"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 10 agosto 2024

Lavitadeglialtri. 35 Tahar Ben Jelloun: «I bambini sono sassi, rami di un albero che perde le foglie, parole azzurre, scoppi di risa... vanno, vengono, passano e non lasciano tracce... tutto questo tu che vieni dalla città dovresti saperlo!».

 
QuelMondodiTaharBenJelloun”. I miei ricordi d'infanzia non sono tristi. Come oggi, anche allora mancava tutto. La cosa faceva soffrire molto i nostri genitori. Però noi bambini ci divertiamo; ci piaceva giocare con i gatti morti. La nostra scuola era la moschea. Ci facevano imparare a memoria i versetti del Corano e li recitavamo senza capirli. Il maestro della scuola era un vecchio quasi cieco. Era un saggio. Diceva che l'Africa era la madre degli altri continenti, ma che si lasciava saccheggiare. Diceva anche: "È ricco chi non possiede nulla", "È ricco chi è libero", e aggiungeva: "Ma noi non siamo né ricchi né liberi, siamo schiavi del cielo e degli uomini che dettano legge." Quando faccio l'appello, i bambini ridono. A loro piace ridere. Sono incuranti o semplicemente felici? Malgrado le difficoltà della vita, sono allegri. Il secondo giorno di scuola, mancano due allievi. Sono ammalati o si sono persi per strada? Nessuno risponde. Due assenti su trenta non sono tanti. Verranno domani. In realtà, l'indomani non arrivano. Mancano altri tre bambini. Mi preoccupo. Non ho un direttore cui rivolgermi. Sono il maestro, il direttore, il bidello e il guardiano della scuola. Gli altri bambini non dicono niente. Faccio lezione nonostante la preoccupazione. Alla fine del mese, mi ritrovo con la metà degli allievi. Dove sono finiti gli altri quindici? A questa domanda, i ragazzi ridono e rispondono una cosa qualsia. Decido di parlarne al capo del villaggio, Hadj Baba. Lo trovo sul tardo pomeriggio sotto l'albero, circondato da alcuni uomini, sempre gli stessi. Mi dice, scacciando con la mano le mosche che gli ronzano intorno: "I bambini sono sassi, rami di un albero che perde le foglie, parole azzurre, scoppi di risa... vanno, vengono, passano e non lasciano tracce... tutto questo tu che vieni dalla città dovresti saperlo! Ricordati, non hanno ancora l'abitudine di andare a scuola con regolarità. Forse, poi, non ti prendono sul serio, sei troppo giovane, hai l'aspetto di un ragazzo. Per loro, il sapere deve essere insegnato da un uomo maturo, un anziano con la barba bianca, un uomo che sappia parlare agli alberi e agli animali. Tu vieni dalla città e hai dimenticato la realtà del tuo villaggio." "No, è proprio perché amo il mio villaggio che sono tornato, per rendermi utile. Ma perché non vengono a scuola?" "Ah! La scuola! Tu chiami questo rudere una scuola? Non hai neanche una lavagna. Quanto ai tavoli e alle sedie, aspetta, aspetta pure. Perché questo villaggio sperduto dovrebbe essere preso in considerazione dalle autorità della città? Sei ingenuo, figlio mio. E poi, hai visto le condizioni del bestiame? L'anno scorso tu non c'eri. Non ha fatto una sola goccia di pioggia. Intorno a queste colline si aggira la morte. Tieni, siediti e guarda il cielo. Se hai pazienza, imparerai che il cielo è vuoto; non ci riserva nulla di buono. Siamo maledetti. E in ogni caso, dopo la morte del nostro maestro, il villaggio continua a morire. Quindi la scuola...".  "Ho una nomina ufficiale per insegnare in questa scuola". "Benissimo, e quindi? Noi, qui, siamo vittime del1'aridità. L'aridità del cielo e degli uomini. Perché le persone della capitale non hanno nominato qualcuno per aiutarci a lottare contro la fame?". "Avete paura di un'epidemia?" "Cos'è una 'epidemia'?" "Una malattia che colpisce tutti." "No, non è una malattia; guardati intorno, cosa vedi? Sabbia, pietre, un albero - quello sotto cui siamo seduti; vuoto, vento, polvere, un pazzo che parla da solo, e poi questa moschea trasformata in scuola. Ecco tutto. Anche se arriva una malattia, se ne andrà. Non troverà niente e nessuno da colpire. Questa è la nostra fortuna e la nostra sfortuna. Moriremo da soli. Non abbiamo bisogno di malattie. Qui le persone muoiono dormendo. Non si svegliano. Tutto qui. Non te la prendere se i bambini spariscono; torneranno". "Devo andare a cercare i bambini e riportarli a scuola". "Se li trovi. Forse sono stati inghiottiti da un pozzo, un pozzo secco, un buco in cui al momento si svolge un congresso di scorpioni e serpenti a sonagli. I bambini ci sfuggono, come le parole, prendono il volo e si allontanano con le rare nuvole che si fermano sopra le nostre teste." "Parlerò ai loro genitori". "Può essere un'idea, ma non ti porterà lontano; gira piuttosto, guardati intorno...". (Tratto da “La scuola o la scarpa” di Tahar Ben Jelloun pubblicato da Bompiani, 2000).

“L’ultimo picnic sulla spiaggia con le mie figlie Ruba e Bisan prima che lascino la Striscia” di Sami al-Ajrami – al tempo corrispondente dalla Striscia di Gaza per il quotidiano “la Repubblica” -, pubblicato su quel quotidiano il 28 di febbraio 2024: Le mie figlie, spero, se ne andranno presto: il loro visto egiziano e passaggio fino al Cairo è stato già pagato grazie all’aiuto di tanti amici fuori di qui che hanno partecipato con generosità a una colletta online. Aspettiamo solo che il loro nome compaia su una delle liste redatte due volte alla settimana. Mi auguro sia questione di pochi giorni. Voglio però che lascino Gaza, il luogo dove sono nate, con memorie migliori di quelle di questi ultimi mesi di guerra. E dunque ho dato fondo ai risparmi e organizzato per loro un picnic con amici e parenti nella tendopoli che abbiamo costruito a ovest di Khan Yunis, il posto dove già parte di noi si è rifugiata nel timore che l’esercito inizi le operazioni di terra anche al Sud. Mentre per ora io e le ragazze restiamo a dormire a Rafah allo scopo di essere più vicini al confine nel momento in cui potranno spostarsi. Lo ammetto, è stato un picnic surreale. Sono riuscito a procurarmi dell’agnello da un macellaio che di solito vende solo carne di gallina ma a quanto pare, e a caro prezzo, ha ancora degli animali nascosti da qualche parte. Lo abbiamo arrostito all’aperto per poi offrire agli ospiti una carne che qui nessuno mangiava più da quasi cinque mesi, mentre un amico ha improvvisato un forno con fango e argilla dove abbiamo cotto il pane. C’era il sole e davanti a noi il mare: era quasi bello, se non fosse stato per l’eco delle bombe che in lontananza abbiamo sentito almeno cinque volte, a ricordarci che la guerra è qui ed è vicinissima. Potevamo morire, anche in quel momento. Il pasto è stato però abbastanza lieto, ritmato dai racconti di ciascuno. Ricordi dei tempi ormai andati, persone e luoghi che non ci sono più, feste che a pensarci ora sembrano favole. Abbiamo pianto, abbiamo riso, ci siamo abbracciati. Ruba e Bisan, le mie ragazze che sognano di venire in Europa e studiare per diventare un giorno giornaliste - mestiere che qui a Gaza è diventato improvvisamente ambitissimo: tutti ne hanno compreso l’importanza - mi sono sembrate rasserenate da questo pomeriggio di “pace”. A fine giornata ho voluto fare una foto di noi tre insieme col tramonto alle spalle. Forse l’ultima per un bel po’ e per questo ancor più importante, per me e per loro. Cessati i bombardamenti in lontananza, mentre ancora mangiavamo abbiamo visto arrivare nuovi aerei, senza insegne. Per qualche istante è stato il panico: abbiamo avuto molta paura pensando che stessero per paracadutarsi prima dell’invasione. Dei paracadute, in effetti, si sono aperti. Ma a cadere dal cielo sono state casse pieni di aiuti, che la Giordania ha deciso di far arrivare in questo modo nella zona più affollata di profughi qui a Khan Yunis Ovest. Dentro ogni cassa, infatti, c’erano decine di buste nere: ciascuna conteneva un pasto completo da tre portate per una persona. Chi è riuscito a prenderli ha davvero fatto festa. Ma accaparrarsele non è stato certo facile. A decine si sono precipitati e ci sono state anche liti, spintoni, forse anche peggio. Purtroppo, il problema è che far entrare aiuti qui nella Striscia sta diventando sempre più difficile. Da giorni non si vede più un solo poliziotto in giro: gli uomini in uniforme blu sono spariti dalla strada da quando diverse delle loro pattuglie in divisa sono state prese di mira da raid di Israele che accusa la polizia locale di essere parte del braccio armato di Hamas e anche di rubare e gestire in maniera mafiosa gli aiuti. In realtà la scomparsa dell’ultima parvenza d’ordine ha un impatto rilevante sulla vita quotidiana: i camion carichi di aiuti sono infatti più esposti agli attacchi della folla affamata. E non essendo più scortati fino ai luoghi dove sono più necessari, anche la distribuzione è saltata. Egitto e Giordania hanno tentato di negoziare con l’esercito israeliano un possibile ritorno della polizia palestinese in strada. Ma né gli agenti né Israele hanno accettato. E dunque, per tentare di sfamare almeno i più disperati, certi aiuti, ora, piovono dal cielo. Ma chi se li procura - i più giovani e forti, capaci di farsi largo nella mischia che quei lanci provocano - ha di che andare avanti soltanto per un’altra giornata.

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