"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 25 maggio 2016

Paginatre. 38 “Chiesa e Industria”.



Da “Chiesa e Industria (Saggio di interpretazione storico-socio-economica)” (1962) di Umberto Eco, tratto da “Diario minimo”, prima edizione Oscar narrativa Mondadori (ottobre 1988), pagg. 81-84: La penisola italiana è oggi teatro di quella che i nativi chiamerebbero una "lotta per le investiture". Le scena sociale e politica è dominata da due potenze egualmente forti che si disputano il controllo dei territori della penisola e dei suoi abitanti: l'Industria e la Chiesa. La Chiesa, a quanto risulta dalle testimonianze raccolte in loco, è una potenza laica e mondana, tesa al dominio terreno, all'acquisto di aree fabbricabili, alle leve del governo politico, mentre l'Industria è una potenza spirituale tesa al dominio delle anime, alla diffusione di una coscienza mistica e di una disposizione ascetica. Durante il nostro soggiorno nella penisola italiana abbiamo seguito alcune tipiche manifestazioni della Chiesa, le cosiddette "processioni" o "precessioni" (evidentemente connesse a celebrazioni equinoziali) che rappresentano vere e proprie ostentazioni di fasto e potenza militare; vi appaiono infatti drappelli di guardie, cordoni di polizia, generali dell'esercito, colonnelli di aviazione; altro esempio, ai cosiddetti "riti pasquali" si assiste a vere e proprie parate militari in cui interi reparti corazzati si recano a soddisfare al simbolico omaggio che la Chiesa pretende dall'esercito. Contro all'organizzazione militare di questa potenza terrena, ben diverso è invece lo spettacolo offerto dall'Industria. I suoi fedeli vivono in sorte di tetri conventi in cui aggeggi meccanici contribuiscono a rendere più scarno e disumanato l'habitat. Anche quando questi cenobi sono costruiti secondo criteri di ordine e simmetria, vi predomina un rigore di tipo cistercense, mentre le famiglie dei cenobiti vivono ritirate in cellette di enormi monasteri che spesso coprono aree di impressionante vastità. Lo spirito di penitenza pervade tutti gli affiliati, specialmente i capi, i quali vivono in una povertà quasi totale (io stesso ho potuto controllare lo status delle loro sostanze dichiarato pubblicamente a scopo penitenziale), e si riuniscono di solito in lunghi e ascetici ritiri (i cosiddetti "consigli") durante i quali questi uomini in grigio, dai volti scavati e dagli occhi infossati dai lunghi digiuni, restano ore e ore a discutere disincarnati problemi concernenti il fine mistico del sodalizio, la "produzione" di oggetti, vista come una sorta di continuazione perenne della creazione divina.
Alieni dalle ricchezze, costoro paiono avere in odio ogni simbolo di benessere, e non appena abbiano un monile, una gemma, una pelliccia preziosa, se ne sbarazzano donandola alle fanciulle che svolgono servizio di vestali nel pronao antistante i loro penetrali ieratici (queste fanciulle sono per lo più intente a una pratica di culto affine a quella dei monaci tibetani che fanno funzionare i mulini della preghiera, e battono costantemente sui tasti di uno strumento che produce senza posa invocazioni criptiche alla divinità e incitamenti all'ascesi "produttiva"). La mistica della produzione ha d'altra parte un severo fondamento teologico, e siamo riusciti a ricostruire una dottrina della circolazione dei meriti, per cui l'atto virtuoso di ciascun membro della casta sacerdotale può essere utilizzato soprannaturalmente da un altro membro: e in certi templi si assiste a veri e propri passaggi continui di questi "meriti" o "cedole", nel corso di certe manifestazioni di fanatismo religioso, quando folle di sacerdoti si precipitano a donare i propri "meriti", svalutandone il pregio, come per farne dono insistente agli altri, in un crescendo impressionante della tensione e del raptus isterico. È chiaro per il ricercatore che la potenza che ha avuto il sopravvento nel villaggio di Milano è l'Industria: di conseguenza la popolazione vive perennemente in questo stato di tensione mistica che provoca appunto lo smarrimento e la resa tacita alle decisioni dei sacerdoti. Alla luce di questa interpretazione acquista un significato l'ipotesi di uno spazio magico, che non è affatto un dato metafisico, ma la concreta disposizione che viene costantemente data all'habitat milanese dai detentori del potere religioso per mantenere i fedeli in questa condizione di sradicamento da ogni valore terreno. E così pure acquistano significato i riti di passaggio, la pedagogia della frustrazione, il cannibalismo domenicale e la fuga sciamanica verso il mare (che altro non appare quindi che una sorta di sacra rappresentazione, una finzione collettiva di cui ciascuno è al tempo stesso cosciente e succube, tutti rimanendo persuasi nel profondo che la soluzione non è nella fuga, ma nella resa totale e amorosa al potere mistico della produzione). Ma sarebbe ancora errato pensare all'industria come a una potenza che governa indisturbata sugli indigeni e sul territorio. La penisola italiana, che è stata teatro di tante e fortunose vicende (di cui il Dobu ha dato una rappresentazione purtroppo mitologica) costituisce un territorio costantemente aperto all'invasione di popolazioni barbare, alla immigrazione delle orde meridionali che si riversano sul villaggio devastandolo, alterandone la struttura spaziale, accampandosene ai margini, asserragliandosi negli edifici pubblici e immobilizzando ogni attività amministrativa: di fronte a questa pressione di orde straniere, all'azione corruttrice della Chiesa che tenta di distogliere gli animi degli indigeni inducendoli a sogni di malintesa modernità (il cui simbolo è dato dal gioco rituale del ping-pong e dalla gara elettorale, una forma di sport sanguinario e debilitante a cui partecipano persino vecchiette paralitiche), l'Industria si pone come l'ultimo baluardo per la conservazione dell'antica civiltà primitiva. Non spetta all'antropologo giudicare se questa conservazione sia un fatto positivo: occorre solo registrare la funzione dell'Industria, che ha eretto a questo scopo bianchi monasteri nei quali decine e decine di monaci, chiusi nelle loro celle e refettori (gli "studia" o "officia studiorum"), stilano in silenzio, nel lindore inumano dei loro ritiri, le costituzioni perfette per le comunità a venire, al riparo delle invasioni, delle rovine, delle canee. Sono uomini silenziosi e schivi, che solo a tratti si affacciano alla platea della pubblica attività, predicando oscure e profetiche crociate, accusando coloro che vivono nel mondo di essere "servi del neocapitalismo" (espressione oscura appartenente al gergo mistico di questi illuminati). Ma una volta assolta la loro funzione testimoniale, di nuovo si ritirano piamente nei loro cenobi, registrando su sbiaditi palinsesti le loro speranze, riparati dietro il baluardo della mistica potenza che governa loro e il villaggio, e si offre allo studioso come unica chiave per capirne l'inquietante e selvaggio mistero. (1962)

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