"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 22 aprile 2023

ItalianGothic. 40 Corrado Augias: «La follia nazifascista ha meritato la condanna non dei vincitori ma della storia».

"Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, perché lì è nata la nostra Costituzione”. Piero Calamandrei agli studenti milanesi (1955).

Ha scritto Corrado Augias in “Quella data termometro per capire se siamo liberi (o no) dal Ventennio” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, sabato 22 di aprile 2023: 25 aprile: liberazione dal fascismo. La data è quella del proclama d'insurrezione emanato a Milano dal Comitato di Liberazione Nazionale (Cln). L'effettiva Liberazione avvenne infatti il 28, con la parziale resa dei conti e la fucilazione di alcuni gerarchi. Scegliendo il 25 si preferì evitare una ricorrenza che avrebbe potuto suonare ancora più sgradevole all'Italia che in quegli uomini si era a lungo riconosciuta. (…). La scarna nota che riporto basta da sola a capire perché il 25 aprile sia stata a lungo, e tuttora sia, una data notevolmente divisiva e con un andamento discontinuo nel corso degli anni. Una parte non irrilevante di italiani non ha mai voluto fare davvero i conti col fascismo né è stata capace d'interpretare in modo corretto il movimento di Resistenza che valse a cancellare molti errori e orrori commessi dal regime fascista in pace e nella guerra al fianco dell'alleato nazista. C'è chi tende a liquidare il giudizio storico su quel periodo affermando che si tratta di valutazioni dettate dalla logica del vincitore. Si dimentica così che la follia nazifascista ha meritato la condanna non dei vincitori ma della storia. Continuare a combattere, tra l'altro in posizione quasi servile, accanto alle truppe del Terzo Reich dopo l'8 settembre 1943 fu una prova non di coraggio ma di cecità. Alla fine di quell'anno era ormai chiaro non solamente come la guerra sarebbe finita ma anche quali motivazioni l'avevano scatenata, di quali atrocità il regime hitleriano s'era macchiato al suo stesso interno prima ancora che sui vari fronti. Una Guerra civile, questa è stata a lungo la definizione che la Destra e i neofascisti hanno dato dei tragici mesi dall'autunno 1943 alla primavera del 1945. Certo, quella fu anche una guerra civile, cioè uno scontro tra italiani, come del resto lo erano state alcune battaglie del Risorgimento. Ma, (…), questa definizione da sola non basta, immiserisce una lotta che ebbe motivazioni più complesse. In quei combattimenti s'intrecciarono infatti anche una lotta di classe da parte di alcune brigate comuniste e una vera guerra di tipo risorgimentale, quella che i versetti dell'Inno di Garibaldi rispecchiano: "Va' fuori d'Italia, va' fuori o stranier". Nella realtà politica del dopoguerra, la lotta di Liberazione è diventata presto una ricorrenza che pareva riguardare soprattutto "la sinistra". S'è creata una frattura tra lo spirito antifascista che permea la Costituzione, e lo spirito anticomunista largamente diffuso nel paese dopo la vittoria democristiana del 18 aprile 1948 e la Guerra Fredda tra le due superpotenze. Bisognerà arrivare al 1960 perché si riaccenda un certo spirito unitario. Quando il governo Tambroni autorizza il congresso del Msi a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza, ci sono tumulti, molti giovani prendono per la prima volta coscienza del pericolo fascista. Comincia anche a farsi strada la consapevolezza di quale sia il valore della Costituzione oggi, almeno quello, indiscusso. Bene o male si stabilisce un equilibrio sia storico sia emotivo con i fatti del '43-'45; non dico un'epica perché per l'epica noi italiani abbiamo scarsa attitudine. Sicuramente però una certa memoria ravvivata anche da qualche buon romanzo, alcuni ottimi film. Tutto pareva avviarsi verso una decorosa ritualità quando una mattina ci siamo svegliati e ci siamo accorti che erano arrivati al governo uomini e donne ai quali il termine "antifascista" provoca imbarazzo. Dal 1945 a oggi non era mai accaduto, non a questo livello. Quali conseguenze avrà sulla ricorrenza del 25 aprile? Quali che siano, risulteranno un buon termometro per misurare, dopo quasi 80 anni, se del fascismo ci siamo davvero liberati - o no. Di seguito, “La Carta è antifascista questione di sostanza non solo di parole” di Simonetta Fiori, intervista a Gustavo Zagrebelsky pubblicata sullo stesso numero del quotidiano “la Repubblica” di oggi: “Non è una questione di parole, ma di sostanza. E la sostanza è politica al più alto grado. (…). Oggi non si può essere afascista. È in gioco la visione del nostro vivere in comune: gerarchia o democrazia? Discriminazione o eguaglianza? Non si può dire “né con l’una né con l’altra”.

Professor Zagrebelsky, nella Costituzione non c’è la parola antifascismo forse perché superflua? “Le Costituzioni contengono norme, principi, valori che sono rivolte al futuro, non al passato. Tutte nascono da una frattura storica e aspirano a instaurare un regime diverso dal precedente. Talora opposto. I conti con il passato la Costituzione li ha già fatti”.

La Russa si concentra sulla parola antifascista che manca. “Nel codice penale non c’è il divieto di mangiare il proprio vicino di casa, allora cosa vuol dire: che è ammesso? Questa osservazione di La Russa mi sembra piuttosto puerile”.

Come replica? “Vogliamo proprio soffermarci sulle parole? Se manca 'antifascismo' è ben presente la parola 'fascismo', legata al suo divieto radicale. La dodicesima disposizione transitoria della Costituzione fa divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma. Richiamo l’attenzione su 'sotto qualunque forma': i nostri padri costituenti erano ben consapevoli che era una questione di sostanza, non di forma. Come se ci dicessero: non fermatevi alle parole, come fa ora La Russa, ma guardate in profondità”.

E la sostanza è che la Costituzione è l’essenza stessa dell’antifascismo. “Basta studiare cos’è stato il fascismo. Stiamo alla sua autodefinizione, tratta dall’articolo 4 dello Statuto del PNF. L’identità fascista si riassume in tre parole: credere, obbedire, combattere. Questa visione etico-politica è radicalmente antitetica all’etica costituzionale. La Carta non chiede di 'credere', ma al contrario garantisce il pluralismo delle idee e dell’informazione. Obbedire: secondo la Costituzione bisogna obbedire alla Carta e alla legge ad essa conforme, non a un capo. Combattere: la Costituzione proclama solennemente l’esclusione della guerra come strumento di affermazione nella scena internazionale, al contrario dei fascismi e dei nazionalismi”.

I padri costituenti rovesciarono completamente i principi fondativi del regime. “Basta la definizione di 'Repubblica democratica' presente nel primo articolo della Costituzione. È l’esatto contrario rispetto alla deliberazione del Gran Consiglio del fascismo, l’8 ottobre del 1926: 'Gli ordinamenti e le gerarchie ricevono luce e norme dall’alto, dove c’è la visione completa dei compiti, delle funzioni e dei meriti'”.

Principi molto lontani dall’articolo tre della Costituzione, quello sull’eguaglianza. “È l’articolo che ribadisce pari dignità davanti alla legge ed esclude proprio quelle discriminazioni su cui era fondato il fascismo, a cominciare dal tema della 'razza'. Oggi prevale una visione edulcorata del fascismo per la quale Mussolini emanò le leggi razziali trascinato dalla politica criminale di Hitler; in realtà l’antisemitismo era presente già nello Statuto del partito nazionale fascista già nel 1934”.

Gli eredi del postfascismo condannano le leggi razziali, ma queste sembrano cadute dal cielo, non un atto connaturato alla natura stessa del regime. “L’antisemitismo è un elemento strutturale del fascismo, fondato sulla discriminazione delle minoranze condannate come un pericolo per la nazione”.

Come giudica l’uscita del ministro Lollobrigida sul pericolo della “sostituzione etnica”? “Appunto. Mi è sembrata un’affermazione grave. S’è giustificato dicendo che ignorava la provenienza politica e culturale di quella espressione. Era stata usata anche in precedenza, ma ciò non è un’attenuante. È un’aggravante. Dando per scontata la buona fede, il mio consiglio è: studiate. Studiate che cosa è stato il fascismo, cosa è stata la Resistenza, cosa è stata l’Assemblea Costituente”.

Sempre la Russa dice che la Costituzione è il frutto di una storia condivisa. “Una storia condivisa, certo, ma una storia condivisa tra antifascisti. In questa storia confluivano filoni diversi, liberali, azionisti, repubblicani, cattolici, socialisti e comunisti. Il Movimento Sociale, che è nel cuore del presidente del Senato, è rimasto fuori dal patto costituzionale. Non c’era”.

Perché questa classe politica di destra s’inceppa davanti alla parola “antifascista”? “Queste loro sortite risultano ambigue ai nostri occhi, ma chiarissime ai fascisti che ancora esistono e a una parte dell’opinione pubblica genericamente autoritaria: ammiccare al fascismo non fa dispiacere”.

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