Da “Cittadini.
Quel sentimento civile che unisce le persone” di Stefano Rodotà, sul
quotidiano la Repubblica del 6 di maggio dell’anno 2015: (…). Vi è, (…), una parola da
affiancare a cittadinanza, ed è solidarietà. Questo vuoi dire che bisogna
guardarsi reciprocamente, non per appiattire le differenze, ma per riconoscerle
nella loro realtà e trovare così, fuori d'ogni forzatura o scomunica, la regola
della convivenza. Conviene leggere le parole conclusive della monumentale opera
del nostro maggiore storico della cittadinanza. Pietro Costa, dove si ricorda
la più generale aspirazione verso una «città dell'uomo, affrancata dalla paura
della violenza, liberata dalla pressione del bisogno, capace di fare dei
diritti il simbolo di una nuova appartenenza». La città, la grande città, oggi
è piuttosto il luogo dove in modo più marcato compare proprio la differenza nei
diritti, e quindi diventa difficile creare appartenenza comune, premessa
obbligata perché si possa creare vera solidarietà, né occasionale, né coatta.
Diventa essenziale, allora, chiedersi come possano essere prodotte, insieme, solidarietà
e cittadinanza. (…). Muovendo in questa direzione, si incontra una espressione
che descrive la città come "bene comune". Questa espressione, per il
suo uso spesso approssimativo e disinvolto, suscita diffidenze, ma questa volte
coglie la sostanza della questione. Infinite sono, da tempo, le riflessioni
sulla cultura della città, che hanno messo in evidenza l'impossibilità di
considerarla come una somma di aggregati fisici e di separare cose e persone
che la compongono. Parlarne come di un bene comune precisa ulteriormente questa
sua dimensione, aprendo la questione di chi debba "prendersene cura",
rendendo sempre meno perentoria la separazione tra amministratori e
amministrati. Lo spirito cittadino solidale ha bisogno di partecipazione e di
coinvolgimento. In Italia, negli ultimi tempi, la discussione generale sulla
città come bene comune è stata accompagnata da una nuova attenzione di molti
enti locali, che hanno dato alla "democrazia di prossimità" sviluppi
proprio nella direziono della collocazione di molti beni nell'area della
solidarietà e della gestione comune. (…). Una studiosa acuta, Giulia Labriola,
ha messo in evidenza la possibilità di analizzare le città come "attori
collettivi" e il rapporto stretto tra ricostruzione dello spazio fisico e
di quello politico. Proprio qui, allora, ritroviamo la cittadinanza nella sua
pienezza. Non lo stare insieme in un'occasione e in un momento, con spirito
soltanto oppositivo rispetto a qualcosa che si ritiene inaccettabile. Piuttosto
il luogo della presenza costante dei cittadini e del confronto continuo tra
posizioni diverse. Torna così il punto del riconoscimento reciproco, che non
significa soltanto abbandono d'ogni violenza, ma costruzione comune anche
attraverso la legittima contestazione di assetti esistenti. Un risultato,
questo, che non può essere affidato solo a dichiarazioni, ma esige la concreta
costruzione politica di un contesto istituzionale adeguato.
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