Da “Non è
l’anatomia a rendere capaci di fare i genitori” di Umberto Galimberti, sul
settimanale “D” del 30 di aprile dell’anno 2016: Ora che le decisioni sono state
prese e il clima su questo non è più infuocato, approfitto per tornare sul tema
delle adozioni, discutendo in termini “quasi scientifici”, dal momento che la
psicoanalisi (…) non è una scienza, e le neuroscienze sanno ancora troppo poco
dell’anima e anche, (…), del corpo. La separazione dell’anima dal corpo è stata
inaugurata da Platone per giungere a conoscenze universali e valide per tutti,
a cui non era possibile pervenire se ci si fosse regolati unicamente sulle
informazioni provenienti dai sensi corporei, essendo queste informazioni
diverse da individuo a individuo, e nel corso della vita dello stesso
individuo. Poi il Cristianesimo, con Agostino, accolse il dualismo di anima e
corpo che Platone aveva inaugurato per risolvere un problema di conoscenza, e
lo rigiocò in un altro scenario: quello della salvezza. Il passo successivo
ancora fu compiuto da Cartesio che, inaugurando la scienza moderna, ridusse il
corpo a organismo e poi cercò di porlo in relazione all’anima ricorrendo alla
ghiandola pineale. Quando sento dire che la psicologia è ormai persuasa che
esiste una relazione tra anima e corpo, dico che questa relazione è un puro
gioco di parole, finché qualcuno non sarà in grado di dimostrarmi perché, se
uno mi insulta (evento culturale) mi produce una vasodilatazione (evento fisiologico)
. Per quanto concerne le neuroscienze, esse sono ancor meno attrezzate della
psicologia per trovare l’unità di anima e corpo, perché il corpo che indagano è
ancora il corpo di Cartesio, ossia l’organismo, non il corpo del mondo della
vita, del tutto estraneo alle neuroscienze, e, (…), in parte anche alla
psicologia, eccezion fatta per la psicologia fenomenologica che da un secolo a
questa parte, con Husserl, Heidegger, Iaspers, Sartre, Merleau-Ponty,
Binswanger, Minkowskì, e da noi Callieri e Borgna, sta chiedendo alla
psicologia di cambiare paradigma. (…). Ma se dall’organismo ci portiamo
all’altezza del corpo, la felicità di un bimbo dipende dall’affetto che riceve,
dall’attenzione che chi lo ha adottato gli dedica, dal mondo che i genitori
adottivi gli creano intorno. Perché l’organismo, come tutte le cose, “è” nel
mondo, mentre il nostro corpo “dischiude” un mondo, accoglie gli stimoli che da
quel mondo provengono e in quel mondo si sente chiamato e impegnato. Ed è di un
mondo che i bambini hanno bisogno, non di due organismi diversamente sessuati. Per
quanto poi riguarda la psicoanalisi, Lacan, (…), riformula in altro modo quello
che Freud aveva già enunciato illustrando il complesso di Edipo, il cui
superamento decide la buona organizzazione psichica del soggetto. Ma Freud
aveva anche precisato che tale concetto era applicabile solo in Occidente, dove
vige la famiglia nucleare, e non nelle altre società che Freud definisce
«eso-edipiche», dove si cresce al di fuori del percorso edipico, senza per
questo diventare affatto dei disadattati o dei pazzi. Quando nelle dispute
sulle adozioni gay sento dire che “ogni bambino ha diritto a un padre e a una
madre”, penso: quanto siamo ancora etnocentrici, nell’assumere l’organizzazione
familiare che noi occidentali ci siamo dati come l’unica in grado di garantire
la salute psichica di chi viene al mondo! Salvo poi curare la depressione
di giovani, che giungono persino a
progettare il suicidio, pur avendo avuto una mamma e un papà.
Da “Il nuovo
confine del diritto d’amare” di Michela Marzano – deputata uscente dal Pd -,
sul quotidiano la Repubblica del 12 di maggio 2016: (…). …ancora una volta, si è
dovuto scendere a compromessi. E che invece di ancorare la legge all’articolo
29 della nostra Costituzione - come accade per il matrimonio - l’unione civile
viene definita come una “specifica formazione sociale” e trova il proprio
fondamento nell’articolo 2 e nell’articolo 3 della Costituzione che assicurano
la protezione dei diritti inviolabili dell’uomo e affermano il principio
costituzionale di uguaglianza. Arrivando così al paradosso che due persone
omosessuali che stipulano quest’unione civile, pur avendo accesso alla quasi
totalità dei diritti e dei doveri di due coniugi, non potranno essere
considerati una famiglia. In che senso? Nel senso che, nel testo, sono stati
chirurgicamente espunti tutti i riferimenti, a parte quello presente al comma
12, alla “famiglia” e alla “vita familiare”. Fino alla beffa non solo di
eliminare l’espressione “dovere di fedeltà” - come se l’amore omosessuale, per
natura, fosse incapace della stessa profondità, continuità e unicità dell’amore
eterosessuale - ma anche di lasciare i figli e le figlie delle persone
omosessuali privi della protezione giuridica necessaria al proprio benessere e
alla propria serenità. Perché non riconoscere lo statuto di “famiglia” a tutte
quelle coppie, con o senza bambini, che sono già da tempo “famiglie”,
costruiscono come qualunque altra coppia eterosessuale un progetto di vita
familiare, affrontano le difficoltà della vita come chiunque, crescono e
accudiscono i propri bambini e le proprie bambine come qualunque padre e
qualunque madre? Certo, c’è ancora chi immagina che esista un’unica definizione
di famiglia e che, citando a sproposito l’articolo 29, continua a ripetere che
la famiglia sarebbe sempre e solo una “società naturale”. La nostra
Costituzione, però, non definisce affatto la famiglia come un’“entità
naturale”. La nostra Costituzione parla della famiglia come di una “società
naturale fondata sul matrimonio”, sganciando attraverso quest’ossimoro la
famiglia, (…), dalla dipendenza e dalla tutela dello Stato cui era stata invece
sottoposta durante il ventennio fascista. Perché allora far finta che queste
famiglie non siano famiglie, illudendosi che se qualcosa non esiste all’interno
di una legge allora non esiste affatto? Perché negare protezione e serenità a
tutte quelle bambine e a tutti quei bambini che vivono nelle famiglie arcobaleno
e che continueranno a esistere anche se la legge li ignora? Modellare l’unione
civile sul matrimonio non avrebbe voluto dire togliere valore al matrimonio,
come hanno sostenuto in molti. Avrebbe voluto dire riconoscere alla vita
familiare omosessuale la dignità che le è propria, senza discriminare. Certo, (…):
questa legge è importante. Anzi, importantissima. Visto che arriva dopo
trent’anni di vuoto legislativo e di battaglie perse. Visto che a partire da
oggi tante persone potranno veder riconosciuti i propri diritti e la propria
dignità. Visto che, anche culturalmente, si tratta di un messaggio importante
indirizzato, con la forza simbolica della legge, a tutti coloro che continuano
a immaginare che l’omosessualità sia un difetto, una devianza o una
menomazione. L’omosessualità è solo un orientamento sessuale, diverso da quello
eterosessuale ma del tutto equivalente. È solo una delle tante differenze che
caratterizzano ognuno di noi e che non può e non deve impedire a una persona di
essere considerata uguale a un’altra in termini di dignità, di opportunità e di
diritti. Da oggi, sarà più difficile non vergognarsi quando anche solo l’idea
di insultare una persona omosessuale dovesse sfiorare la mente di chi pensa che
esista un unico modo di essere o di amare. Era il minimo che potesse fare il
nostro Paese, anche per tutti coloro che, dopo anni di battaglie, non sono più
tra noi e non potranno festeggiare questo momento. Come diceva però il
Presidente Barack Obama nel 2013, il nostro viaggio non sarà concluso finché i
nostri fratelli gay e le nostre sorelle lesbiche non sanno trattati come
chiunque altro di fronte alla legge. Se siamo stati creati uguali, anche
l’amore con cui ci leghiamo l’uno all’altro deve essere uguale.
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