“StoriedallaPasqua”. «(…). in Europa abbiamo perso il
valore della fraternità, valore generato dal cristianesimo e conquistato anche
a livello politico nella modernità. Siamo tutti fratelli perché tutti esseri
umani e come tali portatori di diritti che, nella loro stessa definizione, sono
quelli “dell’uomo”. Noi invece siamo giunti a considerarli tali solo per i
“cittadini”, escludendone gli “stranieri” come se non ne fossero degni. Sì,
quando la fraternità viene meno, cresce la paura dello straniero, dello
sconosciuto, del diverso: una paura che va presa sul serio ma che non va
alimentata per farne uno strumento di propaganda politica. (…). Certo, non
possiamo accogliere tutti, ma la solidarietà umana ci spinge a superare i
limiti delle nostre comodità e ad accogliere l’altro per quello che siamo
capaci, senza innalzare muri. Questa “emergenza” non è tale: è un fenomeno che
durerà a lungo ed è contenibile nei suoi effetti solo con uno sforzo di
solidarietà. La sua portata, del resto, è tale che mette in crisi ogni
tentativo di respingerlo con la forza. L’Europa sembra in piena confusione, non
più sicura dei suoi valori umanistici, delle sue lotte secolari per il
riconoscimento dei diritti di ogni essere umano, in qualsiasi situazione si
trovi. Ritrovare questi principi decisivi non è questione solo cristiana, è
innanzitutto umana e, proprio per questo, cristiana: l’accoglienza è una
responsabilità umana perché l’altro è uguale a me in dignità e diritti. (…). Il
Vangelo per molti sarà utopia irrealizzabile, ma non pone condizioni o limiti
al comandamento di servire affamati, assetati, stranieri, carcerati, ignudi,
ammalati… Parla invece di “farsi prossimo”, di andare incontro a chi è nel
bisogno, fino al paradosso di “amare i nemici”. Queste esigenze radicali poste
da Gesù possono dar fastidio a molti, ma chi professa di essere suo discepolo
non può fare a meno di sentirle come appelli ineludibili rivolti proprio a se
stesso. Il cristiano si saprà sempre inadeguato nel mettere in pratica queste
parole, sovente dovrà riconoscere che il proprio comportamento quotidiano le
contraddice, ma non potrà mai accettare che carità fraterna, solidarietà,
accoglienza siano variabili da sottomettere alle necessità della realpolitik. Così
un cristiano, di fronte al dramma di milioni di esseri umani vittime della
guerra, della fame, della violenza, della cecità anonima della finanza e del
mercato, della “politica” di potere, proverà vergogna per non riuscire a far
nulla nemmeno per quelle poche migliaia di disgraziati che giungono fino al suo
Paese, ma non potrà tacere e non gridare “vergogna” a chi chiude gli occhi di
fronte al proprio fratello in umanità che soffre e muore, tanto più se chi si
astiene dall’agire ha responsabilità, onori e oneri di governo. Sì, come ha
detto papa Francesco, «respingere gli immigrati è un atto di guerra!». Questo
non è un proclama politico: piaccia o meno, è un grido di umanità». Tratto
da “Un grido di umanità” di Enzo
Bianchi – fondatore e già priore della Comunità Monastica di Bose – pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 13 di agosto dell’anno 2015. Di seguito, “Simone di Cirene. L’immigrato scelto dal
potere per portare la croce” di Stefano Massini pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” del 7 di aprile 2023: Quel giorno Simone di Cirene passava di lì
per caso, di ritorno dai campi, e gli misero in spalla la croce. Di quest’uomo
non ci viene riferito di più, se non che era padre di altrimenti ignoti
Alessandro e Rufo. Ebbene, in ogni grande narrazione c’è sempre spazio per un
intruso, il personaggio che non c’entra assolutamente niente, e che si trova
travolto da un vortice come in un film di Hitchcock o dei fratelli Coen. Dalla
qual cosa discende che nel tempo questo evangelico Carneade, sebbene sublimato
a opinabile emblema di solidarietà (non fu costretto?), è divenuto piuttosto il
paradigma della roulette russa che da un attimo all’altro può riservarti il
proiettile risparmiato ad altri, e come la passante di Baudelaire regalava
un’ebbrezza vitale al poeta, così l’intercettare un’esistenza è sempre sinonimo
di incognita, nel bene e nel male. Sì, c’è sempre un rischio nell’accostarsi
agli altri, chiunque essi siano. Ed è indimenticabile quel frammento di Franz
Kafka (in Contemplazioni, 1913) in cui egli si pone come regola la neutralità
esistenziale: esattamente come una Svizzera incarnata, Franz impone a se stesso
di non farsi mai attrarre dalla calamita di chi ti passa accanto, fosse anche
un disperato debole e lacero che qualcuno in piena notte insegue gridando.
Sfiorare chi ti passa accanto significa senza dubbio esporsi a un contagio,
quel contagio che il Covid ha reso tangibile e clamoroso, obbligandoci a una
distanza di sicurezza che è un diaframma di protezione non solo biologica, ma
forse soprattutto emotiva, e vitale. Maledetto e vituperato, il virus ex-Wuhan
ci aveva permesso in fondo di legittimare una barriera interpersonale che
finalmente oggettivava l’individualismo radicale del nuovo millennio, e dunque
sotto sotto ben venga la mascherina dietro cui celarsi, ben venga lo smart
working dalla propria tana, ben vengano i 200 cm di separazione fra me e il
diverso da me, che poi è la miniatura delle frontiere chiuse, del mar Ionio
auspicabilmente in tempesta che dissuada i barconi e infine del mantra «perché
non restano a casa loro?» (tradotto: perché vengono a contagiarci con la loro
miseria?). Questo nostro Simone di Cirene, viceversa, fu eccome contagiato.
IlCalvario di un altro diventò il suo, lo infettò, lo invase, magari chissà se
lo traumatizzò, eventualità questa che oggi si è tramutata in un terrore
apocalittico, essendoci convinti di essere delle creature di cristallo in
perenne allerta, con sirena lampeggiante, vulnerabilissime, assetati di oracoli
da coach e psicologi online, appesi al filo di un equilibrio interiore sempre
sul punto di spezzarsi per plurime fobie assortite, e quindi «figuriamoci se ho
spazio anche per caricarmi la croce altrui». E a questo punto già mi immagino
la reazione spazientita di chi, leggendo questo ritratto, troverà inaudito
convogliare sul derelitto Simone l’eredità psicologica del Covid o addirittura
la nostra resistenza ad accogliere chi fugge dalla catastrofe siriana, afgana e
via geolocalizzando dal planisfero dell’orrore. Eppure, piaccia o no, mi corre
l’obbligo di rilevare un dettaglio che curiosamente non viene mai apprezzato,
ovvero che il malcapitato del Golgota era per l’appunto di Cirene, vale a dire
che si trattava a tutti gli effetti di un immigrato, un estraneo, uno che
proveniva dalla Cirenaica, attuale provincia di al-Jabal al-Akhdar, 1200 km da
Gerusalemme, in Libia. Dicono gli storici che egli con qualche probabilità era
un nordafricano o un egiziano grecizzato, come farebbe pensare il nome di suo
figlio, Alessandro (assolutamente insolito in Palestina). E qui, potremmo dire,
il cerchio si chiude. Perché fra le parole più eversive nella predicazione di
Cristo c’era stato quell’«ero straniero e non mi avete accolto» che suonava
inammissibile in una Giudea che in teoria farebbe impallidire Viktor Orbán: non
solo gli stranieri venivano sepolti fuori dalla città (il famoso Campo del
Vasaio comprato coi soldi del tradimento di Giuda), ma era addirittura proibito
dalla legge intrattenere rapporti con loro o varcarne la soglia (viene scritto
peraltro anche negli Atti degli Apostoli, 10:28). Sul Calvario, però, guarda
caso, la croce che il condannato (reduce da tortura e flagellazione) non riesce
più a portare, viene caricata dai soldati sulle spalle non di uno qualsiasi, ma
di un ennesimo «ero straniero e non mi avete accolto». Sì, direi che questa
scena possiamo meglio immaginarcela come la girerebbe Quentin Tarantino: c’è
una folla che reclama il sangue, ci sono dei secondini professionisti nel
pestaggio, c’è un profeta trentenne con il viso tumefatto sotto una corona di
cocci di bottiglia, piegato sotto una croce di tubi di ferro saldato. Quando
questo inizia a barcollare, nelle risate generali, qualche genio afferra dalle
retrovie l’ispanico o il black di passaggio e il gioco è fatto, per la gioia
del Ku Klux Klan che filma volentieri in super8.
Grazie per questo post eccezionale e autenticamente toccante, direi terapeutico, perché aiuta a guarire dall'individualismo dilagante e dalla paura di essere contagiati, anche se solo sfiorati dalla sofferenza... È difficile uscire da se stessi, ma è inevitabile per chi è dotato di un briciolo di sensibilità! È a Questa Rinascita che dovremmo tutti mirare. È Questa la Vera Pasqua da vivere! Grazie ancora e buona continuazione.
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