Ci ha lasciato per iscritto a perenne memoria Kahlil
Gibran in “Il Profeta”: “E
una donna che stringeva un bimbo al seno chiese: parlaci dei figli. Ed egli
disse: i vostri figli non sono i vostri figli. Essi sono i figli e le figlie
della smania della Vita per sé stessa. Vengono attraverso di voi, ma non da
voi, e benché stiano con voi, tuttavia non vi appartengono. Voi potete dar loro
il vostro amore, ma non i vostri pensieri, poiché essi hanno i propri pensieri.
Potete dare alloggio ai loro corpi, ma non alle loro anime, poiché le loro
anime dimorano nella casa del futuro che voi non potete visitare neppure in
sogno. Voi potete sforzarvi di essere come loro, ma non cercate di renderli
simili a voi. Poiché la vita non va all’indietro e non si trattiene sullo ieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli vengono proiettati in avanti, come
frecce viventi. (…)”.
“StoriedallaScuola”. Ha scritto Concita De Gregorio in “Difendendo l’indifendibile” pubblicato sul settimanale “d” del
quotidiano “la Repubblica” dell’8 di aprile 2023: (…). È una tragedia de nostro
tempo, questa della tirannia dei genitori che insorgono di fronte alle autorità
scolastiche (sportive, di club, allenatori di pallavolo e maestri di hula hoop)
in difesa dei figli il cui comportamento è, obiettivamente, indifendibile.
Chiedete in giro, se avete un'amica maestra. Sono terrorizzati, i docenti,
dalla possibilità di essere denunciati, aggrediti, picchiati, raggiunti in un
vicolo da familiari inferociti per un rimprovero, un brutto voto al loro
bambino. Ma basta anche solo un tono di voce, un gesto. L'insegnante di violino
della scuola di musica del quartiere dove vivo si è messo in aspettativa dopo
che il padre di un'alunna di undici anni lo ha denunciato: toccava il braccio
della bambina per impostare la posizione dello strumento. Ma soprattutto, mi ha
riferito quasi in lacrime, ha convocato una riunione di genitori e avviato una
raccolta di firme per chiedere alla direttrice della scuola di sospenderlo per
violenza verbale e fisica: oltre a toccare con sospetta insistenza il braccio
degli alunni era solito dir loro «no, non così» in tono - riferisco
letteralmente - «aggressivo e lesivo della dignità degli allievi». Racconto
questa storia perché lo conosco, l'insegnante di violino, conosco i suoi figli
e sua moglie. Ma anche perché ho studiato musica vent'anni, brevissimamente
anche il violino, e so che non esiste un modo per impostare la posizione corretta
che non sia alzando un braccio, abbassando una spalla. Ci sono senz'altro
abusi, odiosi. Bisogna vigilare con attenzione. Nel caso dei ragazzi che hanno
comportamenti violenti: prestare ascolto al loro disagio, capire perché. Ma
quando non siamo nel campo del reato, del disturbo sociale. Quando si tratta di
educare: siamo sicuri che chiedere un sacrificio, comminare una sanzione non
serva? Di seguito, “La rivincita
è lontana” di Gabriele Romagnoli pubblicato sullo stesso numero di aprile 2023
del settimanale “d”: E poi, ma siamo agli sgoccioli, c'è il ricevimento
genitori a scuola. Potrebbero chiamarlo il "ricevimento madri". Quanti
padri avete visto in attesa della professoressa d'italiano? Non possono. Hanno
da fare. Di pomeriggio poi, capirai. Non ci sono già le chat? Ci sono,
purtroppo, ma sono collettive, si violerebbe la privacy. E uno scambio di
whatsapp? Pure per questo? Ormai non ci si parla più. Non c'era tutta questa
voglia di tornare a fare le cose "in presenza"? E allora, ricevimento
genitori, anzi madri, sia. Siccome è un ricevimento, bisogna andarci come si
deve. È un momento della verità. Il verdetto sulla prole si riflette su chi
l'ha concepita. Meglio: su chi l'ha partorita. Le madri dei primi della classe
le vedi entrare a passo di carica, sospinte dalla fierezza dei voti recenti,
del successo futuro. Quelle degli ultimi si appoggiano ai muri, già stanche prima
di cominciare, schiacciate dai condizionali "potrebbe"
"dovrebbe" e dall'avversativo "ma", dalla negazione
"non". Non va. Non ci siamo. Non passa. Non glielo puoi dire ai
docenti che spesso gli ultimi a scuola sono i primi nella vita, che quasi
sempre quelli che si sono sfogati tra i 14 e i 20 poi sono diventati
concentrati, capaci di esiti inaspettati. Viceversa, quelli che si sono controllati
prima o poi esplodono, magari alla soglia dei 40, da mariti e mogli con figli a
carico. Nei corridoi di una scuola superiore la rivincita è lontana. Oggi
ridono le mamme delle secchie e di quegli intollerabili a cui basta leggere una
volta per "saperla", ascoltare distrattamente per immagazzinare e poi
sputare fuori. Tocca far passare il tempo, prima che "quello di storia e
filosofia" chiami. E di che cosa si può mai parlare? Di loro, dei figli.
«Il mio fa nuoto, è bravo anche lì». Te lo vedi, con gli occhialini e un libro
impermeabile. Una vita fa, quando non c'erano ancora i profili whatsapp, le madri
non si erano mai viste prima: si scoprivano al ricevimento. All'inizio della
mia carriera scolastica, in seconda elementare, mia madre guardò incuriosita la
signora che la precedeva. Quella ricambiò lo sguardo perplesso: «Ma non ci
siamo già incontrate?». Non abitavano vicine, andavano (ogni sacrosanto
venerdì) da parrucchiere diverse, una prendeva l'autobus, l'altra aveva
l'automobile. Poi un lampo attraversò la mente di mia madre: «La sala
travaglio! Lei è quella del letto a fianco, quella che è entrata in sala parto
prima di me!». «Vero! Lei che cos'ha avuto?» «Un maschio!» «Io una femmina».
Quella "femmina" era il mio primo amore, per dire quanto lo
sopravvalutiamo: avevo pescato il primo essere di sesso opposto che si fosse
manifestato nel raggio di tre metri, prima ancora che venissi al mondo. Mia
madre questo non lo sapeva, per fortuna, o lo avrebbe subito rivelato. Anni
dopo, al liceo, smise di frequentare i ricevimenti genitori. Tornò dall'ultimo
affranta: «Dicono di te cose che non voglio più sentire. Non ti ci riconosco
neanche. Basta che passi la maturità». L'ho passata e, come tutti quelli che al
liceo hanno fatto cose, ne sono uscito appagato. Fino a un certo punto. La vita
ha preso strane pieghe. Non ho avuto figli. Però una volta un'amica in carriera
e madre single mi ha chiesto un favore: «Potresti andare al ricevimento
scolastico al posto mio? Dì che sei lo zio». Era un istituto tecnico del
prodotto ceramico, a Faenza. Non ho capito molto, ma è stato divertente.
Grazie Aldo, anche per questo importantissimo e stupendo post che ho già inserito tra quelli da rileggere e far leggere a nipoti, parenti e amici... Le riflessioni da fare sono numerose e particolarmente urgenti! Buona continuazione.
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