Trump fa abitualmente. E ciò vale anche per altre
tematiche che vanno dalla questione del velo alla collaborazione con Russia e
Cina e così via. (…).
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