"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 22 ottobre 2021

Notiziedalbelpaese. 36 «Quelli che riescono a fuggire dall'oppressione e dalla violenza in cerca di una vita nella libertà».

 

È veramente avvilente, da deprimersi, vedere le immagini delle manifestazioni “no-vax”, “no-pass”, “no-tutto”. L’avvilimento sta tutto in quell’invocare scomposto la tanto agognata “libertà”. Liberi da cosa? Liberi per cosa? Liberi dalle catene, forse? Liberi dalla violenza, forse? Liberi dalla fame, forse? Ha scritto Enzo Bianchi – già priore della Comunità monastica di Bose – in “Chi cerca una vita nella libertà”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 6 di settembre 2021, di coloro i quali mettono a rischio la propria sopravvivenza e quella dei propri cari per una di quelle libertà che si sono molto sinteticamente sopra ricordate. Orbene, quei signori lì, di quale libertà sono stati orbati? Ché lo stato sociale non si sia preoccupato, nel corso della pandemia, e lo continua a fare tuttora, ad assistere tutti indistintamente senza esclusioni per nessuno? Dov’erano o dove sono stati quei bighelloni lì di “no-vax”, “no-pass”, “no-tutto”? Leggiamo di seguito qual che ha scritto Enzo Bianchi: (…). …quelli che riescono a fuggire dall'oppressione e dalla violenza, sono i profughi in cerca di una vita nella libertà, e per noi sono immigrati che sognano un lavoro e una casa nel nostro Paese. Da venticinque anni circa arrivano a ondate da terre di guerra o di fame e ci chiedono ospitalità destando diverse reazioni da parte nostra. Siamo così invitati a rinnovare l'ospitalità, che significa "ricevere presso di sé" ma anche un inizio di nuove relazioni, accoglienza che implica apertura e generosità. Non dovremmo mai dimenticare che da "ospitalità" derivano "ospedale", luogo per la cura dei malati, e "ospizio", luogo per dare aiuto e riparo a viandanti, poveri, stranieri. Nel nostro quotidiano l'ospitalità si impone sempre come accoglienza dell'altro, e oggi ci appaiono come figure eminenti dell'alterità soprattutto lo straniero, il rifugiato, il migrante, come nel passato lo erano l'orfano, la vedova e il povero: i senza dignità! L'ospitalità infatti riguarda la relazione io-tu, l'incontro con l'altro che disorienta, che è sempre una minaccia alla centralità della mia persona o del mio gruppo di appartenenza. Per questo Sartre poteva affermare: "Gli altri? Sono l'inferno!". Ma per gli umani gli altri in realtà sono la salvezza, la vita, la fecondità, e certo assegnano a ciascuno di noi una responsabilità perché quando li si avvicina si diventa consapevoli che il loro volto è domanda, è vulnerabilità, è un appello a rinunciare alla violenza. Paul Ricoeur insisteva nell'affermazione che l'altro è costitutivo del sé e che "noi dobbiamo considerare noi stessi come gli altri!". È il nostro destino, sempre segnato dalla presenza dell'altro fin dalla nascita, fin da quando con dolore scopriamo la presenza dell'altro in competizione con noi per l'amore dei genitori e dobbiamo imparare a fargli posto. Resta significativo che nel mondo mediterraneo dell'antichità l'ospitalità (xenía) verso lo straniero fosse considerata la "grande virtù", con la creazione di un vero e proprio codice dell'accoglienza; dal saluto iniziale, nello stupore di chi sa che in questo modo si può anche accogliere un dio, a una serie di gesti: accompagnare per mano l'ospite alla casa, fornirgli acqua perché si possa lavare i piedi, preparargli un pasto e un alloggio per la notte. Accogliere sconosciuti, stranieri, mendicanti era vista come possibilità per accogliere gli dèi o gli angeli. Nel cristianesimo, come nell'ebraismo, l'ospitalità dello straniero ha sempre avuto una portata teologica perché nel volto di chi viene accolto è Dio stesso a rivelarsi in incognito. Così commenta il precetto dell'accoglienza il grande Jonathan Sacks: "La persona che vede Dio nel volto dello straniero è più grande di chi vede Dio in un'apparizione! Perché dai giorni di Abramo compito nostro non è salire in cielo ma far discendere il cielo sulla terra nei gesti semplici di ospitalità e di amicizia". Come mai allora molti cristiani ostili e diffidenti verso i migranti rivendicano le radici ebraico-cristiane come nostre? Le conoscono davvero o molto semplicemente le ignorano? Ecco, scrive Enzo Bianchi, “profughi in cerca di una vita nella libertà”. Altrimenti l’invocazione della libertà dei “no-tutto” contiene un qualcosa di “sospetto”, che puzza per mille miglia di un miserrimo interesse personale o di gruppo. Quei signor “NO” a tutto spiano di quale libertà discettano, invocano? Ne ha ben scritto – “La libertà è a nostro carico” -, della libertà tanto invocata in queste giornate ottobrine, non prima certamente, ché si sarebbero sprecate tintarelle e quant’altro, Michele Serra sempre sul quotidiano “la Repubblica” del 7 di ottobre, individuando alcuni degli aspetti (vedesi il “complottismo” planetario denunciato dai “no-tutto”) che hanno certamente contribuito a promuovere e diffondere il “no-tutto” generalizzato ed a buon mercato: (…). La dipendenza dai social, specie per quanto riguarda la permeabilità ai discorsi violenti e/o cretini, sarebbe subdolamente indotta a scopo di lucro dal perfido Zuckerberg, così come il tabagismo è colpa dei colossi del tabacco, la tossicodipendenza colpa dei narcos, eccetera. La domanda è quanto può aiutarci, per sentirci più liberi e meno condizionati, dare sempre la colpa agli altri. Se ogni genere di dipendenza, di soggezione, di credulità, è imputabile a manovratori occulti, a speculatori cinici, scompare nel nulla l'idea che esista una libertà di scelta; nonché una responsabilità individuale. Se uno trascorre la vita appeso al suo smartphone e non trova il tempo di guardare le nuvole, o di fare una passeggiata, certamente è patologico. Ma di questa patologia non è solamente la vittima: ne è anche l'autore. La dipendenza esiste, è un problema grave, nel mondo migliaia di medici, psichiatri, terapeuti la studiano e la combattono. Ma se passa il concetto che (cito Altan) ogni cazzata che facciamo ha sempre un mandante, e il nostro ruolo nel mondo è sempre e solo quello delle povere vittime, che speranza abbiamo di uscirne vivi? Togliete all'alcolista la facoltà di bere di meno, al tabagista quella di fumare di meno, al ludopatico di tenersi lontano dalle slot-machine, al digitatore incallito l'idea che può sopravvivere anche senza i social, e gli avrete tolto ogni speranza.

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