Ha scritto Umberto Galimberti in “L’uomo e la terra da salvaguardare” pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 12 di marzo dell’anno 2022:
Da quando il mercato è diventato
la forma dell'economia mondiale, la politica temo non sia in grado di
contrastare questo paradigma, anche perché oggi non è più il luogo della
decisione, visto che per decidere guarda l'economia e così cade in braccio al
sistema (capitalistico) che vorrebbe limitare e contenere. A questo punto non
resta che affidarsi al capitalismo che non rifiuta questa consegna, a condizione
che anche la tutela della natura produca profitto. Non credo che si possa
cambiare questo paradigma perché sia la politica sia l'economia (a cui
aggiungerei anche la tradizione giudaico-cristiana. Si legga Genesi e la
consegna che Dio dà ad Adamo di «dominare» la terra) ritengono che l'uomo sia
al vertice del creato e perciò autorizzato a trattare la terra non come sua
abitazione, ma come "materia prima" da usare fino alla sua usura. Con
la mente l'uomo può spaziare fino ai confini dell'universo, può andare sulla
Luna e domani magari anche su Marte, ma c'è il suo corpo a ricordargli i
vincoli fisici che lo legano a quella sfera che è la terra, avvolta da quella
fragile pellicola che è la biosfera, a cui si deve la generazione dell'aria, la
purificazione dell'acqua, la conservazione del suolo da cui dipende interamente
la vita dell'uomo. Senza dimenticare, come ci ricorda Edward Wilson, che
l'umanità, con il suo potere distruttivo, «è la prima specie, nella storia
della vita, a diventare una forza geofisica». Alterando l'atmosfera e
l'equilibrio climatico, immettendo nell'aria, nell'acqua e nel suolo una
quantità incalcolabile di composti chimici e di rifiuti tossici, inquinando
fiumi e mari, l'uomo minaccia a tal punto l'ecosistema da renderne irreversibili
gli effetti. Senza considerare che da quando la specie umana si è adattata alla
vita sulla terra, l'uomo può vivere solo qui e da nessun'altra parte. Occorre
quindi passare dalla cultura dell'antropocentrismo ché pensa l'uomo al vertice
del creato e per ciò stesso arbitro della natura, alla cultura del biocentrismo
(da bios; termine greco che vuol dire vita), perché la vita non appartiene
all'uomo, ma alla natura che preesisteva alla comparsa dell'uomo e potrebbe
continuare ad esistere anche dopo la sua scomparsa. Questa concezione era nota
agli antichi Greci per i quali il massimo pericolo era nella tracotanza
(hybris) dell'uomo che oltrepassa il suo limite. Un pericolo ben segnalato da
Sofocle che nell'Antigone scrive: "Molte sono le cose inquietanti
(deina'), a nessuna è più inquietante dell'uomo (deinotéros)". (…). Di seguito, lettera del Capo tribù Seattle
– anno 1855 – in risposta alla proposta degli Stati Uniti d’America di
acquistare la terra indigena (Testo custodito dallo UNEP “Programma delle
Nazioni Unite per l’Ambiente”): Come potete comperare o vendere il cielo, il
tepore del suolo? L’idea non ha senso per noi. Se non possediamo la freschezza
dell’aria o lo scintillio dell’acqua, come voi potete volerli comperare? Ogni
parte di questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni foglia di abete, ogni
riva sabbiosa, la foschia dei boschi ombrosi, lo splendente e ronzante insetto,
tutto è sacro nella memoria e nell’esperienza del mio popolo. La linfa che cola
negli alberi porta con sè la memoria del pellerossa. I morti dell’uomo bianco
dimenticano la terra dove sono nati quando se ne vanno a girovagare tra le
stelle. I nostri morti non dimenticano mai questa terra meravigliosa, poiché
essa è la madre del pellerossa. Siamo una parte della terra e la terra è parte
di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli; i daini, i cavalli, l’aquila
maestosa, tutti sono nostri fratelli. Le cime rocciose, la fragranza dei
boschi, l’energia vitale del puledro e l’Uomo, tutto appartiene ad una sola
famiglia. Quindi, quando il Grande Capo di Washington ci manda a dire che vuole
acquistare la nostra terra, ci sta chiedendo molto. Il Grande Capo ci manda a
dire che ci riserverà uno spazio in cui possiamo vivere confortevolmente tra di
noi. Egli sarà il nostro padre e noi saremo i suoi figli. Se è così terremo
conto della sua proposta sull’acquisto della nostra terra. Ma tale acquisto non
sarà facile, poiché questa terra per noi è sacra. L’acqua limpida che scorre
nei ruscelli e nei fiumi non è soltanto acqua, ma è il sangue dei nostri
antenati. Se vi vendiamo la terra dovrete ricordarvi che è sacra e dovrete
rammentarlo ai vostri figli, e che qualsiasi riflesso spettrale sulla
superficie dei laghi evoca eventi e fasi della vita del mio popolo. Il mormorio
delle acque è la voce dei nostri antenati. I fiumi sono nostri fratelli, ci
appagano la sete. Conducono le nostre canoe e nutriscono i nostri bambini. Se
vi vendiamo la nostra terra dovrete ricordarvi ed insegnarlo ai vostri bambini
che i fiumi sono nostri e anche vostri fratelli, e a partire da quel momento
dovrete dimostrare per i fiumi lo stesso affetto che dimostrate ad un fratello.
Noi sappiamo che l’uomo bianco non capisce il nostro modo di essere. Per lui un
pezzo di terra non si distingue da un altro qualsiasi, poiché è un estraneo che
viene di notte e sottrae dalla terra tutto ciò di cui necessita. La terra non è
sua sorella, ma sua nemica; dopo averla soggiogata, conquistata, se ne va in
cerca di un altro luogo. Si lascia alle spalle la tomba dei suoi genitori e non
se ne importa. Toglie la terra ai suoi figli e non se ne importa. La tomba dei
suoi genitori e l’eredità dei suoi figli, lui se le scorda. Tratta sua madre,
la terra, e suo fratello, il cielo, come cose da acquistare o da sottrarre,
come se fossero pelli di agnello o rilucenti perline senza valore. La sua
bramosia esaurirà la terra, lasciandosi alle spalle nient’altro che deserti. Questo
non lo capisco. Il nostro modo di essere è assolutamente diverso dal vostro. La
visione delle vostre città fa male agli occhi del pellerossa. Forse perché il
pellerossa è un selvaggio e quindi non può capirlo. Nelle città dell’uomo
bianco non vi è un solo luogo in cui ci sia silenzio, pace. Un solo luogo ove
ascoltare il fruscio delle foglie in primavera, il fremito delle ali di un
insetto. Forse perché sono un selvaggio e non posso capirlo. Il rumore serve
soltanto per offendere l’udito. E che vita è questa in cui l’uomo non può
ascoltare lo stridere solitario della civetta o il gracidare delle rane di
notte sui margini degli stagni? L’indiano preferisce il lieve sussurro del
vento che sfiora la superficie delle acque del lago, o la fragranza della
brezza, purificata dalla pioggia meridiana o aromatizzata dal profumo delle
pigne. L’aria è preziosa per il pellerossa poiché alimenta tutti. Gli animali,
gli alberi, l’uomo, tutti respirano la stessa aria. L’uomo bianco sembra non
far caso all’aria che respira. Come un cadavere in decomposizione, è
insensibile al fetore. Ma se vi venderemo la nostra terra, dovrete ricordarvi
che l’aria è preziosa per noi, che l’aria alita il suo spirito in tutte le cose
che fa vivere. L’aria che i nostri avi aspirarono al loro primo vagito è la
stessa che colse il loro ultimo sospiro. Se vi vendiamo la nostra terra dovete
custodirla in una maniera tutta particolare, tenerla per sacra, come un luogo
dove anche l’uomo bianco possa andare a godersi la brezza profumata dai fiori
dei boschi. Quindi considereremo la vostra proposta di comperare la nostra
terra. Se ci decidessimo d’accettarla, imporrò una condizione: l’uomo bianco
dovrà trattare gli animali di questa terra come se fossero suoi fratelli. Sono
un selvaggio e non riesco a capirlo in un altro modo. Vedo migliaia di bisonti
imputridire sulle praterie, abbandonati dall’uomo bianco dopo che spara loro addosso
da un treno in corsa. Sono un selvaggio e non riesco a capire come “il cavallo
di ferro fumante” possa essere più importante del bisonte, che noi cacciamo
soltanto per sopravvivere. Cosa sarà l’uomo senza gli animali? Se tutti gli
animali scomparissero, l’uomo morirebbe di solitudine spirituale. Perché tutto
ciò che accade agli animali può nuocere agli uomini. Tutto è connesso.
Dovete
insegnare ai vostri figli che il suolo che loro calpestano rappresenta le
ceneri dei nostri antenati. Affinché rispettino la terra, insegnate loro che è
arricchita dalla vita degli esseri di tutte le specie. Insegnate loro ciò che
abbiamo insegnato ai nostri: che la terra è nostra madre. Quando l’uomo sputa
sulla terra sputa su sè stesso. Siamo sicuri di una cosa: la terra non
appartiene all’uomo bianco; è l’uomo bianco che appartiene alla terra. Di
questo ne siamo sicuri. Tutte le cose sono connesse, come il sangue che unisce
una famiglia. Tutto è connesso. Colui che ferisce la terra ferisce anche i
figli della terra. L’uomo non tesse la tela della vita; è piuttosto uno dei
suoi fili. Qualsiasi cosa faccia a questa tela, la fà a sè stesso. Lo stesso
uomo bianco, con il quale Dio si accompagna e con cui parla come si parla ad un
amico, non può sottrarsi da questo destino comune. Dopo tutto, forse, noi siamo
tutti fratelli. Vedremo. C’è una cosa che noi sappiamo e che forse l’uomo
bianco scoprirà un giorno: il nostro Dio è il suo stesso Dio. Voi potete
pensare adesso che soltanto voi Lo possedete, come volete possedere la terra,
ma non lo potete. Egli è il Dio dell’uomo e la Sua compassione è uguale tanto
per l’uomo bianco che per il pellerossa. Questa terra è preziosa per Lui ed
offendere la terra è disprezzare il suo Creatore. Anche i bianchi spariranno;
forse prima di tutte le altre tribù. Contaminate il vostro letto, e una notte
vi troverete soffocati in mezzo ai vostri escrementi. Ma, secondo il vostro
parere, voi risplenderete molto, illuminati dalla forza del Dio che vi ha
portato su questa terra e che grazie a qualche favore speciale vi ha concesso
il dominio su di essa e sul pellerossa. Questo destino è un mistero per noi,
poiché non riusciamo a capire come sarà il giorno in cui l’ultimo bisonte verrà
decimato, i cavalli selvaggi addomesticati, i nascondigli delle foreste invasi
dall’odore del sudore di molti uomini e la vista delle lucenti colline
circondata da cavi parlanti. Dov’è la boscaglia? Scomparsa. Dov’è l’aquila?
Scomparsa. La fine della vita e l’inizio della sopravvivenza.
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