Da “Non ci resta che l'America” di Federico Rampini, sul settimanale “D”
del 19 di maggio dell’anno 2012: (…). Bo Xilai era uno dei massimi dirigenti
del partito (comunista cinese n.d.r.), al comando della megalopoli più
vasta del mondo, Chongqing, più di 30 milioni di abitanti. Ora si scopre - sono
le accuse che lo stesso governo gli rivolge dopo averlo destituito e
incriminato - che era una sorta di "signore della guerra", usava la
polizia locale come una milizia privata per terrorizzare i suoi avversari
politici, ricattare e depredare gli imprenditori. Se poi si aggiunge la saga
ottocentesca della moglie-tigre che fa avvelenare da un domestico con il
cianuro il suo complice-amante inglese, c'è di che nutrire un'intera biblioteca
di futuri romanzi polizieschi. Ma c'è anche da chiedersi: è questo il sistema
di governo all'altezza della seconda economia mondiale? È con una oligarchia di
queste fattezze, che la Cina dovrebbe "scalzare" la leadership
globale degli Stati Uniti? Lasciamo stare che per realismo o per opportunismo
Obama non voglia o non possa affrontare a muso duro la questione dei diritti
umani in Cina; resta il fatto che queste vicende sono sintomi di debolezza,
tanto più in quanto avvengono nell'anno della transizione da Hu Jintao a Xi
Jinping che avrebbe dovuto dare una dimostrazione di "ordinato"
passaggio delle consegne. Dettaglio non banale: tra le pieghe dello scandalo Bo
Xilai si è scoperto che sia il figlio di quest'ultimo, sia la figlia del futuro
presidente e segretario generale del partito Xi Jinping, studiano nella stessa
università. Che si chiama Harvard. Anche questo la dice lunga sulla strada che
la Cina deve ancora percorrere, se i Vip del regime di Pechino devono mandare
tutti i loro rampolli a studiare in America. (…).
Da “La
ricetta di Stiglitz agli italiani incerti” di Mario Pirani, sul quotidiano
la Repubblica del 19 di maggio dell’anno 2014: (…). La sindrome giapponese, (…),
fu fatta di deflazione e crescita pressoché nulla per quasi un ventennio: due
fenomeni che si rafforzano a vicenda tenendo conto che la riduzione dei prezzi
è figlia della crisi da domanda e che quest’ultima peggiora con la deflazione,
che fa posticipare i consumi, aumentando il costo reale del debito per i
debitori già in difficoltà e il costo del lavoro per le imprese che non
riescono più a trattenere il personale. Che la Banca Centrale Europea stia
annunciando nuove misure di espansione monetaria con i tassi praticamente a
zero e che i dati sulla crescita italiana in questo primo trimestre siano
peggiori del previsto non fanno che rafforzare i timori che la sindrome sia
drammaticamente reale. Proprio quando, ecco l’ironia, il Giappone stesso pare
pronto ad uscirne grazie allo stimolo alla domanda proveniente dal piano di
consistenti investimenti pubblici annunciati dal premier Abe prima del rialzo
della tassazione indiretta sui consumi per finanziarli. La soluzione proposta
da Stiglitz? Visto che l’austerità non ha essenzialmente mai funzionato, c’è
bisogno di un piano europeo in cui il Nord (la Germania) espanda più del Sud
(l’Italia) la sua economia, così che ambedue sollevino il Continente senza al
contempo che si allarghino le differenze nelle nostre rispettive bilance
commerciali, accumulando con ciò insostenibili debiti esteri nel Sud
dell’Europa. (…). Quando Jean Monnet, padre fondatore dell’Europa, affermava
che «i paesi della Comunità Europea sono in procinto di stabilire tra loro
relazioni d’uguaglianza e solidarietà, sarebbe a dire delle relazioni simili a
quelle che già esistono in seno ai nostri propri paesi» dava il segno più di
una direzione da intraprendere che di una soluzione a portata di mano. Il primo
gesto di solidarietà che si richiede dunque alla Germania non è poi così
drammatico: aiutare se stessa permettendo ai propri lavoratori di spendere di
più (abbassando le tasse ed aumentando i salari ai lavoratori tedeschi) fa bene
all’export italiano e ci aiuta a guadagnare tempo riprendendo fiato per fare le
riforme che servono al Paese. La prima riforma che ci spetta di fare è quella
della lotta alla corruzione, come dimostra la vicenda Expo, ben più dura come
sforzo di quella che coinvolge la vendita delle auto blu. Da essa proverranno le
risorse per fare anche noi senza debito quegli investimenti pubblici che
rimettono in piedi il Paese. Stiglitz (…) ricorda come la crisi di cui viviamo
le conseguenze non è un disastro naturale ma una situazione che ci siamo
masochisticamente imposti. Solo nel tempo ne sentiremo gli effetti se non
arrestiamo l’emorragia: scoraggiamento giovanile, distruzione di piccole
imprese e anche disillusione verso i meccanismi democratici di rappresentanza.
(…).
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