"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 14 maggio 2016

Oltrelenews. 88 “Non è l’anatomia a renderci genitori”.



Da “Non è l’anatomia a rendere capaci di fare i genitori” di Umberto Galimberti, sul settimanale “D” del 30 di aprile dell’anno 2016: Ora che le decisioni sono state prese e il clima su questo non è più infuocato, approfitto per tornare sul tema delle adozioni, discutendo in termini “quasi scientifici”, dal momento che la psicoanalisi (…) non è una scienza, e le neuroscienze sanno ancora troppo poco dell’anima e anche, (…), del corpo. La separazione dell’anima dal corpo è stata inaugurata da Platone per giungere a conoscenze universali e valide per tutti, a cui non era possibile pervenire se ci si fosse regolati unicamente sulle informazioni provenienti dai sensi corporei, essendo queste informazioni diverse da individuo a individuo, e nel corso della vita dello stesso individuo. Poi il Cristianesimo, con Agostino, accolse il dualismo di anima e corpo che Platone aveva inaugurato per risolvere un problema di conoscenza, e lo rigiocò in un altro scenario: quello della salvezza. Il passo successivo ancora fu compiuto da Cartesio che, inaugurando la scienza moderna, ridusse il corpo a organismo e poi cercò di porlo in relazione all’anima ricorrendo alla ghiandola pineale. Quando sento dire che la psicologia è ormai persuasa che esiste una relazione tra anima e corpo, dico che questa relazione è un puro gioco di parole, finché qualcuno non sarà in grado di dimostrarmi perché, se uno mi insulta (evento culturale) mi produce una vasodilatazione (evento fisiologico) . Per quanto concerne le neuroscienze, esse sono ancor meno attrezzate della psicologia per trovare l’unità di anima e corpo, perché il corpo che indagano è ancora il corpo di Cartesio, ossia l’organismo, non il corpo del mondo della vita, del tutto estraneo alle neuroscienze, e, (…), in parte anche alla psicologia, eccezion fatta per la psicologia fenomenologica che da un secolo a questa parte, con Husserl, Heidegger, Iaspers, Sartre, Merleau-Ponty, Binswanger, Minkowskì, e da noi Callieri e Borgna, sta chiedendo alla psicologia di cambiare paradigma. (…). Ma se dall’organismo ci portiamo all’altezza del corpo, la felicità di un bimbo dipende dall’affetto che riceve, dall’attenzione che chi lo ha adottato gli dedica, dal mondo che i genitori adottivi gli creano intorno. Perché l’organismo, come tutte le cose, “è” nel mondo, mentre il nostro corpo “dischiude” un mondo, accoglie gli stimoli che da quel mondo provengono e in quel mondo si sente chiamato e impegnato. Ed è di un mondo che i bambini hanno bisogno, non di due organismi diversamente sessuati. Per quanto poi riguarda la psicoanalisi, Lacan, (…), riformula in altro modo quello che Freud aveva già enunciato illustrando il complesso di Edipo, il cui superamento decide la buona organizzazione psichica del soggetto. Ma Freud aveva anche precisato che tale concetto era applicabile solo in Occidente, dove vige la famiglia nucleare, e non nelle altre società che Freud definisce «eso-edipiche», dove si cresce al di fuori del percorso edipico, senza per questo diventare affatto dei disadattati o dei pazzi. Quando nelle dispute sulle adozioni gay sento dire che “ogni bambino ha diritto a un padre e a una madre”, penso: quanto siamo ancora etnocentrici, nell’assumere l’organizzazione familiare che noi occidentali ci siamo dati come l’unica in grado di garantire la salute psichica di chi viene al mondo! Salvo poi curare la depressione di  giovani, che giungono persino a progettare il suicidio, pur avendo avuto una mamma e un papà.

Da “Il nuovo confine del diritto d’amare” di Michela Marzano – deputata uscente dal Pd -, sul quotidiano la Repubblica del 12 di maggio 2016: (…). …ancora una volta, si è dovuto scendere a compromessi. E che invece di ancorare la legge all’articolo 29 della nostra Costituzione - come accade per il matrimonio - l’unione civile viene definita come una “specifica formazione sociale” e trova il proprio fondamento nell’articolo 2 e nell’articolo 3 della Costituzione che assicurano la protezione dei diritti inviolabili dell’uomo e affermano il principio costituzionale di uguaglianza. Arrivando così al paradosso che due persone omosessuali che stipulano quest’unione civile, pur avendo accesso alla quasi totalità dei diritti e dei doveri di due coniugi, non potranno essere considerati una famiglia. In che senso? Nel senso che, nel testo, sono stati chirurgicamente espunti tutti i riferimenti, a parte quello presente al comma 12, alla “famiglia” e alla “vita familiare”. Fino alla beffa non solo di eliminare l’espressione “dovere di fedeltà” - come se l’amore omosessuale, per natura, fosse incapace della stessa profondità, continuità e unicità dell’amore eterosessuale - ma anche di lasciare i figli e le figlie delle persone omosessuali privi della protezione giuridica necessaria al proprio benessere e alla propria serenità. Perché non riconoscere lo statuto di “famiglia” a tutte quelle coppie, con o senza bambini, che sono già da tempo “famiglie”, costruiscono come qualunque altra coppia eterosessuale un progetto di vita familiare, affrontano le difficoltà della vita come chiunque, crescono e accudiscono i propri bambini e le proprie bambine come qualunque padre e qualunque madre? Certo, c’è ancora chi immagina che esista un’unica definizione di famiglia e che, citando a sproposito l’articolo 29, continua a ripetere che la famiglia sarebbe sempre e solo una “società naturale”. La nostra Costituzione, però, non definisce affatto la famiglia come un’“entità naturale”. La nostra Costituzione parla della famiglia come di una “società naturale fondata sul matrimonio”, sganciando attraverso quest’ossimoro la famiglia, (…), dalla dipendenza e dalla tutela dello Stato cui era stata invece sottoposta durante il ventennio fascista. Perché allora far finta che queste famiglie non siano famiglie, illudendosi che se qualcosa non esiste all’interno di una legge allora non esiste affatto? Perché negare protezione e serenità a tutte quelle bambine e a tutti quei bambini che vivono nelle famiglie arcobaleno e che continueranno a esistere anche se la legge li ignora? Modellare l’unione civile sul matrimonio non avrebbe voluto dire togliere valore al matrimonio, come hanno sostenuto in molti. Avrebbe voluto dire riconoscere alla vita familiare omosessuale la dignità che le è propria, senza discriminare. Certo, (…): questa legge è importante. Anzi, importantissima. Visto che arriva dopo trent’anni di vuoto legislativo e di battaglie perse. Visto che a partire da oggi tante persone potranno veder riconosciuti i propri diritti e la propria dignità. Visto che, anche culturalmente, si tratta di un messaggio importante indirizzato, con la forza simbolica della legge, a tutti coloro che continuano a immaginare che l’omosessualità sia un difetto, una devianza o una menomazione. L’omosessualità è solo un orientamento sessuale, diverso da quello eterosessuale ma del tutto equivalente. È solo una delle tante differenze che caratterizzano ognuno di noi e che non può e non deve impedire a una persona di essere considerata uguale a un’altra in termini di dignità, di opportunità e di diritti. Da oggi, sarà più difficile non vergognarsi quando anche solo l’idea di insultare una persona omosessuale dovesse sfiorare la mente di chi pensa che esista un unico modo di essere o di amare. Era il minimo che potesse fare il nostro Paese, anche per tutti coloro che, dopo anni di battaglie, non sono più tra noi e non potranno festeggiare questo momento. Come diceva però il Presidente Barack Obama nel 2013, il nostro viaggio non sarà concluso finché i nostri fratelli gay e le nostre sorelle lesbiche non sanno trattati come chiunque altro di fronte alla legge. Se siamo stati creati uguali, anche l’amore con cui ci leghiamo l’uno all’altro deve essere uguale.

Nessun commento:

Posta un commento