Da “Lettera
a mio figlio” (1964) di Umberto Eco, tratta da “Diario minimo”, prima edizione Oscar narrativa Mondadori (ottobre
1988), pagg. 115-121: Caro Stefano, si avvicina il Natale e presto
i negozi del centro saranno affollati di padri eccitatissimi che giocheranno la
commedia della generosità annuale – essi, che hanno atteso con gioia ipocrita
quel momento in cui potranno comperarsi, contrabbandandoli per i figli, i loro
trenini preferiti, i teatri dei burattini, i tiri a segno per frecce e i ping
pong casalinghi. Io starò a vedere, (…). Poi verrà il mio turno, passerà la
fase dell'educazione materna, tramonterà l'era dell'orsacchiotto e sarà il
momento in cui incomincerò a plasmare io, con la dolce sacrosanta violenza
della patria potestas, la tua coscienza civile. E allora, Stefano... Allora ti
regalerò fucili. (…). Ho avuto una infanzia fortemente, esclusivamente bellica:
sparavo tra gli arbusti in cerbottane fatte all'ultimo momento, mi acquattavo
dietro le rade macchine posteggiate facendo fuoco col mio fucile a ripetizione,
guidavo assalti all'arma bianca, mi perdevo in battaglie sanguinosissime. In
casa, soldatini. Eserciti interi, impegnati in strategie snervanti, operazioni
che duravano settimane, cicli lunghissimi in cui mobilitavo anche le vestigia
dell'orso di pelouche e le bambole della sorella. Organizzavo bande di
avventurieri, mi facevo chiamare da pochi scherani fedelissimi "il terrore
di Piazza Genova" (ora piazza Matteotti); sciolsi una formazione di "Leoni
Neri" per fondermi con un'altra banda più forte, al cui interno organizzai
poi un pronunciamiento degli esiti disastrosi; sfollato nel Monferrato fui
assoldato di forza dalla Banda dello Stradino e subii una cerimonia di
iniziazione che consistette in cento calci nel sedere e la prigionia per tre
ore in un pollaio; combattemmo contro la banda di Rio Nizza, che erano neri
sporchi e terribili, la prima volta ebbi paura e scappai, la seconda mi presi
un sasso sul labbro e ancora adesso ho come un nodulo dentro che si sente con
la lingua. (Poi arrivò la guerra vera, i partigiani ci prestavano lo Sten per
due secondi e vedemmo alcuni amici morti con un buco nella fronte; ma ormai si
stava diventando adulti e si andava lungo le rive del Belbo per sorprendere i
diciottenni che facevano all'amore, salvo i momenti delle primi crisi
mistiche).
Da quest'orgia di giochi bellici è venuto fuori un uomo che è
riuscito a fare diciotto mesi di servizio militare senza toccare un fucile e
dedicando le lunghe ore di caserma a severi studi di filosofia medievale; un
uomo che si è macchiato di tante iniquità ma che è sempre stato puro di quel
tristo delitto che consiste nell'amare le armi e nel credere alla santità e
all'efficienza del valore guerriero. Un uomo che comprende il valore degli
eserciti solo quando li vede accorrere tra la melma del Vajont a ritrovare una
serena e nobile vocazione civile. Che non crede assolutamente alle guerre
giuste, e apprezza solo le guerre civili, in cui chi combatte lo fa
controvoglia, tirato per i capelli, a suo rischio e pericolo, sperando che
finisca subito e perché proprio ne va dell'onore e non se ne può fare a meno. E
credo di dovere questo mio profondo, sistematico, colto e documentato orrore
della guerra ai sani ed innocenti sfoghi, platonicamente sanguinari, concessimi
nell'infanzia, così come si esce da un film western (dopo una scazzottatura
solenne, di quelle che fan crollare le pareti del saloon, in cui si fracassano
i tavoli e i grandi specchi, si spara sul pianista e si schiantano le vetrate)
più puliti, buoni e distesi, disposti a sorridere al passante che ti urta con
la spalla, a prestar soccorso ai passerotti caduti dal nido — come Aristotele
ben sapeva, quando chiedeva alla tragedia di agitare ai nostri occhi il drappo
rosso del sangue per purificarci a fondo, col divino sale inglese della catarsi
finale. E mi immagino invece l'infanzia di Eichmann. Prono, lo sguardo da
ragioniere della morte, sul rompicapo del meccano, seguendo le istruzioni del
manualetto; avido ad aprire la scatola variopinta del piccolo chimico, sadico
nel disporre i suoi attrezzetti di gaio falegname con pialletta larga una
spanna e sega di venti centimetri su legno compensato. j Temete i giovani che
costruiscono piccole gru! Nelle loro ) fredde e distorte menti di piccoli
matematici si stanno comprimendo i complessi atroci che agiteranno la loro età matura.
In ogni piccolo mostro che azioni gli scambi della sua ferrovia in miniatura io
vedo il futuro direttore di campo della morte! Guai se ameranno le collezioni
di piccole automobiline, che orrendamente l'industria del giocattolo propone
loro in facsimile perfetto, col portabagagli che si alza e i vetri che scorrono
— terrificante, terrificante gioco per futuri sergenti di un esercito
elettronico che premeranno senza passioni il bottone rosso di una guerra
atomica! Voi già potete identificarli ora. I grossi speculatori edilizi, i
cesellatori dello sfratto in pieno inverno, che han formato la loro personalità
sull'infame "Monopoli", abituandosi all'idea della compra vendita d'immobili
e della cessione disinvolta di pacchetti azionari. I papà Grandet d'oggigiorno,
che hanno succhiato il gusto dell'accumulazione e della vincita in borsa sulle
cartelle della tombola. I burocrati della morte educatisi sul meccano, i
moribondi della burocrazia che han dato inizio alla loro morte spirituale sulle
cartelline e sui timbri della piccola posta... E domani? Cosa avverrà di una
infanzia a cui il Natale industriale porta bambole americane che parlano e
cantano e si muovono da sole; automi giapponesi che saltano e ballano senza che
la pila si consumi mai; automobili radiocomandate, di cui si ignorerà per
sempre il meccanismo... Stefano, figlio mio, ti regalerò fucili. Perché un
fucile non è un gioco. È lo spunto di un gioco. Di lì dovrai inventare una
situazione, un insieme di rapporti, una dialettica di eventi. Dovrai fare pum
con la bocca, e scoprirai che il gioco vale per quel che vi inserisci, non per
quel che vi trovi di confezionato. Immaginerai di distruggere dei nemici, e
soddisferai a un impulso ancestrale che nessuna barba di civiltà riuscirà mai
ad ottenebrarti, a meno di far di te un nevrotico pronto all'esame aziendale
attraverso Rorschach. Ma ti convincerai che distruggere i nemici è una
convenzione ludica, un gioco tra i giochi, e imparerai così che è pratica
estranea alla realtà, di cui giocando ben conosci i limiti. Ti ripulirai di
rabbie e compressioni, e sarai pronto ad accogliere altri messaggi, che non
contemplano né morte né distruzione; sarà importante, anzi, che morte e
distruzione ti appaiano per sempre dati di fantasia, come il lupo di
cappuccetto rosso, che ciascuno di noi ha odiato senza che di qui sia nato un
odio irragionevole per i cani lupo. Ma forse non è tutto qui, e non sarà tutto
qui. Non ti concederò di sparare le tue coli solo a titolo di sfogo nervoso, di
purificazione ludica degli istinti primordiali, rimandando a dopo, a
depurazione avvenuta, la pars construens, la comunicazione dei valori. Cercherò
di darti idee già mentre spari nascosto dietro una poltrona. Anzitutto non ti
insegnerò a sparare agli indiani. Ti insegnerò a sparare ai trafficanti di armi
e di alcool che stanno distruggendo le riserve indiane. E agli schiavisti del
sud, per cui è inteso che sparerai come uomo di Lincoln. Non ti apprenderò a
tirare sui cannibali congolesi, ma sui mercanti d'avorio, e in un momento di
debolezza forse ti insegnerò a cuocere in pentola il dottor Livingstone, I
suppose. Giocheremo dalla parte degli Arabi contro Lawrence, che oltretutto non
mi è mai sembrato un bel modello di virilità per i giovanetti dabbene, e se
giocheremo ai Romani staremo dalla parte dei Galli, che erano Celti come noi
piemontesi e più puliti di quel Giulio Cesare che dovrai ben presto imparare a
guardar con diffidenza, perché non si tolgono le libertà a una comunità
democratica dando per tutta mancia, dopo la morte, gli orti da andarci a
passeggiare. Staremo dalla parte di Toro Seduto contro quel ripugnante
individuo che fu il generale Custer: Dalla parte dei Boxers, naturalmente.
Dalla parte di Fantomas piuttosto che da quella di Juve, troppo ligio al dovere
per rifiutarsi, all'occorrenza, di manganellare un algerino. Ma qui sto scherzando:
ti insegnerò, certo, che Fantomas era cattivo, ma non verrò a raccontarti,
complice della corruttrice baronessa Orczy, che la Primula Rossa era un eroe.
Era uno sporco vandeano che dava noie al buon Danton e al purissimo
Robespierre, e se giocheremo tu prenderai parte alla presa della Bastiglia. Saranno
giochi formidabili, pensa, e li faremo insieme! Ah, volevi farci mangiare
brioches? Avanti, signor San-terre, faccia rullare i tamburi, tricoteuses di tutto
il mondo, sferruzzate gioiose! Oggi si gioca alla decapitazione di Maria
Antonietta! Pedagogia perversa? Chi parla? Lei signore, che sta facendo film
sull'eroe Fra Diavolo, grassatore se mai ve ne furono al soldo degli agrari e
dei Borboni? Ha mai insegnato a suo figlio a giocare a Carlo Pisacane, o ha
permesso all'istruzione elementare e al poetastro Mercantini di farlo passare
agli occhi dei nostri piccoli come un biondo idiota gentile da imparare a memoria?
E lei, lei che è antifascista si può dire dalla nascita, ha mai giocato con suo
figlio ai partigiani? Si è mai acquattato dietro il letto fingendo di essere
nelle Langhe e gridando attenzione, da destra arriva la Brigata Nera,
rastrellamento, rastrellamento, si spara, fuoco sui nazi? ! Lei regala a suo
figlio i legnetti da costruzione e lo manda con la domestica a vedere i film
razzisti che esaltano la distruzione della nazione indiana. Così, caro Stefano,
ti regalerò dei fucili. E ti insegnerò a giocare guerre molto complesse, in cui
la verità non stia mai da una parte sola, in cui all'occorrenza si debbano
organizzare degli otto settembre. Ti sfogherai, nei tuoi anni giovani, ti
confonderai un poco le idee, ma ti nasceranno lentamente delle persuasioni. Poi,
adulto, crederai che sia stata tutta una favola, cappuccetto rosso,
cenerentola, i fucili, i cannoni, l'uomo contro l'uomo, la strega contro i
sette nani, gli eserciti contro gli eserciti. Ma se per avventura, quando sarai
grande, vi saranno ancora le mostruose figure dei tuoi sogni infantili, le
streghe, i coboldi, le armate, le bombe, le leve obbligatorie, chissà che tu
non abbia assunto una coscienza critica verso le fiabe e che non impari a
muoverti criticamente nella realtà. (1964)
Nessun commento:
Posta un commento