"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 12 aprile 2023

Piccolegrandistorie. 43 Concita De Gregorio: «Una tragedia del nostro tempo».

Ci ha lasciato per iscritto a perenne memoria Kahlil Gibran in “Il Profeta”: “E una donna che stringeva un bimbo al seno chiese: parlaci dei figli. Ed egli disse: i vostri figli non sono i vostri figli. Essi sono i figli e le figlie della smania della Vita per sé stessa. Vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché stiano con voi, tuttavia non vi appartengono. Voi potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri, poiché essi hanno i propri pensieri. Potete dare alloggio ai loro corpi, ma non alle loro anime, poiché le loro anime dimorano nella casa del futuro che voi non potete visitare neppure in sogno. Voi potete sforzarvi di essere come loro, ma non cercate di renderli simili a voi. Poiché la vita non va all’indietro e non si trattiene sullo ieri. Voi siete gli archi dai quali i vostri figli vengono proiettati in avanti, come frecce viventi. (…)”.

StoriedallaScuola”. Ha scritto Concita De Gregorio in “Difendendo l’indifendibile” pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” dell’8 di aprile 2023: (…). È una tragedia de nostro tempo, questa della tirannia dei genitori che insorgono di fronte alle autorità scolastiche (sportive, di club, allenatori di pallavolo e maestri di hula hoop) in difesa dei figli il cui comportamento è, obiettivamente, indifendibile. Chiedete in giro, se avete un'amica maestra. Sono terrorizzati, i docenti, dalla possibilità di essere denunciati, aggrediti, picchiati, raggiunti in un vicolo da familiari inferociti per un rimprovero, un brutto voto al loro bambino. Ma basta anche solo un tono di voce, un gesto. L'insegnante di violino della scuola di musica del quartiere dove vivo si è messo in aspettativa dopo che il padre di un'alunna di undici anni lo ha denunciato: toccava il braccio della bambina per impostare la posizione dello strumento. Ma soprattutto, mi ha riferito quasi in lacrime, ha convocato una riunione di genitori e avviato una raccolta di firme per chiedere alla direttrice della scuola di sospenderlo per violenza verbale e fisica: oltre a toccare con sospetta insistenza il braccio degli alunni era solito dir loro «no, non così» in tono - riferisco letteralmente - «aggressivo e lesivo della dignità degli allievi». Racconto questa storia perché lo conosco, l'insegnante di violino, conosco i suoi figli e sua moglie. Ma anche perché ho studiato musica vent'anni, brevissimamente anche il violino, e so che non esiste un modo per impostare la posizione corretta che non sia alzando un braccio, abbassando una spalla. Ci sono senz'altro abusi, odiosi. Bisogna vigilare con attenzione. Nel caso dei ragazzi che hanno comportamenti violenti: prestare ascolto al loro disagio, capire perché. Ma quando non siamo nel campo del reato, del disturbo sociale. Quando si tratta di educare: siamo sicuri che chiedere un sacrificio, comminare una sanzione non serva? Di seguito, “La rivincita è lontana” di Gabriele Romagnoli pubblicato sullo stesso numero di aprile 2023 del settimanale “d”: E poi, ma siamo agli sgoccioli, c'è il ricevimento genitori a scuola. Potrebbero chiamarlo il "ricevimento madri". Quanti padri avete visto in attesa della professoressa d'italiano? Non possono. Hanno da fare. Di pomeriggio poi, capirai. Non ci sono già le chat? Ci sono, purtroppo, ma sono collettive, si violerebbe la privacy. E uno scambio di whatsapp? Pure per questo? Ormai non ci si parla più. Non c'era tutta questa voglia di tornare a fare le cose "in presenza"? E allora, ricevimento genitori, anzi madri, sia. Siccome è un ricevimento, bisogna andarci come si deve. È un momento della verità. Il verdetto sulla prole si riflette su chi l'ha concepita. Meglio: su chi l'ha partorita. Le madri dei primi della classe le vedi entrare a passo di carica, sospinte dalla fierezza dei voti recenti, del successo futuro. Quelle degli ultimi si appoggiano ai muri, già stanche prima di cominciare, schiacciate dai condizionali "potrebbe" "dovrebbe" e dall'avversativo "ma", dalla negazione "non". Non va. Non ci siamo. Non passa. Non glielo puoi dire ai docenti che spesso gli ultimi a scuola sono i primi nella vita, che quasi sempre quelli che si sono sfogati tra i 14 e i 20 poi sono diventati concentrati, capaci di esiti inaspettati. Viceversa, quelli che si sono controllati prima o poi esplodono, magari alla soglia dei 40, da mariti e mogli con figli a carico. Nei corridoi di una scuola superiore la rivincita è lontana. Oggi ridono le mamme delle secchie e di quegli intollerabili a cui basta leggere una volta per "saperla", ascoltare distrattamente per immagazzinare e poi sputare fuori. Tocca far passare il tempo, prima che "quello di storia e filosofia" chiami. E di che cosa si può mai parlare? Di loro, dei figli. «Il mio fa nuoto, è bravo anche lì». Te lo vedi, con gli occhialini e un libro impermeabile. Una vita fa, quando non c'erano ancora i profili whatsapp, le madri non si erano mai viste prima: si scoprivano al ricevimento. All'inizio della mia carriera scolastica, in seconda elementare, mia madre guardò incuriosita la signora che la precedeva. Quella ricambiò lo sguardo perplesso: «Ma non ci siamo già incontrate?». Non abitavano vicine, andavano (ogni sacrosanto venerdì) da parrucchiere diverse, una prendeva l'autobus, l'altra aveva l'automobile. Poi un lampo attraversò la mente di mia madre: «La sala travaglio! Lei è quella del letto a fianco, quella che è entrata in sala parto prima di me!». «Vero! Lei che cos'ha avuto?» «Un maschio!» «Io una femmina». Quella "femmina" era il mio primo amore, per dire quanto lo sopravvalutiamo: avevo pescato il primo essere di sesso opposto che si fosse manifestato nel raggio di tre metri, prima ancora che venissi al mondo. Mia madre questo non lo sapeva, per fortuna, o lo avrebbe subito rivelato. Anni dopo, al liceo, smise di frequentare i ricevimenti genitori. Tornò dall'ultimo affranta: «Dicono di te cose che non voglio più sentire. Non ti ci riconosco neanche. Basta che passi la maturità». L'ho passata e, come tutti quelli che al liceo hanno fatto cose, ne sono uscito appagato. Fino a un certo punto. La vita ha preso strane pieghe. Non ho avuto figli. Però una volta un'amica in carriera e madre single mi ha chiesto un favore: «Potresti andare al ricevimento scolastico al posto mio? Dì che sei lo zio». Era un istituto tecnico del prodotto ceramico, a Faenza. Non ho capito molto, ma è stato divertente.

1 commento:

  1. Grazie Aldo, anche per questo importantissimo e stupendo post che ho già inserito tra quelli da rileggere e far leggere a nipoti, parenti e amici... Le riflessioni da fare sono numerose e particolarmente urgenti! Buona continuazione.

    RispondiElimina