Anacronistica è la favola, dunque? "Non è più il tempo delle fiabe. C'è bisogno di realtà. Questo che viviamo è un tempo crudele e senza mediazioni. Per me il punto di partenza è stato soltanto uno: rompere il patto fondativo della favola e la sospensione dell'incredulità e ricondurre tutto al reale. In queste pagine non ci sono pezzi di legno magici né fate turchine, semplicemente perché i pezzi di legno non parlano, non ballano e non ridono e le fate non esistono. Pinocchio è soltanto una marionetta inerte, nient'altro che uno scherzo cattivo concepito una sera in un'osteria da un gruppo di amici: Mastr'Antonio, il vero nome di Mastro Ciliegia, e i suoi compari (il farmacista, il prete, il droghiere e l'ufficiale della posta), a cui si unirà l'intero villaggio. Ma non credo di avere tradito lo spirito originale, l'ho soltanto portato alle estreme conseguenze. Collodi era già un disincantato e Pinocchio era un libro di incandescente realismo che si concludeva, nella prima stesura per altro, con un'impiccagione".
Per riscrivere un classico bisogna sovvertilo? Ma fino a che punto? Quali sono le sue colonne d'Ercole? "Tra gli antenati di Collodi ci sono Sterne, Voltaire, Diderot, Dickens, e soprattutto Dante. Tra i continuatori Fellini, almeno per quell'aria da fiaba feroce che hanno "La strada" e "Cabiria". Ma se togli tutta la parte fantastica, il paesaggio rimane lo stesso: una società crudele e ostile, pronta a lapidare gli emarginati, i senza famiglia e i morti di fame. Mastro Geppetto è il punto di arrivo di tutto quello che ho scritto prima, e anche di questa idea che ho di letteratura come racconto della vulnerabilità umana attraverso il punto debole di un personaggio. Forse le colonne d'Ercole sono l'estrema violenza della società e l'estremo amore dei personaggi. Così il mio Geppetto finisce per somigliare alla Gelsomina di Fellini: in un mondo freddo e oscuro, la loro umanità riscalda il cuore".
Geppetto mette in discussione la società ma la guarda con occhi indifesi. È un ultimo, ma che non smette mai di rivendicare i suoi diritti nella metafora della ricerca del suo figlio burattino... "Per me quella ricerca è il tentativo di far sopravvivere l'incantesimo in un mondo disincantato, la capacità di continuare a sognare un futuro migliore e più giusto, anche nei nostri tempi duri e chiusi. Geppetto è un falegname ammalato di miseria, di solitudine e di vecchiaia, eppure ha il sogno perturbatore di diventare un burattinaio. È padre, ma in qualche modo è anche madre perché concepisce una marionetta e gli dà forma. La sua è la rivendicazione del diritto di amare, a prescindere da tutto, ed è una storia sullo storto e sulla violenza del mondo. E davvero sarebbe bello se suscitasse, in chi la leggerà, un moto di rabbia e di giustizia e che Geppetto, con la sua solitudine e la sua vulnerabilità, potesse dare voce a tutte le solitudini e a tutti i vulnerabili del nostro tempo".
È un personaggio ibrido? "Per me è l'inerme assoluto. Ha perso tutto, anche il linguaggio e la memoria. Ma la sua fragilità è una protesta radicale: forse più che occhi maturi o bambini, ci servirebbe il suo coraggio di guardare le cose con occhi indifesi".
E Pinocchio? "Neppure Pinocchio ha voce, perché è soltanto un pezzo di legno. Ma c'è una scena per me importante. Quando gli rifà i piedi, Geppetto si accorge di essersi dimenticato pure delle sue orecchie. E allora provvede con pochi tocchi di scalpello, ma scegliendo con cura le parole da dire perché sarebbero state le prime che Pinocchio avrebbe ascoltato nella vita. Se proprio dovessi dire chi è Pinocchio, in questa storia, direi che Pinocchio è il lettore, e che siamo tutti figli di Geppetto".
Tornare a prendersi cura delle parole, insomma, è questo il messaggio del romanzo. Questo Pinocchio cura i senza memoria e senza cuore? "Sì. Se questo romanzo dovesse essere un rimedio letterario, lo legherei alla perdita generale di fiducia nelle parole e a tutti i disturbi del linguaggio e della memoria. Ma anche alle malattie cardiache. Un libro è un organo trapiantato, è come il cuore di un altro. Abbiamo più cuori se leggiamo, tanti quanti sono i libri che abbiamo letto. E in questo ho cercato di metterci tutto il cuore che avevo".
"Un libro aperto è un cervello che parla, un libro chiuso è un amico che aspetta, un libro dimenticato è un amico che ci perdona, un libro distrutto è un cuore che piange". (Proverbio Indiano). "Per viaggiare lontano,non c'è miglior nave di un libro". (Emily Dickinson). Leggere è un viaggio che può portarci verso mondi sconosciuti, persino dentro noi stessi. Bisogna avere il coraggio di intraprendere questo viaggio... Più lontano ci porterà, più profonda diventerà la nostra personalità, e così riusciremo ad allontanarci da ciò che ci fa male. Quando ci addentriamo in un libro, il suo autore ci sta donando la possibilità di impossessarci di qualcosa che, un tempo, era solo suo. Ci sta offrendo il suo universo interiore,il suo "cuore"... A volte in un libro ci sono frasi che ci aspettano per diventare nostre:vogliono essere scoperte, perché solo così scopriremo anche noi stessi. Grazie, carissimo Aldo, per questo stupendo post, in cui l'interpretazione della personalità di Geppetto mi affascina molto perché è meraviglioso il suo impegno profuso nel "tentativo di far sopravvivere l'incantesimo in un mondo disincantato"... Grazie ancora e buona continuazione.
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