"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 3 aprile 2023

Memoriae. 46 Ezio Mauro: «Il fascismo è l’offesa capitale della democrazia, e per questo va respinto».

                        Sopra. Teresa Vergalli, la partigiana Annuska.  

Ha scritto Ezio Mauro in “Il peccato originale” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, lunedì 3 di aprile 2023:

Dunque il giorno dopo La Russa fa marcia indietro nel giudizio su via Rasella e chiede scusa “a chi ha trovato motivi per sentirsi offeso”. È una tattica consolidata, che procede tra provocazione e dissimulazione. Si forzano i muri maestri del sistema, si saggia la loro resistenza, si misura la coscienza nazionale del limite, spostandola continuamente più in là. Se è ancora troppo presto, e il Paese reagisce al sacrilegio costituzionale, nessun problema: basta chiedere scusa, arretrare un poco, dare la colpa a un fraintendimento, a una semplice sbadatezza istituzionale: che sarà mai… L’importante è aprire ogni volta una crepa nel senso comune, nella responsabilità politica e nel discorso pubblico, e sempre nella stessa direzione: la neutralizzazione del fascismo storico, la delegittimazione dell’antifascismo come esperienza fondante della Repubblica, riconquista nazionale della democrazia e della libertà. Da qui, da questa crepa si ripartirà domani, con un nuovo azzardo costituzionale: intanto la faglia reazionaria lavora. Ma non è un problema di galateo, signor presidente del Senato: è una questione molto più seria, perché riguarda addirittura la concezione della democrazia. Fin qui, al nodo decisivo della democrazia, arriva infatti l’onda del rifiuto ostinato – o dell’incapacità – di dare un giudizio storico, morale e politico sulla natura del fascismo da parte della destra estrema che guida oggi l’Italia. Uscendo una buona volta dalla parzialità di un’analisi ridotta sempre e comunque a episodi isolati e a momenti specifici, in uno sminuzzamento della storia che nega una valutazione complessiva del ventennio, mentre consente di presentare le vicende criminali che si condannano come eccezioni e deviazioni dalla retta via mussoliniana, indenne e impregiudicata, sottratta pervicacemente a qualsiasi sentenza. Questa procedura è prima di tutto opportunistica, in quanto permette di evitare il dovere del rendiconto, indispensabile per ogni governance politica consapevole di dover rispondere ai cittadini anche dopo la vittoria elettorale, in una trasparenza costante sottoposta a una verifica permanente. Un rendiconto che diventa obbligatorio in particolare per una classe dirigente nuova, che viene dal buio dell’antisistema e deve spiegare il cammino compiuto e la direzione di marcia dall’eredità neofascista fino ad oggi. Ma in più, e in realtà, questa procedura è occultista: perché nasconde la responsabilità generale del fascismo che discende direttamente dalla sua natura violenta e totalitaria, dal suo autoritarismo e dalla pratica costante di sopraffazione della libertà. È stupefacente che persone con l’età di Giorgia Meloni, proiettate nel secolo nuovo con il carico delle lezioni della storia novecentesca, non percepiscano l’opportunità più ancora del dovere di prendere infine le distanze da quell’esperienza sciagurata dell’Italia, semplicemente in nome della democrazia. Non si tratta infatti di rimanere prigionieri del passato, di fronte all’urgenza dei problemi attuali del Paese, come ripetono gli intellettuali-enzimi impegnati duramente a sciogliere i nodi di ogni contraddizione prima ancora che arrivino sul tavolo di palazzo Chigi. Si tratta al contrario di parlare di oggi, svelando finalmente il fondo della cultura e del pensiero che muove questa destra radicale alla guida dell’Italia. Cinque mesi dopo la presa del potere grazie al libero voto dei cittadini, infatti, non si capisce ancora qual è e su cosa poggia la concezione della democrazia di Meloni e La Russa. Non basta dirsi conservatori, come se la parola fosse un abracadabra che spalanca le caverne spiegando e risolvendo da sola tutto, la fiamma, Almirante, l’agnosticismo sulla Marcia su Roma, la venerazione domestica del duce bronzeo. A un certo punto anche nella laica religione civile bisogna fare i conti con il peccato originale, sentire il dovere di misurarne la portata e il peso e finalmente discostarsene pubblicamente, usando l’unico criterio risolutivo, quello della democrazia, (…). Ora gli stessi colonnelli occupano gli scranni delle istituzioni e del governo, insensibili al dovere del giudizio come la presidente del Consiglio. E a questo punto la reticenza così insistita da mancanza diventa scelta, cioè atto politico, avvalorato dalla sostituzione consapevole dell’antifascismo con l’agnosticismo. Dunque per questa cultura politica permane ancora oggi qualcosa da salvare nel fascismo, se non riesce a separarsene con la libertà del giudizio. Anzi, il silenzio stesso si trasforma in giudizio di benevolenza, di eredità, di condiscendenza, di affinità. C’è nell’opinione pubblica una sorta di pudore democratico nel trovare un nome a questo atteggiamento politico che riduce a puro formalismo il rispetto per la Costituzione, e anche il giuramento di fedeltà: come se questa deriva della nuova ed eterna destra fosse impronunciabile prima ancora che incompatibile. Ma mentre l’opinione democratica tace, gli altri parlano e allargano la crepa democratica, sempre rifiutandosi di dire che il fascismo è l’offesa capitale della democrazia, e per questo va respinto. (…). Di seguito, le “memorie” di Teresa Vergalli – la partigiana “Annuska” – affidate a Simonetta Fiori, riportate in “Ora e sempre partigiana” e pubblicate sul quotidiano “la Repubblica” di oggi: «È un 25 aprile diverso dalle altre feste di Liberazione. L'attuale governo di destra non ha mai fatto i conti con il fascismo storico, la premier non riesce neppure a pronunciare la parola antifascisti, e il presidente del Senato non perde occasione per gettare ombre sulla Resistenza. Per me tutto questo è solo un grande dolore, una sofferenza sorda che oscura tutto il resto. Ma mi chiedo: cosa non abbiamo fatto abbastanza? (…). Non bisogna darla mai per scontata la democrazia. A me pare che i diritti siano sempre meno eguali per tutti. I più giovani condannati a precarietà e sfruttamento, le donne a disparità non ancora risolte, gli anziani a solitudine e povertà. E poi la scuola, la grande dimenticata: io ero figlia di contadini poveri e sono diventata maestra elementare, ma oggi chi crede più nella cultura? E chi ha fiducia nella storia?  (…). …credo sia necessario raccontarla un'altra volta. Perché questo nostro Paese non sa ancora che cosa è stato il fascismo. E che cosa è stata la Liberazione. Subito dopo la fine del conflitto, gli italiani hanno fatto finta di dimenticarsene. E noi partigiani di sinistra siamo stati costretti al silenzio, zitti e buoni, perché nell'Italia normalizzata i partigiani avevano fama di delinquenti. Neppure a scuola se ne poteva parlare, il 25 aprile era l'anniversario di Guglielmo Marconi, non la Festa della Liberazione. E poi l'onda nera è rimontata negli anni Novanta, quando gli ex fascisti sono arrivati al governo e molti hanno ricominciato a infangarci con la storia del Triangolo Rosso e dei delitti efferati". "Cosa mi aspetto ora per il 25 aprile? Non mi aspetto proprio niente. Magari la premier Meloni si inventerà qualche furbata, un'operazione di marketing politico, una corona di fiori, un discorso sulla guerra fratricida che parifica tutti, fascisti e antifascisti, saloini e resistenti, stragi nazifasciste e foibe. Ma certo, i partigiani non erano tutti stinchi di santo, errori sono stati commessi anche dalla nostra parte. Ma devo ricordare le parole del commissario Kim nel celebre libro di Italo Calvino Il sentiero dei nidi di ragno? Tutti sparavano con eguale furore. Ma a dividere gli uni dagli altri c'è "la storia": la storia, che dà un senso giusto alla furia degli uni; e ricaccia gli altri nell'oppressione e nella schiavitù. Ci sono state allora solo due scelte possibili: quella dalla parte della democrazia e quella dalla parte della dittatura e dell'oppressione nazista. Ma davvero è necessario ricordarlo? Nel dopoguerra tanti partigiani si sono tenuti il dolore dentro. Soprattutto le donne hanno raccontato poco delle violenze subìte dai fascisti e dai tedeschi. Neppure a casa potevano parlarne, i mariti preferivano non sapere. Perfino la mia amica Mimma s'è decisa a raccontarci del suo seno martoriato solo pochi anni fa, dopo quasi settant'anni di silenzio. E non ci ha voluto dire come i nazisti le avessero strappato il capezzolo. Ma di che ti vergogni?, la incoraggiavamo. Sono loro che dovrebbero umiliarsi. E lei muta d'una vergogna che non l'ha mai abbandonata. Dei nostri silenzi si è parlato poco. (…). Per le donne non è stato facile imporsi sulla cultura maschilista dei capi partigiani, che ci relegavano nei ruoli tradizionali codificati dal fascismo: lavori di casa, rammendo, cura. Qualcuna tra noi s'è ribellata al capo: hai le mani, impara a usarle! Ma tra uomini e donne non sempre era conflitto, nascevano anche grandi amori. Per porre fine alla promiscuità, un dirigente cattolico, il professor Marconi, decise di istituire un distaccamento femminile: le donne da una parte, i maschi dall'altra. Anche per noi la guerra partigiana ha rappresentato un passaggio importante, il primo momento di liberazione sentimentale e sessuale. Io ero molto giovane e bacchettona, e non capivo niente. C'era una ragazza di Parma che non tornava la sera, o tornava troppo tardi. E io mi lamentavo con Pasquino, il mio comandante: Tamara non si comporta bene, e poi dicono che siamo tutte poco di buono. Pasquino un giorno mi riprese: ma che ne sai tu? Ma se la Tamara fa un regalo a un partigiano che magari tra una settimana muore? Allora io annuivo: forse hai ragione tu. Non era facile neppure con i nostri uomini. La Laila era fidanzata con un operaio delle Officine Reggiane che le impose di scendere giù in pianura: altrimenti non sei degna di essere la madre dei miei figli, le disse. Ma lei rischiava l'arresto, così scelse di continuare la guerra partigiana in montagna. La storia finì e lei s'innamorò d'un compagno poi scomparso nella battaglia di Monte Caio: sarebbe stato ritrovato in fondo al crepaccio soltanto con la neve sciolta. Laila è l'unica delle mie amiche partigiane che non s'è mai sposata. Non me l'ha mai confidato, ma forse l'amore col partigiano è stato l'unico della sua vita. Vuoi sapere se ho mai sparato? No, tenevo una piccola rivoltella nel reggipetto ma non la sapevo usare. Pensavo che mi sarebbe servita a tirarmi un colpo in testa nel caso mi avessero catturato i nazifascisti. Avevo terrore della violenza fisica, ancor più della morte. Sì, molte donne usavano le armi. Ma tutte noi, armate o disarmate, facevamo guerra alla guerra. Combattevamo per avere la pace, questo era il senso della nostra battaglia. (…). Cosa vorrei dire per il 25 aprile al presidente del Senato La Russa, un ex fascista che si dichiara antiantifascista? Penso che le sue uscite non siano casuali. Penso che davvero voglia cambiare il patto della memoria con gli italiani, riabilitando ciò che non può essere riabilitato. Vorrei dirgli che le colpe di Mussolini non solo state solo le leggi razziali e l'accordo con il Führer, ma tutto quello che il regime ha fatto patire al popolo italiano. Presidente, si metta all'ascolto di chi ha sofferto a causa del fascismo. Testimonianze minute di chi ha avuto il padre al confino, soffrendo fame e povertà. O di chi ha visto il genitore morire sotto le bastonate delle camicie nere, come è capitato alla mia amica Mimma. Mio papà che era un antifascista non ha mai voluto raccontarci di essere stato pestato a sangue. Solo per la sua festa dei novant'anni accettò di rispondere a qualche nostra domanda. Perché è umiliante dover dire di essere stato accerchiato da tre persone, buttato a terra e massacrato finché il padrone non ha urlato: ora basta! La violenza è un'umiliazione che ti segna per tutta la vita. Ma io mi domando: in che cosa abbiamo sbagliato, per permettere che finisse in questo modo? Forse non abbiamo fatto abbastanza per educare le nuove generazioni. Non avrei mai pensato di vedere l'antifascismo calpestato, e ora di vedere una nuova guerra nel cuore dell'Europa. Quello che provo oggi è un dolore sommesso che è il sottofondo di tutti i miei pensieri. La democrazia è un equilibrio prezioso e delicato, che va maneggiato con cura. Non dovremmo dimenticarcelo mai».

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