"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 24 aprile 2023

ItalianGothic. 41 Ezio Mauro: «Non è quindi una difficoltà storica che ha impedito a Gorgia Meloni una condanna del fascismo, ma è una scelta un atto politico che segna una cultura e fissa la natura di questo governo».


25 di aprile: Festa di Liberazione”. Ha scritto Stefano Massini in “Trucchi mediatici e slogan ripetuti così il centro destra mina l’antifascismo” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, domenica 23 di aprile 2023: 

Lo confesso, sono fra i tanti che in questi mesi hanno pensato che dietro i continui attacchi all'antifascismo non ci fosse un preciso costrutto, ma solo sguaiato revanscismo cameratesco, legittimato dall'opinabile teoria che l'esito elettorale del 2022 sdoganasse full optional l'armamentario dottrinale di Salò, Predappio e mete affini del black tour. Poi ho mutato opinione. Adesso, man mano che il mosaico accoglie nuove tessere, mi convinco sempre più che una strategia presieda a questi apparentemente bradi colpi di mortaio. Quasi cinque secoli sono passati dall'illuminante "Discorso sulla servitù volontaria" di Étienne de La Boétie, in cui di fatto si stigmatizzava la pigrizia dei sudditi come anticamera del dispotismo: la libertà è bellissima a parole, ma al di là della collosa retorica, richiede fatica, sforzo, cura, senso critico, ovvero una forma concreta di manutenzione da cui puoi esimerti delegando il potere a un capo carismatico che deciderà per te, tramutando la proposta in diktat, azzerando il dibattito sulle ipotesi a favore di un ordine tassativo. La lezione di La Boétie ha trovato da allora applicazione in ogni contesto, trionfando nei regimi totalitari dell'ultimo secolo che certo nacquero dal coacervo di paure e rabbie collettive, ma trovarono il proprio combustibile anche nel torpore, nell'abulia, nella facile fiacchezza che azzera l'essere pensante e di un libero cittadino fa una pedina catechizzata, inquadrata e asservita. Di questa tendenza fu notoriamente corresponsabile l'ascesa dei mezzi di comunicazione, determinanti nel convertire la politica nella propria narrazione, articolata in una vera drammaturgia di cui, col tempo, la stanza dei bottoni ha affinato tecniche e trucchi. Ecco, ciò a cui stiamo assistendo può essere ricondotto a questa matrice, e non solo perché usa il metodo (descritto alla perfezione da Harold Lasswell) dello slogan che entra sottopelle del ricevente non come parere vagliabile ma come un dato incontrovertibile (e dunque non "io dissento dall'antifascismo", bensì nettamente e in modo assertivo "l'antifascismo non è nella Costituzione"). A blindare l'effetto, c'è un furbissimo uso del meccanismo mediatico dell'inflazionamento: ad ogni bordata di La Russa e sodali contro i pilastri fondativi della nostra Repubblica, è come se lo scandalo diminuisse, perché l'eversione stessa si trasmuta in ordinaria amministrazione se assume la forma di un copione sempre uguale, e come tale prevedibile. Dunque l'attacco frontale e puntuale degli ex-post-neo-fascisti contro l'antifascismo innesca la conseguenza primaria di rendere la contrapposizione tediosa, ripetitiva e inevitabilmente banale, svuotandola di significato. Oggi per esempio è il 23 aprile, 48 ore ci separano dalla Festa della Liberazione, ed è per tutti scontato che le agenzie ribatteranno a breve affermazioni variopinte e frasi in libertà carpite dalle labbra di un ministro o di colui che pur ostentando fascist-pride è kafkianamente Capo supplente di uno Stato nato dall'antifascismo. Lo sappiamo già, ce lo aspettiamo, potremmo perfino scrivere preventivamente parole di reazione accorata, celando il punto nodale che un sassolino che ti cade in testa dal cielo ti fa alzare gli occhi a cercarne la provenienza, ma se lo stesso ti colpisce durante una grandinata, passa del tutto inosservato. E allora, per paradosso, qualcuno ormai potrebbe perfino dichiarare di festeggiare la fondazione della Gestapo (per ironia della sorte creata da Göring il 26 aprile 1933), e la notizia susciterebbe più ilarità che indignazione, più sconforto che pubblica condanna, cosicché la missione può dirsi in un certo senso compiuta, perché centra il bersaglio di desacralizzare la memoria, riducendola a un flipper in cui la pallina rimbalza fra le sponde fra lampadine e campanelli, ma è comunque destinata a finir presto in un game over. In fondo l'antifascismo si regge completamente sullo scandalo percepito del fascismo, ed è una contrapposizione che non può sbiadirsi né tantomeno ridursi a un cartoon in cui ci si prende a pugni rimbalzando come gomma. E la riprova sta nella storia stessa, se si pensa che il 4 ottobre 1936, nell'East End, la "marcia su Londra" di migliaia di camicie nere inglesi guidate da Oswald Mosley fu respinta a Cable Street dall'insurrezione popolare di 20.000 democratici che le sbarrarono la strada, prendendo molto sul serio la sua minaccia. Se quei londinesi si fossero viceversa stretti nelle spalle, riservando all'Unione Fascista Britannica il sorriso bonario che sempre più spesse offriamo al caravanserraglio di questi nostalgici, chissà come poteva evolvere la vicenda, e forse studieremmo Mosley al pari di Churchill. È chiaro che è utopia, ma fino a un certo punto, dal momento che l'assuefazione è sempre prologo dell'avallo. E su questo ci sono pochi dubbi. Di seguito, “L’ambiguità della zona grigia” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 24 di aprile: Dunque c'è del metodo, in questa follia di  una  Repubblica  che  celebra la  festa  della  liberazione  dal nazifascismo con l'evidente riserva della sua classe di governo. È una riserva ambigua, fatta di renitenza tangibile, di partecipazione riluttante, di provocazione permanente, cercando quotidianamente di forzare il limite della tradizione democratica italiana per fuoruscirne di soppiatto, spezzando il senso comune repubblicano: per sostituirlo con il mito della Nazione che a ogni stagione si rinnova nel popolo, nella terra e nel sangue, da sola, senza bisogno di un giudizio sulla storia. Non è quindi una difficoltà storica che ha impedito fino ad oggi a Gorgia Meloni e al nucleo ideologico che la circonda di pronunciare una condanna del fascismo e della sua vicenda liberticida in nome della democrazia, ma è una scelta. Fatta non per eredità ma nell'attualità, qui e adesso. Vale a dire un atto politico che segna una cultura e fissa la natura di questo governo: (…). Venendo dall'altro mondo, con una storia estranea alla scrittura della Costituzione e alla definizione dei suoi valori la destra estrema dopo aver vinto le elezioni ha affrontato il rito repubblicano della vestizione dei paramenti sacri delle istituzioni democratiche. Poteva a quel punto esercitare il diritto (più ancora del dovere) di sciogliere i nodi del passato con un atto esplicito e definitivo di adesione alla religione civile dell'antifascismo. Meloni al contrario ha scelto la cabina elettorale come il luogo non solo della sua investitura, ma dell'assoluzione e consacrazione di tutta la vicenda storica della destra e delle sue radici, con il voto come risoluzione di tutte le contraddizioni, operata dai cittadini invece che dai leader. Entrando a palazzo Chigi ha deciso di istituzionalizzarsi, ma senza omologarsi, per non perdere quel carattere di outsider che le consente di mantenere il ruolo di eterna sfidante delle élite, con un piede dentro il sistema e uno fuori, contestandolo mentre lo guida In questo rifiuto di "bemollizzarsi" c'è la piena coscienza di un'anomalia, e la volontà di conservarla intatta: e a tale proposito anche la provenienza dal buio post-fascista illuminato dalla fiamma diventa una conferma della differenza, anzi dell'alterità radicale rispetto a quel concerto repubblicano che il populismo di destra annega dentro la definizione onnicomprensiva di "casta". Fin qui la strategia: poi c'è l'ideologia Che dev'essere ancora potente e costringente se assistiamo ogni giorno alla revisione di passaggi storici per sminuire le responsabilità criminali della dittatura mussoliniana, al tentativo di separare fascismo e nazismo, alle falsificazioni della memoria per cercare equiparazioni e bilanciamenti. E soprattutto al rifiuto di considerare il fascismo come l'età italiana del disonore, condannandolo definitivamente. Col governo Meloni siamo entrati così in una zona storica d'ombra: non c'è evidentemente fascismo attuale ma non c'è antifascismo, il corpo mistico dello Stato non è più sorretto da uno scheletro di valori fondanti, ci stiamo avventurando dentro una democrazia anonima senza padri, senza peccati e senza giudizi, semplicemente estranea alla storia, e ai suoi obblighi. È esattamente dove questa destra radicale voleva portare il Paese. In una zona grigia in cui il passato si mescola e si confonde, tutte le vicende sono semplici affluenti del grande fiume della Nazione, in cui trova infine il suo approdo la lunga manovra di normalizzazione del fascismo storico, la banalizzazione della dittatura, il suo riduzionismo, il rifiuto di considerarla un'eccezione clamorosa alla democrazia. (…) …questa ambiguità lascia i suoi segni sull'azione di governo, con Meloni leale e convinta sostenitrice della Nato mentre è partner tiepida e critica delle politiche e degli ideali dell'Unione Europea, in un esperimento inedito di atlantismo caldo e occidentalismo tiepido: proprio nel momento in cui gli autocrati attaccano la democrazia liberale, proponendo una rivisitazione del modello senza lo Stato di diritto, come se l'Occidente si potesse ridurre a una caserma. È ben evidente, a questo punto, come l'atteggiamento della destra sul fascismo sia rivelatore della sua concezione della democrazia, che è l'unico metro di giudizio in proposito. E dunque non stiamo parlando di ieri, ma di oggi: nel momento in cui l'universale del concetto democratico si spezza nel mondo, quale modello di democrazia ha in mente Giorgia Meloni per l’Italia? E quale idea di patria? I patrioti di questo secolo difendono la storia migliore del Paese, si riconoscono nel valore della libertà e nel rispetto dei diritti, sono consapevoli del legame tra la Resistenza come ribellione alla dittatura, la riconquista della democrazia, il varo della Costituzione, la nascita della Repubblica e delle libere istituzioni. L'antifascismo è la cultura, la memoria, l'impegno che lega insieme questi passaggi. Questa è la nostra storia, com'è storia italiana di sopraffazione la dittatura fascista: per questo non possiamo ignorarla e dobbiamo giudicarla, per definire chi siamo e che Paese vogliamo, rinnovando il nostro impegno per la libertà di tutti. Il 25 aprile in questo senso è una festa di libertà, ma è anche un obbligo pubblico di coscienza. Qui sta la radice della democrazia ristabilita. Chi salta quel giorno, chi non parla e non sente, sta invece fuori dalla storia: ma si può governare il Paese e scegliere un altrove rispetto alla democrazia?

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