"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 9 aprile 2023

Dell’essere. 78 Stefano Massini: “Le parole più eversive nella predicazione di Cristo quell’«ero straniero e non mi avete accolto»”.


StoriedallaPasqua”. «(…). in Europa abbiamo perso il valore della fraternità, valore generato dal cristianesimo e conquistato anche a livello politico nella modernità. Siamo tutti fratelli perché tutti esseri umani e come tali portatori di diritti che, nella loro stessa definizione, sono quelli “dell’uomo”. Noi invece siamo giunti a considerarli tali solo per i “cittadini”, escludendone gli “stranieri” come se non ne fossero degni. Sì, quando la fraternità viene meno, cresce la paura dello straniero, dello sconosciuto, del diverso: una paura che va presa sul serio ma che non va alimentata per farne uno strumento di propaganda politica. (…). Certo, non possiamo accogliere tutti, ma la solidarietà umana ci spinge a superare i limiti delle nostre comodità e ad accogliere l’altro per quello che siamo capaci, senza innalzare muri. Questa “emergenza” non è tale: è un fenomeno che durerà a lungo ed è contenibile nei suoi effetti solo con uno sforzo di solidarietà. La sua portata, del resto, è tale che mette in crisi ogni tentativo di respingerlo con la forza. L’Europa sembra in piena confusione, non più sicura dei suoi valori umanistici, delle sue lotte secolari per il riconoscimento dei diritti di ogni essere umano, in qualsiasi situazione si trovi. Ritrovare questi principi decisivi non è questione solo cristiana, è innanzitutto umana e, proprio per questo, cristiana: l’accoglienza è una responsabilità umana perché l’altro è uguale a me in dignità e diritti. (…). Il Vangelo per molti sarà utopia irrealizzabile, ma non pone condizioni o limiti al comandamento di servire affamati, assetati, stranieri, carcerati, ignudi, ammalati… Parla invece di “farsi prossimo”, di andare incontro a chi è nel bisogno, fino al paradosso di “amare i nemici”. Queste esigenze radicali poste da Gesù possono dar fastidio a molti, ma chi professa di essere suo discepolo non può fare a meno di sentirle come appelli ineludibili rivolti proprio a se stesso. Il cristiano si saprà sempre inadeguato nel mettere in pratica queste parole, sovente dovrà riconoscere che il proprio comportamento quotidiano le contraddice, ma non potrà mai accettare che carità fraterna, solidarietà, accoglienza siano variabili da sottomettere alle necessità della realpolitik. Così un cristiano, di fronte al dramma di milioni di esseri umani vittime della guerra, della fame, della violenza, della cecità anonima della finanza e del mercato, della “politica” di potere, proverà vergogna per non riuscire a far nulla nemmeno per quelle poche migliaia di disgraziati che giungono fino al suo Paese, ma non potrà tacere e non gridare “vergogna” a chi chiude gli occhi di fronte al proprio fratello in umanità che soffre e muore, tanto più se chi si astiene dall’agire ha responsabilità, onori e oneri di governo. Sì, come ha detto papa Francesco, «respingere gli immigrati è un atto di guerra!». Questo non è un proclama politico: piaccia o meno, è un grido di umanità». Tratto da “Un grido di umanità” di Enzo Bianchi – fondatore e già priore della Comunità Monastica di Bose – pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 13 di agosto dell’anno 2015. Di seguito, “Simone di Cirene. L’immigrato scelto dal potere per portare la croce” di Stefano Massini pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 7 di aprile 2023: Quel giorno Simone di Cirene passava di lì per caso, di ritorno dai campi, e gli misero in spalla la croce. Di quest’uomo non ci viene riferito di più, se non che era padre di altrimenti ignoti Alessandro e Rufo. Ebbene, in ogni grande narrazione c’è sempre spazio per un intruso, il personaggio che non c’entra assolutamente niente, e che si trova travolto da un vortice come in un film di Hitchcock o dei fratelli Coen. Dalla qual cosa discende che nel tempo questo evangelico Carneade, sebbene sublimato a opinabile emblema di solidarietà (non fu costretto?), è divenuto piuttosto il paradigma della roulette russa che da un attimo all’altro può riservarti il proiettile risparmiato ad altri, e come la passante di Baudelaire regalava un’ebbrezza vitale al poeta, così l’intercettare un’esistenza è sempre sinonimo di incognita, nel bene e nel male. Sì, c’è sempre un rischio nell’accostarsi agli altri, chiunque essi siano. Ed è indimenticabile quel frammento di Franz Kafka (in Contemplazioni, 1913) in cui egli si pone come regola la neutralità esistenziale: esattamente come una Svizzera incarnata, Franz impone a se stesso di non farsi mai attrarre dalla calamita di chi ti passa accanto, fosse anche un disperato debole e lacero che qualcuno in piena notte insegue gridando. Sfiorare chi ti passa accanto significa senza dubbio esporsi a un contagio, quel contagio che il Covid ha reso tangibile e clamoroso, obbligandoci a una distanza di sicurezza che è un diaframma di protezione non solo biologica, ma forse soprattutto emotiva, e vitale. Maledetto e vituperato, il virus ex-Wuhan ci aveva permesso in fondo di legittimare una barriera interpersonale che finalmente oggettivava l’individualismo radicale del nuovo millennio, e dunque sotto sotto ben venga la mascherina dietro cui celarsi, ben venga lo smart working dalla propria tana, ben vengano i 200 cm di separazione fra me e il diverso da me, che poi è la miniatura delle frontiere chiuse, del mar Ionio auspicabilmente in tempesta che dissuada i barconi e infine del mantra «perché non restano a casa loro?» (tradotto: perché vengono a contagiarci con la loro miseria?). Questo nostro Simone di Cirene, viceversa, fu eccome contagiato. IlCalvario di un altro diventò il suo, lo infettò, lo invase, magari chissà se lo traumatizzò, eventualità questa che oggi si è tramutata in un terrore apocalittico, essendoci convinti di essere delle creature di cristallo in perenne allerta, con sirena lampeggiante, vulnerabilissime, assetati di oracoli da coach e psicologi online, appesi al filo di un equilibrio interiore sempre sul punto di spezzarsi per plurime fobie assortite, e quindi «figuriamoci se ho spazio anche per caricarmi la croce altrui». E a questo punto già mi immagino la reazione spazientita di chi, leggendo questo ritratto, troverà inaudito convogliare sul derelitto Simone l’eredità psicologica del Covid o addirittura la nostra resistenza ad accogliere chi fugge dalla catastrofe siriana, afgana e via geolocalizzando dal planisfero dell’orrore. Eppure, piaccia o no, mi corre l’obbligo di rilevare un dettaglio che curiosamente non viene mai apprezzato, ovvero che il malcapitato del Golgota era per l’appunto di Cirene, vale a dire che si trattava a tutti gli effetti di un immigrato, un estraneo, uno che proveniva dalla Cirenaica, attuale provincia di al-Jabal al-Akhdar, 1200 km da Gerusalemme, in Libia. Dicono gli storici che egli con qualche probabilità era un nordafricano o un egiziano grecizzato, come farebbe pensare il nome di suo figlio, Alessandro (assolutamente insolito in Palestina). E qui, potremmo dire, il cerchio si chiude. Perché fra le parole più eversive nella predicazione di Cristo c’era stato quell’«ero straniero e non mi avete accolto» che suonava inammissibile in una Giudea che in teoria farebbe impallidire Viktor Orbán: non solo gli stranieri venivano sepolti fuori dalla città (il famoso Campo del Vasaio comprato coi soldi del tradimento di Giuda), ma era addirittura proibito dalla legge intrattenere rapporti con loro o varcarne la soglia (viene scritto peraltro anche negli Atti degli Apostoli, 10:28). Sul Calvario, però, guarda caso, la croce che il condannato (reduce da tortura e flagellazione) non riesce più a portare, viene caricata dai soldati sulle spalle non di uno qualsiasi, ma di un ennesimo «ero straniero e non mi avete accolto». Sì, direi che questa scena possiamo meglio immaginarcela come la girerebbe Quentin Tarantino: c’è una folla che reclama il sangue, ci sono dei secondini professionisti nel pestaggio, c’è un profeta trentenne con il viso tumefatto sotto una corona di cocci di bottiglia, piegato sotto una croce di tubi di ferro saldato. Quando questo inizia a barcollare, nelle risate generali, qualche genio afferra dalle retrovie l’ispanico o il black di passaggio e il gioco è fatto, per la gioia del Ku Klux Klan che filma volentieri in super8.

1 commento:

  1. Grazie per questo post eccezionale e autenticamente toccante, direi terapeutico, perché aiuta a guarire dall'individualismo dilagante e dalla paura di essere contagiati, anche se solo sfiorati dalla sofferenza... È difficile uscire da se stessi, ma è inevitabile per chi è dotato di un briciolo di sensibilità! È a Questa Rinascita che dovremmo tutti mirare. È Questa la Vera Pasqua da vivere! Grazie ancora e buona continuazione.

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