"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 12 maggio 2016

Lalinguabatte. 20 "L'Italia ama l'uomo forte perché è una democrazia immatura".



La “dialettica” che non c’è. Definisce in questi termini la “dialettica” il Dizionario Treccani: “Dal gr. διαλεκτικὴ (τέχνη), propr. «arte dialogica». In senso generico significa l’arte del dialogare, del discutere, intesa come tecnica e abilità di presentare gli argomenti adatti a dimostrare un assunto, a persuadere un interlocutore, a far trionfare il proprio punto di vista su quello dell’antagonista”. Bene. La “dialettica” è stata il pane ed il nutrimento di intere generazioni che si siano ispirate in varia misura a quella parte politica che si soleva definire la “sinistra”. La “dialettica” è stata il tratto essenziale e la connotazione privilegiata di quelle forze che nel tempo si siano proposte a dare un assetto di democrazia compiuta incoraggiando “partecipazione” e “responsabilità”. “Dialettica”, “partecipazione” e “responsabilità” molto diffuse risultano essere termini inscindibili senza i quali la democrazia risulta essere una “democrazia sciancata”, senza vitalità alcuna ed in mano ad improvvisatori e dilettanti. Chi non ha a cuore la realizzazione delle predette pre-condizioni non ha a cuore una democrazia matura. La “dialettica” è stata dapprima sostanzialmente appannaggio di una ben riconoscibile parte politica; senza la “dialettica” quella parte politica è come se non esistesse più. Il politico che opera per non incrementare “dialettica”, “partecipazione” e “responsabilità” ha come mira, poi non tanto velata, una democrazia “immatura”, che sia facilmente condizionabile sul piano del consenso per mezzo delle arti proprie dei seduttori di folle inconsapevoli sì ma non per questo meno colpevoli. Scriveva Adriano Prosperi sulle conseguenze “del ventennio berlusconiano” – che non si è di fatto interrotto - in “Il diritto alla politica” sul quotidiano la Repubblica dell’8 di gennaio dell’anno 2013: (…). …parliamo (…) dei partiti, quelli ai quali la Costituzione riconosce il compito di garantire ai cittadini il diritto di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art.49). Chi ha una certa età non può dimenticare l’appassionata partecipazione che a partire dal’48 ha portato grandi masse a fare uso effettivo di quel diritto sulla base del programma del partito e caricando il proprio voto di un fortissimo investimento di volontà di cambiamento. Oggi il confronto politico si svolge per lo più al di fuori dei partiti e più o meno esplicitamente contro di essi. Anche laddove resiste la forma partito o ne sussistono le vestigia, quello che conta e a cui si affida l’efficacia del richiamo elettorale è il leader: il suo nome, la sua storia personale, o almeno la sua faccia, i suoi tic individuali. (…). In questo Paese la stragrande maggioranza della popolazione per secoli non ha avuto diritti ma solo doveri, quelli biblici di Adamo ed Eva: lavorare per gli uomini, partorire nel dolore per le donne. I diritti alla vita, alla libertà, al perseguimento della felicità che la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti aveva definito inalienabili non sfiorarono le masse contadine dei sudditi del Regno d’Italia più di quanto avessero sfiorato le tribù dei nativi americani. È stato solo col secondo dopoguerra che è nata un’esperienza dei diritti per effetto di una liberazione che fu politica e divenne rapidamente sociale - liberazione dalla stretta del bisogno e della mancanza di lavoro, possibilità di partecipare al grande e felice banchetto dei consumi e di presentarsi al seggio elettorale sentendosi finalmente soggetti e costruttori del proprio destino. Oggi tutto questo appare lontanissimo: e la radice primaria è la scomparsa del lavoro come diritto oltre che come realtà. (…). Di fatto quello che fu il caposaldo della Costituzione repubblicana e dette una risonanza straordinaria alla formulazione fanfaniana dell’articolo 1 è oggi una vuota parola. (…). L’esito finale di tutto questo è una estromissione collettiva dalla politica come campo aperto di cui si fa parte normalmente, senza dover attendere la chiamata dall’alto. Contro l’alto e il basso bisognerà pur restaurare un approccio orizzontale, laico e concreto alla lotta politica: a meno di non voler tornare all’Italia dei secoli antichi, quando i contadini veneti si sentivano stretti fra l’«Altissimo di sopra che manda la tempesta» e «l’Altissimo disotto che prende quel che resta». Con la sconsolata conclusione: «E noi tra ‘sti doi Altissimi restemo poverissimi». Il martedì 12 di maggio dell’anno 2015 Ferruccio De Bortoli rilasciava un’intervista a Silvia Truzzi su “il Fatto Quotidiano”, intervista che aveva per titolo "L'Italia è un Paese ad alta digeribilità, che ama l'uomo forte perché è una democrazia immatura". La trascrivo in parte:
(…). - (Ferruccio De Bortoli n.d.r). Credo che il trasformismo sia una delle caratteristiche peculiari del nostro Paese, non solo nella politica. Uno degli straordinari difetti dell’Italicum, (…), è che aumenterà il grado di trasformismo della politica. Il partito della Nazione è il trionfo del trasformismo. Ma come: ci siamo divisi tra bianchi e neri, tra guelfi e ghibellini, per una vita e poi improvvisamente confluiamo tutti in un grande partito! -.
Perché è possibile adesso? - Intanto perché c’è un solo grande protagonista, al quale ovviamente dobbiamo riconoscere grandi meriti… -.  
…e talenti, come lei ha scritto. - Matteo Renzi è uno straordinario comunicatore, è un politico raffinato. E poi c’è il disfacimento del centrodestra, di partiti che si erano in qualche modo stabilizzati in un bipolarismo molto claudicante nella Seconda Repubblica… -.
Berlusconi è finito? – (…). …in questa grande decomposizione del quadro politico l’Italicum favorisce il trasformismo, forse anche nella certezza di chi comanderà. Però il trasformismo, attenzione, è una malattia che mina alla base la democrazia. Vedo il rischio di un distacco tra la società e la politica: con la nuova legge elettorale non decidiamo più i nostri eletti, per il 60-70%, a Montecitorio -.
Lei è favorevole al monocameralismo. - Sì, ma dubito molto delle funzioni di un Senato ridotto a una Camera di secondo grado, eletta dai consigli regionali. Il pericolo è un progressivo distacco dei cittadini che non credono più nel governo, nella politica, nello Stato e nella possibilità di stare insieme. L’effetto collaterale dell’Italicum sarà di aumentare l’astensionismo: se l’offerta politica si riduce a un Partito della Nazione, e ad alcuni residuali cespugli, che non hanno la minima attrattività perché sono perdenti nati… È avvenuto un cambio sostanziale nella forma di governo, siamo passati a un premierato forte: un passaggio che si è concretizzato con leggerezza colpevole. L’Italia, una democrazia immatura, ama l’uomo forte. Mentre la partecipazione è fatta da contrappesi, istituzioni che si rispettano. Siamo passati dal berlusconismo, che occupava le istituzioni anche con fini personali, a un impoverimento delle istituzioni, un indice importante del grado di salute della nostra democrazia -.
(…). Lei ha detto che Renzi è allergico al dissenso, che mal sopporta le critiche. Le sue pare lo abbiano fatto particolarmente arrabbiare. - Non lo so. Vorrei ricordare che la novità di Renzi è stata salutata, anche da me, come una novità positiva: ha portato la sfida della modernità all’interno di un partito ancorato a vecchi schemi ideologici. Dopodiché, a me pare abbia mutuato dalla controparte molti dei modi con i quali gestisce il potere. La sua è una concezione autoritaria di occupazione delle istituzioni. A mio parere dovrebbe imparare – se vuole paragonarsi ai leader europei – che l’informazione non è un male necessario. L’informazione è scomoda, per lui come lo è stata per le persone che ha ‘rottamato’. Non può pensare che la stampa lo applauda costantemente. Questo riflesso personale autoritario m’inquieta -.
(…). Le notizie non sempre piacciono ai protagonisti. - Il giornalismo deve nutrire l’opinione pubblica di verità, non sempre piacevoli. Deve far ragionare, mettere la classe dirigente nella condizione di valutare le priorità. Deve esercitare una pressione che induce a prendere decisioni, a tendere al meglio, a valutare molti aspetti di ogni singola questione. Dove non c’è opposizione, dove non c’è il controllo democratico da parte di giornali che sono i cani da guardia del potere, è chiaro che il potere non si comporta bene. Il potere tende a prendere pessime abitudini che fanno male alla democrazia -. (…).

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