La “sfogliatura” di seguito proposta
aveva, al tempo, per titolo “Meno tasse
per tutti”. Essa risale ad un lunedì 21 di novembre dell’anno 2011. Sono passati
i mesi e gli anni ma il malvezzo degli imbonitori della politica non passa mai.
E del malvezzo di questi giorni correnti, al tempo del signore da Rignano
sull’Arno, ce ne rende conto e misura Alessandro Robecchi in “Equitalia in televendita” pubblicato
su “il Fatto Quotidiano” del 20 di maggio ultimo scorso. Ha scritto Robecchi: (…).
La donna barbuta! La legge che vieta i terremoti! Un decreto per bloccare la
pioggia nei week-end! Il bollo auto (…). O il funerale di Equitalia, che, dice
Matteo, circonfuso nello streaming e griffato Apple, “al 2018 non ci arriva
mica”. Più che un programma, una sentenza. Giubilo nelle strade e nelle piazze
del Paese e dietrologia talmente facile da essere banale “davantologia”: se nel
2018 si vota, abolire Equitalia è un nuovo modo per dire “ottanta euro” e pure
di più. Se accompagnate la promessa con quell’altra, parallela e speculare, di
“abbassare le tasse al ceto medio” siamo vicini all’en plein. Manca quella cosa
delle settanta vergini, che suona ancora un po’ troppo islamica, ma ci
arriveremo. Anche se la bomba Equitalia arriva insieme a decine di altre bombette,
mischiata ad altre roboanti promesse, fa sempre il suo effetto, perché è
difficile oggi trovare un italiano che simpatizzi per Equitalia. Il riscossore
sta sulle palle a tutti, ovvio, e chi chiede soldi non è mai simpatico: basta
vedere quel logo sulla lettera che vi arriva a casa per agevolare la crisi di
itterizia. Poi ci pensa la solita commedia all’italiana, tipo i leghisti che
minacciano rivolte e assalti alle sedi come fecero i loro amici col blindato
fatto in casa al campanile di San Marco (ancora ridiamo). E ci sarebbero, un
po’ più seriamente, i Cinque Stelle, che Equitalia la vogliono abolire da
sempre e che a tal proposito presentarono una proposta di legge. La respinse il
Pd alla Camera nel luglio del 2014, con grandi accuse di populismo e irresponsabilità.
Brutti, zozzi e cattivi che attentavano a un’istituzione così preziosa per il
paese. Passati nemmeno due anni, ecco Matteo dei miracoli decretarne la morte
imminente, col linguaggio che si riserva di solito agli allenatori di calcio
scarsi: Equitalia, al massimo tra due anni, non mangerà il panettone. Come
Silvio, abbiamo il Renzi operaio, il Renzi imprenditore, il Renzi
costituzionalista, il Renzi insegnante e, da ieri, pure il Renzi grillino. Sono
soddisfazioni. Di suo, Berlusconi si limitava alle battute scherzose, e quando
andò a inaugurare l’anno accademico dei futuri finanzieri disse: “Meglio io da
voi che voi da me”. Almeno faceva ridere. Matteo no. Matteo guarda in camera
come un attore della réclame e la butta lì: Equitalia must die. Dietro,
accanto, ci sarebbe tutto un ragionamento sul riordino delle agenzie, quella
delle entrate che si riprende i suoi compiti, razionalizzazioni, riforme,
ridisegni complessivi e complicati, numeri, calcoli. Ma che noia! Vuoi mettere
col dare l’annuncio? Come dire, parliamoci chiaro: se volete meno tasse, un
regalo al ragazzo che compie diciott’anni, l’eliminazione di Equitalia e altre
cosucce (esilarante la riforma dell’Università “entro il 2016”, ma “non calata
dall’alto”), dovete tenervi stretto questo conduttore di talk show. Diceva Enzo
Biagi di Silvio: “Se avesse le tette farebbe anche l’annunciatrice”. Ecco.
Matteo non ha le tette nemmeno lui. Però fa solo l’annunciatrice.
E
così, andando all’indietro come con una meravigliosa macchina del tempo, scrivevo
il 21 di novembre dell’anno 2011: Ah, le
abitudini! Le abitudini permeano la nostra vita, per intero. Non si sfugge ad
esse. E così, quando mi trasferisco per un più o meno breve periodo in ****l’abitudine
di acquistare i miei immancabili quotidiani nella edicola di sempre riconferma
quanto in precedenza detto della impossibilità di sottrarsi alla “dittatura”
delle abitudini. Ne consegue che, in quell’edicola, la solita da tempo
immemorabile, la “processione” degli abitudinari per l’acquisto quotidiano si
rinnova immancabilmente da un tempo che, inteso nei termini propri degli umani,
ha quasi dell’eterno. Accade quindi che, nel breve giro di un tempo necessario,
si venga a scoprire delle preferenze che gli abitudinari hanno in fatto di
letture dei giornali quotidiani e quindi, come ineludibile conseguenza, in
fatto di adesioni e scelte politiche. Ci si “spia” quasi. È così che si viene a
sapere della collocazione degli abitudinari nello scenario politico del bel
paese. Immancabile, quindi, attendersi commenti fuggevoli a seguito delle
svolte e/o dei fatti salienti che contrassegnano la vita politica nel bel
paese. E così è stato immancabilmente il giorno dopo del voto di fiducia al
governo di “salvezza nazionale”, come da qualcuno definito. È che, quando l’abitudinario
di turno entra nell’edicola, dà in giro uno sguardo investigativo, di cauta perlustrazione,
per appurare ed accertarsi della presenza o meno di altri della sua idea e/o scelta politica. Assicuratosene, viene
subito conquistato dalla voglia di esternare i propri pensieri ed i propri mugugni
ed al contempo richiedere a gran voce il quotidiano che gli consegni
un’appartenenza politica da esibire. All’indomani di quel voto, dicevo, due degli
abitudinari della edicola di ****si ritrovavano nello stesso istante a
richiedere il loro quotidiano preferito, “Libero”,
libero per caso o per necessità, ovvero “la
voce del padrone”. Incoraggiati dalla presenza accertata di almeno due
lettori di quel quotidiano, i due abitudinari si lasciavano andare in considerazioni,
all’indirizzo del nuovo primo ministro, del tipo: - Ora ci tartasserà con le tasse
-; - ma perché non rinuncia alla remunerazione per dare un esempio? Tanto è
ricco di suo -. E l’altro, di rimando: - Non solo lui, ma tutti quei “professoroni”
dovrebbero rinunciarvi -. E giù con questa solfa. Provai a dir loro, ma mi
trattenni: - Mica quelli che c’erano prima si siano comportati da samaritani.
Tutt’altro -. Ed il tutto, di quella conversazione tra abitudinari, si è
arenato su quelle loro elementari e sprovvedute considerazioni, sfumando nel
silenzio calato d’improvviso. Nessun credito al nuovo governo; così, a
prescindere. Neanche il tempo di provare a salvarci. Se sarà possibile ancora.
È il difetto maggiore di una certa, larghissima parte del bel paese, rimanere
ancorata a convinzioni che cozzano terribilmente con una realtà che frana da
tutte le parti. Mentre tutt’attorno si naufraga e sono state già calate le
scialuppe di salvataggio. Spero che i due vi trovino posto. In fondo, però, non
lo meriterebbero. “Meno tasse per tutti”,
il mantra predicato per lustri e lustri da un qualcuno a tutto beneficio dei
“gonzi” che ci hanno abboccato e, forse, abboccano ancora, è il titolo di una
riflessione di Giacomo Papi pubblicata sul supplemento “D” del quotidiano “la
Repubblica”. La trascrivo, di seguito, in parte: (…). …in un momento di tregua,
l'amico evasore ha avanzato l'argomento fine del mondo, quello grazie a cui chi
non paga le tasse si autoassolve e si fa assolvere dagli altri. Dopo avere
intonato una litania di nomi di onorevoli impresentabili e scandali orrendi, ha
allargato le braccia e ha detto: - Sai, il buon esempio deve venire dall'alto -.
Gli altri hanno annuito convinti in segno di approvazione. Ho provato a
ribattere che l'esempio lo si dà a chi ti sta accanto, a cominciare dai figli,
ma nel dirlo mi sono sentito disgustosamente cattolico e sono andato a letto
nervoso. Non riuscivo a prendere sonno, la frase sul buon esempio mi sbatteva
furiosa nella scatola cranica come un pesce rosso nella boccia. All'alba ho
capito perché. Il sole sorgeva rosa sui tetti, illuminando la mia
illuminazione. Nell'argomento del buon esempio si annidano infatti, non
soltanto le ragioni profonde del berlusconismo, ma anche il segno del tramonto
della democrazia. L'esempio deve venire dall'alto è un principio che va bene in
tirannide, ma che, se condiviso, nega la possibilità stessa della democrazia,
perché trasforma la responsabilità in passività, il cittadino in suddito. In
democrazia, necessariamente, l'esempio di ognuno vale quanto quello del leader.
Se invece il principio è che l'esempio viene dall'alto, molti voteranno il
candidato peggiore, il più disonesto e disinteressato al Bene pubblico, per
sentirsi moralmente autorizzati a commettere le proprie piccole schifezze,
continuando a lamentarsi di quelle dei grandi. Era questo il senso reale dello
slogan Meno tasse per tutti, a cui nessuno crede più, ma che ha dato la
tonalità a un'epoca intera. I buoni esempi sono antipatici, i cattivi
promettono di arraffare un guadagno veloce anche se alla lunga il saldo sarà
sempre negativo per tutti, anche per chi ne approfitta. Una sera al tramonto,
andando al Pireo, Menelippo, giovane allievo di Socrate, domandò al filosofo: -
Maestro, perché a volte desidero che tu sia peggiore? -. Rispose il maestro: -
Mio amato Menelippo, per sentirti più libero di essere sordido e perché
desideri moltissimo che io approfitti di te -.
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