Da “Chiesa e
Industria (Saggio di interpretazione storico-socio-economica)” (1962) di
Umberto Eco, tratto da “Diario minimo”,
prima edizione Oscar narrativa Mondadori (ottobre 1988), pagg. 81-84: La
penisola italiana è oggi teatro di quella che i nativi chiamerebbero una
"lotta per le investiture". Le scena sociale e politica è dominata da
due potenze egualmente forti che si disputano il controllo dei territori della
penisola e dei suoi abitanti: l'Industria e la Chiesa. La Chiesa, a quanto
risulta dalle testimonianze raccolte in loco, è una potenza laica e mondana,
tesa al dominio terreno, all'acquisto di aree fabbricabili, alle leve del
governo politico, mentre l'Industria è una potenza spirituale tesa al dominio
delle anime, alla diffusione di una coscienza mistica e di una disposizione
ascetica. Durante il nostro soggiorno nella penisola italiana abbiamo seguito
alcune tipiche manifestazioni della Chiesa, le cosiddette
"processioni" o "precessioni" (evidentemente connesse a
celebrazioni equinoziali) che rappresentano vere e proprie ostentazioni di
fasto e potenza militare; vi appaiono infatti drappelli di guardie, cordoni di
polizia, generali dell'esercito, colonnelli di aviazione; altro esempio, ai
cosiddetti "riti pasquali" si assiste a vere e proprie parate
militari in cui interi reparti corazzati si recano a soddisfare al simbolico
omaggio che la Chiesa pretende dall'esercito. Contro all'organizzazione
militare di questa potenza terrena, ben diverso è invece lo spettacolo offerto
dall'Industria. I suoi fedeli vivono in sorte di tetri conventi in cui aggeggi
meccanici contribuiscono a rendere più scarno e disumanato l'habitat. Anche
quando questi cenobi sono costruiti secondo criteri di ordine e simmetria, vi
predomina un rigore di tipo cistercense, mentre le famiglie dei cenobiti vivono
ritirate in cellette di enormi monasteri che spesso coprono aree di
impressionante vastità. Lo spirito di penitenza pervade tutti gli affiliati,
specialmente i capi, i quali vivono in una povertà quasi totale (io stesso ho
potuto controllare lo status delle loro sostanze dichiarato pubblicamente a
scopo penitenziale), e si riuniscono di solito in lunghi e ascetici ritiri (i
cosiddetti "consigli") durante i quali questi uomini in grigio, dai
volti scavati e dagli occhi infossati dai lunghi digiuni, restano ore e ore a
discutere disincarnati problemi concernenti il fine mistico del sodalizio, la
"produzione" di oggetti, vista come una sorta di continuazione
perenne della creazione divina.
Alieni dalle ricchezze, costoro paiono avere in
odio ogni simbolo di benessere, e non appena abbiano un monile, una gemma, una
pelliccia preziosa, se ne sbarazzano donandola alle fanciulle che svolgono servizio
di vestali nel pronao antistante i loro penetrali ieratici (queste fanciulle
sono per lo più intente a una pratica di culto affine a quella dei monaci
tibetani che fanno funzionare i mulini della preghiera, e battono costantemente
sui tasti di uno strumento che produce senza posa invocazioni criptiche alla
divinità e incitamenti all'ascesi "produttiva"). La mistica della
produzione ha d'altra parte un severo fondamento teologico, e siamo riusciti a ricostruire
una dottrina della circolazione dei meriti, per cui l'atto virtuoso di ciascun
membro della casta sacerdotale può essere utilizzato soprannaturalmente da un
altro membro: e in certi templi si assiste a veri e propri passaggi continui di
questi "meriti" o "cedole", nel corso di certe
manifestazioni di fanatismo religioso, quando folle di sacerdoti si precipitano
a donare i propri "meriti", svalutandone il pregio, come per farne
dono insistente agli altri, in un crescendo impressionante della tensione e del
raptus isterico. È chiaro per il ricercatore che la potenza che ha avuto il
sopravvento nel villaggio di Milano è l'Industria: di conseguenza la
popolazione vive perennemente in questo stato di tensione mistica che provoca appunto
lo smarrimento e la resa tacita alle decisioni dei sacerdoti. Alla luce di
questa interpretazione acquista un significato l'ipotesi di uno spazio magico,
che non è affatto un dato metafisico, ma la concreta disposizione che viene
costantemente data all'habitat milanese dai detentori del potere religioso per
mantenere i fedeli in questa condizione di sradicamento da ogni valore terreno.
E così pure acquistano significato i riti di passaggio, la pedagogia della
frustrazione, il cannibalismo domenicale e la fuga sciamanica verso il mare
(che altro non appare quindi che una sorta di sacra rappresentazione, una
finzione collettiva di cui ciascuno è al tempo stesso cosciente e succube,
tutti rimanendo persuasi nel profondo che la soluzione non è nella fuga, ma
nella resa totale e amorosa al potere mistico della produzione). Ma sarebbe
ancora errato pensare all'industria come a una potenza che governa indisturbata
sugli indigeni e sul territorio. La penisola italiana, che è stata teatro di
tante e fortunose vicende (di cui il Dobu ha dato una rappresentazione purtroppo
mitologica) costituisce un territorio costantemente aperto all'invasione di
popolazioni barbare, alla immigrazione delle orde meridionali che si riversano
sul villaggio devastandolo, alterandone la struttura spaziale, accampandosene
ai margini, asserragliandosi negli edifici pubblici e immobilizzando ogni
attività amministrativa: di fronte a questa pressione di orde straniere,
all'azione corruttrice della Chiesa che tenta di distogliere gli animi degli
indigeni inducendoli a sogni di malintesa modernità (il cui simbolo è dato dal
gioco rituale del ping-pong e dalla gara elettorale, una forma di sport
sanguinario e debilitante a cui partecipano persino vecchiette paralitiche),
l'Industria si pone come l'ultimo baluardo per la conservazione dell'antica
civiltà primitiva. Non spetta all'antropologo giudicare se questa conservazione
sia un fatto positivo: occorre solo registrare la funzione dell'Industria, che
ha eretto a questo scopo bianchi monasteri nei quali decine e decine di monaci,
chiusi nelle loro celle e refettori (gli "studia" o "officia
studiorum"), stilano in silenzio, nel lindore inumano dei loro ritiri, le
costituzioni perfette per le comunità a venire, al riparo delle invasioni,
delle rovine, delle canee. Sono uomini silenziosi e schivi, che solo a tratti si
affacciano alla platea della pubblica attività, predicando oscure e profetiche
crociate, accusando coloro che vivono nel mondo di essere "servi del
neocapitalismo" (espressione oscura appartenente al gergo mistico di
questi illuminati). Ma una volta assolta la loro funzione testimoniale, di
nuovo si ritirano piamente nei loro cenobi, registrando su sbiaditi palinsesti
le loro speranze, riparati dietro il baluardo della mistica potenza che governa
loro e il villaggio, e si offre allo studioso come unica chiave per capirne
l'inquietante e selvaggio mistero. (1962)
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