"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 19 aprile 2023

Memoriae. 49 Giovanni (Nanni Moretti): «Nella vita due o tre princìpi bisogna averli».

LaMagiadelCinema”. Da domani “Il sol dell’avvenir” di Nanni Moretti sarà nelle sale cinematografiche d’Italia. Ha scritto Alberto Crespi in “Ecce Nanni! Politica e amore nel film-sogno che vale una vita” di Alberto Crespi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, mercoledì 19 di aprile 2023: Il sole dell'avvenire, (…), ha un difetto: dura solo 95 minuti, e se ne vorrebbe di più. Perché non è solo "un film di Nanni Moretti". È "il cinema di Nanni Moretti"· C'è una bella differenza. (…). …il film, che pure è percorso da rimpianti per il passato, paure del presente e pulsioni autodistruttive, si chiude con una festa di adorabile leggerezza, e con Nanni che nell'ultima inquadratura fa "ciao" con la mano, e non sembra davvero un addio, semmai un arrivederci a presto. Perché come dice il suo alter-ego Giovanni nel film, "non va bene che faccio un film ogni cinque anni, qui bisogna accelerare, bisogna stringere". Giovanni (Nanni Moretti) è un regista. (…). Moretti utilizza lo strumento narrativo del film nel film: Giovanni sta girando una pellicola ambientata nel '56, dove Ennio (Silvio Orlando) e Vera (Barbara Bobulova) sono due coniugi militanti del Pci che hanno invitato a Roma dall'Ungheria il Circo Budavari (nota per i morettiani: sì, Budavari era il giocatore di pallanuoto magiaro che terrorizzava Michele in Palombella rossa). Il circo arriva proprio nei giorni in cui i carrarmati sovietici entrano a Budapest: Ennio, redattore dell'Unità, si attiene alle indicazioni del partito; Vera, assieme agli ospiti ungheresi, si schiera con gli insorti. La trama del film prevede che Ennio, alla fine, si suicidi - e Silvio Orlando non vede l'ora: "Ho sempre sognato un personaggio che alla fine s'impicca!". Nel frattempo, Giovanni e sua moglie Paola (Margherita Buy), anche produttrice, sono in crisi. O meglio: è in crisi lei, che va in analisi senza dirlo a nessuno. Lui pensa solo al film e a se stesso. Lei spera che cambi, ma lui la disillude: "Nella vita nessuno cambia veramente, succede solo nei film". La crisi della coppia diventa la crisi del film: il co-produttore francese (Mathieu Amalric) si rivela inaffidabile, finiscono i soldi, una riunione con Neflix è un mezzo disastro. Secondo gli esperti della piattaforma manca la scena "what the fuck!", quella che fa esclamare "oh cazzo!" agli spettatori. Subentrano dei co-pro-duttori coreani che apprezzano gli aspetti più deprimenti: "Che bello, è un film sulla fine della coppia, sulla fine del comunismo, sulla fine del cinema, sulla fine di tutto!". Intanto Giovanni coltiva in segreto due sogni: un film da Il nuotatore di John Cheever (e nessuno gli dice che l'ha già fatto Burt Lancaster nel '68) e soprattutto un film d'amore costruito solo su canzoni italiane. Questo terzo film nel film comincia a visualizzarsi: due ragazzi si baciano sul finale di La dolce vita mentre in colonna sonora infuria Lontano lontano di Tenco, e Moretti compare a "dar loro" le battute manco fosse Bogart in Provaci ancora Sam. Ma poi succede un miracolo. Si gira la scena in cui Vera restituisce a Ennio la tessera del Pci, Giovanni dice "azione!" ...e guai se andassimo avanti, ma è questa la scena "what the fuck!", in cui sullo schermo esplode Voglio vederti danzare di Battiato e Giovanni/Nanni decide che il finale va cambiato, che il Pci deve ribellarsi all'Unione Sovietica con qualche decennio di anticipo, che i quattro elefanti del circo Budavari (due francesi e due tedeschi, sempre in lite - gli elefanti! - alla faccia dell'Europa unita) devono far pace... "La storia non si fa con i 'se'. E chi l'ha detto?". Il sol dell'avvenire si apre e si chiude con due omaggi a Fellini, il primo da Intervista e il secondo da 8½, e forse è davvero il film "felliniano" di Nanni Moretti. È un film di straordinaria libertà narrativa, costruito su associazioni libere come Palombella rossa, e come Palombella rossa è anche - non solo - una riflessione sulla militanza e su come la politica influenzi la vita delle persone. "Chi se ne frega della politica, questo è un film d'amore!", dice Barbara Bobulova, e ha ragione: è un film sull'amore di Moretti per il cinema e per il suo cinema, per il suo universo di personaggi, di piccole nevrosi e di grandi pensieri, quindi su di noi. E un film su quello che abbiamo perduto e dimenticato, e su ciò che dovremmo ritrovare e ricordare al cinema e nelle nostre vite. Perché alla fin fine, chi se ne frega se un film di Netflix viene visto in 190 Paesi: come dice Giovanni, "nella vita due o tre princìpi bisogna averli", e lui li ha. Di seguito, “opinioni e memorie” di Nanni Moretti raccolte nella intervista – “Non buttatela in politica” – di Michele Serra pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 14 di aprile ultimo: (…). "Quando scrivo un film, quando lo giro e lo monto, come destinazione e pubblico ideale penso solo alla sala cinematografica", (…). "Se cominci a chiederti che cosa può pensare il pubblico del tuo film ti blocchi, non riesci a seguire l'ispirazione, ti distrai, tradisci il tuo desiderio. Certo, dopo il percorso dentro le sale il film probabilmente andrà nelle piattaforme, e dunque andrà ovunque. Ma non possono chiedermi di pensare al tredicenne in Pennsylvania che andando in metropolitana guarda film sul suo cellulare. Non faccio cinema per questo... Il cinema lo faccio per me, certo che lo faccio per me". (…). "Poi ovviamente mi auguro che il mio film trovi il suo pubblico, ma il bello è che è impossibile sapere prima che cosa accadrà. Il pubblico è più trasversale di quanto si possa pensare, più sorprendente. Tanti film, teoricamente commerciali, alla prova dei fatti non lo sono per niente, e vale anche il contrario: l'enorme successo delle Otto montagne è stato una sorpresa per i due registi e per chi l'ha prodotto. Ma non è successo lo stesso per il film iraniano Gli orsi non esistono, bellissimo, con il regista Jafar Panahi in carcere. Peccato, fino a pochi anni fa avrebbe avuto molti spettatori in più. Io ho un cinema, so bene quanto il pubblico si stia riducendo, si andava al cinema una o due volte a settimana, ora poche volte all'anno, è una situazione nuova, pesante. Ma io continuo a far finta di niente, come se non ci fosse nessuna crisi. Pensando un film non mi lascio condizionare, lo faccio come voglio io. Non voglio farmi disturbare". (…). "Mi identifico totalmente nel protagonista del mio film, Giovanni, quando dice quella frase, vi metterete a piangere quando capirete cosa avete combinato. È proprio una mia frase". (…). "Ho rivisto molto Fellini durante il lockdown. Ero felliniano già cinquant'anni fa, i due partiti erano Fellini e Antonioni. Mi sono ritrovato felliniano anche cinquant'anni dopo". "Sono stato un trotskista non dogmatico, stavo in un gruppo attorno alla rivista Soviet, con Paolo Flores d'Arcais. Nei cortei, all'epoca, c'era spesso il ritrattone di Stalin, io nel film ci ho messo quello di Trotsky, per la serie: se avesse vinto lui... Spesso mi sono chiesto, molto ingenuamente, perché nel '56 il Pci non prese posizione contro i carri armati sovietici. Un giorno, nel 2010, filmando tutto, intervistai Pietro Ingrao. E glielo chiesi. Lui mi rispose, guardandomi negli occhi: non era possibile". "La storia non si fa con i se è una frase alla quale ho pensato spesso, soprattutto quando Rifondazione fece cadere Prodi, all'epoca molto popolare. L'Ulivo ebbe paura e non volle andare ad elezioni anticipate, che avrebbe comunque vinto anche senza Rifondazione. Questo Paese sarebbe stato diverso".

Al cinema invece i "se" possono vincere. Addirittura trionfare, generando quel turning point che piace tanto ai manager di Netflix. Giovanni cambia il finale del suo film, doveva essere mortale, lo fa diventare vitale... L'arte conta più della politica? "Se dentro l'arte c'è autenticità ed energia, può contare molto".

Hai scritto il film con tre donne, Francesca Marciano, Federica Pontremoli, Valia Santella. Come avete lavorato? "Insieme. Senza dividerci i compiti. Si parla tutti insieme, poi si comincia a scrivere. È un gran bel viaggio, professionale e umano. Da solo ho scritto parecchi dei miei film, Io sono un autarchico, Ecce Bombo, Sogni d'oro, Palombella rossa, Caro diario e Aprile. Ora non mi piace più scrivere da solo. Qui ho lavorato con tre sceneggiatrici, più giovani di me ma pressappoco della mia generazione, perché è sì un film personale, nello stile e nei toni, come sempre i miei film, ma non l'avrei potuto scrivere con un trentenne".

A proposito di generazione: ti senti reazionario, rispetto ai tempi? "Non mi sembra... (…) sto facendo una panoramica interna... Scettico sì, quello sempre. Anche da giovane. Cinico mai. Reazionario nemmeno. Mi sento dell'altro secolo, questo sì. Ma è un dato di fatto, non ci si compiange e non ce se ne compiace".

Magari si perde qualcosa di importante. Per esempio: segui i siti, i blog, i nuovi media? "Non ho questo tipo di ansia, a questa età uno ha un'altra considerazione del proprio tempo. Magari quarant'anni fa andavo a vedere certi film apposta per indignarmi, ora i film che già so che non mi piaceranno non li vedo. Quando davanti a te non hai una vita intera, diventi per necessità più selettivo. E comunque le cose che cambiano ci sono ugualmente. Per me, per esempio, un vero cambiamento dell'ultimo anno e mezzo è stato il teatro. Prima ci andavo per dovere, invitato da amici attori e registi, e spesso era un supplizio. Ora ci vado volentieri, ci vado apposta, sono diventato uno spettatore appassionato come ai tempi di Carlo Cecchi e del Gruppo della Rocca. Mi è piaciuto molto Tavola tavola, chiodo chiodo, con Lino Musella. Moltissimo una strepitosa Opera da tre soldi del Berliner Ensemble. E a ottobre esordirò come regista di teatro, due pezzi di Natalia Ginzburg, Fragola e panna e Dialogo, una lingua molto moderna, mai autocompiaciuta".

Dunque ti vedi operoso, da vecchio. "Diciamo fattivo. Ho voglia di lavorare, quello sì. La mia regia teatrale mi coinvolge molto, e anche il mio lavoro con la sala (cinema Nuovo Sacher) mi impegna. Funzionano ancora gli eventi, è la programmazione normale che fatica. Presto produrrò il film d'esordio di una giovane regista. Mi occupo del cinema degli altri e non l'ho mai fatto per dovere, o perché mi sentivo investito da una missione. Lo faccio per piacere, lo considero complementare al mio lavoro di regista. E spero senza i pericoli dei registi che diventano produttori: primo, non produco sottogeneri morettiani; secondo non produco film mediocri soltanto per constatare che purtroppo non ci sono nuovi registi e dunque esistiamo solo noi; terzo non faccio esordire giovani al solo scopo di torturarli. Collaboro ai film che produco con suggerimenti non da produttore o regista, ma da semplice spettatore. Tra gli esordienti l'anno scorso mi sono piaciuti molto Californie, di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, visto quasi da nessuno. E Piccolo corpo, di Laura Samani, ambientato in Carnia".

I critici, la critica: una volta servivano, anche se poteva essere doloroso, per un autore, leggere le recensioni. "I critici potevano condizionare, nel bene e nel male, il cammino di un film. Ricordo l'importanza che poteva avere una recensione di Kezich su Repubblica. Ora so che ci sono i blog che si occupano di cinema, sicuramente mi perdo qualcosa ma riesco a campare senza. Senza vantarmene, ma senza nemmeno vergognarmene, compro ancora il giornale, e leggo quello. (…)".

(…): Schlein? "Ho votato per lei, contro il luogo comune sbagliato che fosse 'troppo di sinistra'. Senza ricordare che dieci - quindici anni fa tanti amministratori sono stati eletti essendo a sinistra del Pd, Doria a Genova, Pisapia a Milano, Vendola in Puglia, Zedda a Cagliari. Incredibile come alle volte quella che viene chiamata narrazione non si deposita nella memoria. Eppure è successo pochi anni fa. Devi essere credibile, tanti elettori del Pd, tra cui io, hanno avuto per anni tanta pazienza e ora si sentono un poco meno lontani da chi dovrebbe rappresentarli".

Questo governo? "Avevo un pregiudizio. Ora il giudizio è peggiore del pregiudizio".

Fai ancora sport? "Pilates e tennis. Ma sono turbato: quando perdo a tennis, sono meno dispiaciuto di un tempo. Una preoccupante deriva non agonistica".

Nessun commento:

Posta un commento