"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 7 aprile 2023

Dell’essere. 76 Stefano Massini: «Pagarono alcuni per dire che i suoi discepoli avevano trafugato loro il corpo». Nessuna sorpresa, in fondo, la verità è pure lei merce.

Sopra. Guido Di Pietro detto "Il Beato Angelico". "Volto di Cristo coronato di spine" (1445-50). Duomo di Livorno.

Ha scritto Tomaso Montanari – storico dell’Arte, rettore della “Università per gli Stranieri” di Siena - in “L’oro e il sangue” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” in edicola da oggi, venerdì – giorno della “Passione” di quell’Uomo di Nazareth – 7 di aprile 2023: «Ecco l'uomo!»  (Giovanni 19, 5).  Flagellato, coronato di spine, rivestito per scherno di porpora: è così che Ponzio Pilato mostra Cristo alla folla. Ecco quell'uomo: ecco la viva icona di ogni uomo torturato dal potere. In questa tavola fuori contesto, forse finita a Livorno in seguito ai saccheggi napoleonici in Vaticano, il pennello mistico del Beato Angelico sale a un registro inconsueto. Forse spinto dalla visione della Veronica (l'immagine del volto di Cristo miracolosamente impressasi sul fazzoletto con cui Veronica lo asciugò durante l'ascesa al Calvario, conservata in San Pietro), dalla lettura delle meditazioni del suo confratello domenicano Antonino Pierozzi (che esortava a immaginarsi la «faccia» del Cristo della passione, con gli «occhi pieni di lacrime e di sangue»), dalle visioni mistiche di Brigida di Svezia (che pure diceva di aver visto quegli occhi rossi di sangue) e certo conoscendo, in originale o in copia, uno dei volti di Cristo del grande fiammingo Jan Van Eyck, Angelico dipinge un'immagine sconvolgente. Il nitore di smalto del colore, la ricercata preziosità della veste, la consistenza materiale di quell'aureola da orafo, la cesellatura di ogni ciocca della chioma: tutto questo splendore è funzionale ad aumentare l'impressione drammatica di una inaudita maschera di sofferenza. La passione di Cristo, ci dice l'angelico pittore, riguardò un corpo fin troppo concreto: fu un massacro. E se certo quel sangue cola per gli aghi della corona piantati fino al cervello, aveva scritto Antonino - vedendolo è impossibile non pensare alla pagina del Vangelo che racconta quel che era successo la notte prima, dopo l'ultima cena: «Giunto sul luogo [del Getsemani], disse loro: "Pregate di non entrare in tentazione". Egli si separò da loro circa un tiro di sasso e postosi in ginocchio pregava, dicendo: "Padre, se tu vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta". Un angelo gli apparve dal cielo per rafforzarlo. Ed essendo in agonia, egli pregava ancora più intensamente e il suo sudore divenne come grosse gocce di sangue, che cadevano a terra» (Luca, 22, 40-44). È lì che inizia la passione. L’agonia: cioè la lotta. Non solo contro l'umanissima paura di morire, ma contro il cumulo dei peccati di ogni uomo di ogni tempo, che Cristo in quel momento vede uno per uno, mentre se li carica in spalla. E non si può non pensare che a fargli sudare sangue dovette essere più di ogni altra cosa la visione simultanea delle atrocità che sarebbero state perpetrate in suo nome - per secoli e secoli, fino a noi - da chi si sarebbe detto cristiano: nel più terribile dei tradimenti. Di seguito, “Giuda. Vendere o tradire è sempre questione di soldi” di Stefano Massini pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri giovedì 6 di aprile: (…). …a ben guardare, neanche fosse critto da Mamet o da Scott Fitzgerald, l'epilogo dei Vangeli è tutto una schifosissima faccenda di denaro. Sembra di stare in una serie tv, in una Suburra, in una Gomorra palestinese dove i mazzi di banconote scandiscono il plot, benvenuti in questa Gerusalemme/Gotham City dove si fanno affari perfino dentro il Tempio, e la sarabanda non per nulla comincia proprio quando il profeta di Nazareth infuriato osa cacciare fuori i mercanti (è peraltro lo stesso che i farisei avevano cercato di cogliere in fallo proprio su una moneta romana con l'effige di Cesare). Là, come qui e ora, con il denaro si compravano oggetti e ci si illudeva di aggiudicarsi un accesso h24 alla bellezza, con il denaro si trascendeva il confine della creatura e ci si elevava a creatori, plasmando la realtà intorno a sé a proprio piacimento, ivi compreso il paesaggio umano, di cui si poteva acquistare all'occorrenza la complicità di un alleato, il silenzio di una pornostar, l'oblio di una frode, tutto in un deserto di squallore reciproco che in effetti - (…) - non dovrà mai sottostare a implicazioni emotive. È quanto di più simile all'inferno si possa concepire, perché è il massimo grado di di-stanza fra l'uomo e il suo sentire, l'afelio della nostra rotazione interiore, per cui non sorprende che fra i pagani Pluto dio della ricchezza si sia a lungo confuso e infine sovrapposto a Plutone dio degli inferi. Ed eccoci a Giuda, il traditore. O meglio dovremmo dire il venditore. Quei famosi 30 denari furono il prezzo con cui il discepolo patteggiò la consegna del maestro, e ancora una volta ci sembra di vedere la scena traslitterata in un film di Scorsese, con il venale Jude che in controluce, dentro qualche nightclub, con la sigaretta in bocca, contando banconote, sussurra «lo riconoscerete perché gli darò un bacio». E il contributo narrativo del personaggio potrebbe anche concludersi qui, sul primo piano di quel bacio che vale un Oscar alla Sceneggiatura. Invece no. Invece c’è un seguito, fondamentale: Giuda, (…), commette l'errore madornale non confinare i soldi nel portafogli, ma li fa evidentemente passare dal cuore, si pone qualche domanda, non riesce ad applicare il supremo dogma del cinismo. E lì il ragazzo crolla, tanto che restituisce i fottuti 30.000 dollari e si impicca a un lampione sull'East River. Mi ricorda quel piccolo libro prezioso che von Chamisso dedicò a Peter Schlemihl, il poveraccio di cui Satana si aggiudicò l'ombra in cambio di una borsa magica da cui sarebbe uscito oro a fiumi, in un tripudio di ricchezza che non solo non lo rende felice, ma lo precipita nella disperazione. Ed anche Schlemihl, proprio come Giuda (e come il re Mida della leggenda), si deve liberare della borsa che lo sta trascinando a fondo. In questo senso la parabola di Giuda suona potentissima a noi del Terzo Millennio, per cui la classifica degli straricchi di Forbes è un catalogo di modelli esistenziali, siamo pronti a votare in massa per il Rockefeller di turno, e i più giovani crescono ascoltando musica trap la cui triade è soldi-sesso-sballo e le catene d'oro massiccio proliferano al collo dei rapsodi fino dalla copertina di quel famoso LP di Eric B & Rakim, datata 1987. Poi accade di stupirsi se la curva dei suicidi salga, nell'innumerevole mattanza dei Giuda che per 30 denari venderebbero chiunque senza avvedersi che vendono se stessi, ma è il prezzo silente di questo sistema scandito sul plutometro, con le banche che saltano in aria in Borsa come petardi perché perfino per loro il torneo è insostenibile. Basta, siamo all'epilogo di questo fìlm sull'Iscariota che si avvelenò con l'arsenico del denaro. E mentre il suo corpo penzola impiccato, c'è posto ancora per un paio dì fotogrammi spietati sulla tirannia dei soldi: il primo è quello dei soldati che si giocano un poker sugli abiti dei crocifissi, il secondo è nientemeno che il finale prima dei titoli di coda, quando ai piani alti si decide di insabbiare la resurrezione di Gesù con una fake news («pagarono alcuni per dire che i suoi discepoli avevano trafugato loro il corpo»). Nessuna sorpresa, in fondo, la verità è pure lei merce.

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