"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 12 ottobre 2021

Paginedaleggere. 55 Frédérich Beigbeder: «Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l'universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai».

 

Ha scritto Michele Serra in una Sua corrispondenza – “La bulimia dell’homo sapiens” – pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” dell’8 di ottobre 2021: (…) …il tema, sia pure trattato con accenti molto diversi, è lo stesso: la bulimia del genere umano. Non si tratta di un tema “etico” (o meglio, lo è solo di rimbalzo). Si tratta prima di tutto di un tema logico-razionale, direi scientifico, che mi permetto di riassumere così: in una bottiglia da un litro può entrare un litro e mezzo di liquido? (…). Una osservazione più attenta dei dati a disposizione lascia pensare di no: la bottiglia da un litro rappresenta il Pianeta; il litro e mezzo, già adesso, siamo noi, con tutto il nostro ingombro, le nostre emissioni, la nostra dismisura. Ovviamente è lecito pensare che la tecnologia, della quale oggi tendiamo a dare una lettura prodigiosa (vedi Elon Musk), riesca a deformare la bottiglia aumentandone la capienza. Il progresso non è un’opinione, e le conquiste di Homo sapiens (qualcuna effettivamente prodigiosa, vedi la microchirurgia, vedi la connessione planetaria del web) rendono lecito sperare in qualche novità rilevante. E dunque, (…), dobbiamo accogliere con grande favore la riconversione green, che con è al tempo stesso una foglia di fico e una grande possibilità, spetterà alla politica far prevalere l’una o l’altra funzione. Ma non c’è dubbio che nessuna riconversione virtuosa possa prescindere dalla cura della nostra ingordigia. Di tutto: consumi, cibi, oggetti, beni utili e beni inutili, quantità smisurate di prodotti spesso inutilizzati che riempiono le nostre case come feticci. Se la decrescita felice è solamente una teoria, la crescita infelice è spesso sotto i nostri occhi, e la superfetazione del genere umano non aiuta, oggettivamente, a essere ottimisti. Megalopoli di trenta milioni di persone – quasi sempre contadini proletarizzati – senza servizi, spesso nemmeno le fogne, discariche grandi come catene montuose (i nostri rifiuti elettronici in Africa e in Asia), continenti di plastica che galleggiano in mezzo al Pacifico. Giorni fa ho rinverdito (a proposito di green) uno dei temi costanti di questa rubrica, che è l’incomprensibile oblio che ha cancellato da quasi tutte le agende politiche (anche quella della benemerita Greta) la questione demografica. Il numero degli esseri umani è di per sé un gigantesco problema di squilibrio ambientale. Ogni ovvia considerazione sulla profonda differenza di reddito, e di impatto ambientale, tra ricchi e poveri, sposta il problema solo di poco: se anche il reddito si redistribuisse più equamente, la somma dei fattori inquinanti non diminuirebbe di una virgola, e anzi. Riassumendo: la fiducia nella scienza, nella tecnologia, nell’ingegno umano non può diventare un alibi per ignorare i famosi limiti dello sviluppo, specie se questo alibi serve semplicemente per rifare il maquillage ai fatturati. (…). Tratto da “Aiuto, c'è uno spot che vuole farci innamorare” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 12 di ottobre dell’anno 2013: Come dice il cantautore francese Alain Souchon: «Ci vengono inflitti desideri che ci affliggono». Ma più delle iperboli della pubblicità, da temere è la logica del consumo. Non dobbiamo esorcizzare la pubblicità, perché è uno dei fattori non secondari che sostiene la stampa, senza la quale avremmo meno informazione, e di conseguenza meno democrazia. Non è infatti democratico un paese dove non si legge e non ci si informa, per cui le scelte o non avvengono, come nel caso dell'astensionismo elettorale, o avvengono su base emozionale senza nessuna considerazione e vaglio critico. Detto questo, non è apprezzabile quella pubblicità che va a solleticare le pulsioni primarie, come la sessualità e l'aggressività, abbinando il prodotto da vendere alle forze oscure del sottofondo della nostra anima, bypassando il giudizio sul valore del prodotto, sulle sue qualità e utilità. Non mi pare questo il caso di una strategia pubblicitaria, che (…) punta sulla dimensione affettiva, invitando a "innamorarsi" del prodotto perché «ti migliora la vita» e questo «significa tutto». Qui ci troviamo semplicemente in presenza di un'iperbole, perché non è detto che «il miglioramento della vita significhi tutto», lo sappiamo per esperienza, e soprattutto non è detto che l'acquisto per esempio di un prodotto Apple «migliori la vita» rispetto all'acquisto di un prodotto analogo di un suo concorrente. Di fronte alla pubblicità dobbiamo piuttosto porci un altro ordine di problemi. Viviamo in un'economia che ci prevede come produttori e consumatori, e che trova la sua giustificazione nel fatto che se non si consuma si ferma la produzione, con conseguenze catastrofiche sull'occupazione, come constatiamo quotidianamente in questa stagione di crisi. Ma abbiamo davvero bisogno di tutte le cose che la pubblicità ci offre? Probabilmente no, e allora non ci si dovrà limitare a produrre merci per soddisfare bisogni, ma sarà necessario produrre nuovi bisogni per garantire la continuità della produzione delle merci. E se di una cosa non si sente propriamente il bisogno? Allora interviene la moda a rendere obsolete le cose che l'anno precedente erano assolute novità, che non si potevano non acquistare. Per la moda, infatti, le cose che sono ancora "materialmente" utilizzabili, l'anno successivo diventano "socialmente" inutilizzabili e quindi bisognose di essere sostituite. Non parliamo poi dei pezzi di ricambio dei nostri elettrodomestici. Quante volte ci siamo sentiti dire che costano di più o almeno quanto comperare un elettrodomestico nuovo? Io in tutto questo vedo una dimostrazione concreta dello stile nichilistico della nostra economia, che a me pare regolata dal "principio della distruzione", dove la distruzione non è "la fine" naturale di un prodotto, ma "il suo fine". Leggevo (…) qualche mese fa un bellissimo servizio sul tempo di vita di molti prodotti informatici programmati per un certo tempo e non oltre. Veniva da pensare che se la data di scadenza non riguarda solo gli alimentari, ma tutti i prodotti, allora non aveva torto Günther Anders a scrivere: «L'umanità che tratta il mondo come un mondo da buttar via, finirà col trattare anche se stessa come un'umanità da buttar via». Tornando alla pubblicità, che con i suoi prodotti si incarica di "migliorare la nostra vita" e renderci più felici, consiglierei di leggere un libro di Frédérich Beigbeder, famoso pubblicitario francese, che un certo giorno ebbe un ripensamento e pubblicò un libro, tradotto da Feltrinelli col titolo Euro 13,89, in cui scrive: «Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l'universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C'è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma».

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